Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Si è saputo solo ieri di una situazione difficile in Tibet, dove da giorni e giorni sono in corso manifestazioni contro le autorità cinesi. Ieri, visto che in Occidente cominciava a trapelare qualcosa, da Pechino è arrivato un comunicato dell’agenzia Xinhua contro il Dalai Lama: «Abbiamo prove sufficienti per dire che il recente sabotaggio a Lhasa è stato organizzato, premeditato e diretto dalla cricca del Dalai Lama. Le violenze, inclusi pestaggi, saccheggi e incendi hanno scombussolato l’ordine pubblico e messo a repentaglio la vita e la proprietà della gente». Forse senza volerlo – perché nell’anno delle Olimpiadi la Cina ci tiene a fare la parte del paese virtuoso – una fonte ufficiale conferma dunque che a Lhasa, la capitale, ci sono stati “pestaggi, saccheggi e incendi”. Da altre fonti – viaggiatori che ce l’hanno fatta a scappare, gente che è riuscita a parlare con qualcuno laggiù – sappiamo che i monasteri di Sera, Drepung e Ganden, dove nei giorni scorsi hanno avuto luogo le manifestazioni e forse gli scontri più accesi, sono adesso assediati dalla polizia. Potrebbe essere stato proclamato lo stato d’emergenza. La Radio Free Asia parla di decine di arresti. Cortei e grida si segnalano nelle province cinesi del Qinghai e del Gansu. Ma naturalmente i disordini più gravi si registrano a Lhasa la capitale. Qui la gente sarebbe scesa in strada in occasione del 49° anniversario della rivolta contro il dominio cinese, la polizia avrebbe sparato, ci sarebbero molti cadaveri per strada. Così riferisce, almeno, il Centro per le emergenze mediche della capitale. Questo avrebbe sollevato quote di popolazione sempre più vaste. I morti sono molti, i feriti tantissimi.
• Il resto del mondo non fa niente?
Washington ha condannato. Il Dalai Lama, che non mette piede in Tibet dal 1959, s’è appellato alle autorità cinesi perché rinuncino alla forza bruta. Ha detto: «Queste proteste sono una manifestazione del radicato sentimento del popolo tibetano sotto l’attuale governo».
• Potrebbe essere vera la storia della cricca?
Nel senso che è il Dalai Lama a organizzare i disordini? Certo, la parola “cricca” suona male se accostata all’uomo sorridente e pacifico che è venuto qui lo scorso dicembre. Però sarebbe anche ingenuo immaginare il capo religioso di un paese occupato dallo straniero che non partecipa in qualche modo alla resistenza. Cesserebbe ovviamente anche di essere un capo religioso.
• Il Dalai Lama vuole l’indipendenza?
No, il Dalai Lama ha ridotto le sue pretese nella speranza di arrivare a un qualche accord dateci l’autonomia - dice - se proprio non volete saperne di renderci indipendenti. Dall’altra parte del tavolo c’è Hu Jintao, il capo della Cina, che ha fatto carriera governando prima il Gansu e poi il Tibet, le due regioni in rivolta adesso. Di Hu Jintao si dice che la sua statua di cera lascia trasparire più efficacemente dell’originale quello che gli passa nel cuore.
• Perché i cinesi tengono così tanto al Tibet?
La ragione principale è l’acqua, di cui la Cina ha un bisogno assoluto. Tutti i fiumi più importanti che attraversano l’Asia nascono dall’Himalaya e transitano dall’altopiano tibetano. Così lo Yangtze, il Brahmaputra, il Fiume Giallo, il Mekong, l’Indo, il Karnali, il Sutlej. Il Tibet è per i cinesi un’enorme cisterna d’acqua, tanto più preziosa perché loro stessi hanno rovinato lo Yangtze, il grande corso d’acqua che da solo rappresenta il 40 per cento delle risorse idriche cinesi, permette la coltivazione del 70 per cento del riso e del 50 per cento del grano. Questo fiume, dove si pesca il 70 per cento del pesce cinese, è zeppo di acido solforico, gasolio, rifiuti organici ed umani, scarti delle industrie e delle carte, fertilizzanti. Il baiji, o delfino bianco, che viveva solo qui, è stato dichiarato estinto lo scorso agosto. In Cina non è inquinata solo l’aria che ha fatto scappare dai Giochi Gebrselassie. avvelenata anche l’acqua. Per questo il Tibet è essenziale.
• Ma perché governarlo col pugno di ferro?
Pechino non vuole governarlo, vuole cinesizzarlo. Come fa sempre. L’obiettivo è cambiare il rapporto tra le due etnie, in modo che a un certo punto i cinesi prevalgano sui tibetani anche numericamente. Il Dalai Lama, quando è venuto da noi, ha parlato di “genocidio culturale”. Voleva dire esattamente questo. I figli dei cinesi vengono privilegiati, i figli delle coppie miste sono considerati cinesi, la costruzione della ferrovia di Lhasa servirà a trasferire più facilmente masse di cinesi in Tibet, la tv martella con programmi cinesi i pastori tibetani, quelli che girano sugli altipiani con le pecore o gli yak. A Pechino sperano che le loro teste siamo sempre meno tibetane e, piano piano, sempre più cinesi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 15/3/2008]
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