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I corsivi di domenica
Maschi
la Repubblica
Nella foto di gruppo dello staff social di Matteo Salvini la cosa che colpisce non è certo la presenza del figlio di un candidato alla presidenza della Rai. La cosa che colpisce è che i dieci componenti dello staff (più l’undicesimo, il loro capo Luca Morisi, che ha scattato e postato la foto) sono tutti maschi, giovani e sorridenti. Di femmine nemmeno l’ombra. Accostata a una recente e celebre immagine dell’entourage di Trump, una folla di uomini bianchi tra i quali fanno capolino solo un paio di ragazze e un paio di non bianchi, l’immagine suggerisce l’ipotesi che il cosiddetto populismo, nelle sue varie edizioni, sia prima di tutto un fenomeno di rivincita del maschio “vecchia maniera”, quello refrattario, almeno formalmente, alle debolezze psicologiche e al dubbio. Modi bruschi e linguaggio spiccio come antidoto alla nefasta avanzata, in Occidente, delle femmine, dei gay, degli stranieri, dei portatori di differenza in generale. Se davvero fossero soprattutto economiche le pulsioni pro-Trump e pro-Putin, sarebbe complicato spiegare l’adorazione popolare per leader sfacciatamente ricchi. Più credibile è l’idea che società in crisi, spaventate dal cambiamento, vogliano riaffidarsi ai capitribù, perché la democrazia è troppo complicata, troppo raffinata, troppo scostumata. Dieci maschi su dieci, in uno staff, non possono essere un caso. Sono una dichiarazione di linea politica.
Michele Serra
Figli
Nella foto di gruppo dello staff social di Matteo Salvini la cosa che colpisce non è certo la presenza del figlio di un candidato alla presidenza della Rai. La cosa che colpisce è che i dieci componenti dello staff (più l’undicesimo, il loro capo Luca Morisi, che ha scattato e postato la foto) sono tutti maschi, giovani e sorridenti. Di femmine nemmeno l’ombra. Accostata a una recente e celebre immagine dell’entourage di Trump, una folla di uomini bianchi tra i quali fanno capolino solo un paio di ragazze e un paio di non bianchi, l’immagine suggerisce l’ipotesi che il cosiddetto populismo, nelle sue varie edizioni, sia prima di tutto un fenomeno di rivincita del maschio “vecchia maniera”, quello refrattario, almeno formalmente, alle debolezze psicologiche e al dubbio. Modi bruschi e linguaggio spiccio come antidoto alla nefasta avanzata, in Occidente, delle femmine, dei gay, degli stranieri, dei portatori di differenza in generale. Se davvero fossero soprattutto economiche le pulsioni pro-Trump e pro-Putin, sarebbe complicato spiegare l’adorazione popolare per leader sfacciatamente ricchi. Più credibile è l’idea che società in crisi, spaventate dal cambiamento, vogliano riaffidarsi ai capitribù, perché la democrazia è troppo complicata, troppo raffinata, troppo scostumata. Dieci maschi su dieci, in uno staff, non possono essere un caso. Sono una dichiarazione di linea politica.
Michele Serra
Figli
Corriere della Sera
Figli di. Leonardo Foa è il figlio di Marcello, il giornalista che Matteo Salvini vuole alla presidenza della Rai. Leonardo ha iniziato a lavorare con i salviniani da studente. Per il Viminale non c’è problema: «Leonardo Foa, giovane laureato con master e trilingue, ha studiato la comunicazione social di Salvini nel progetto di tesi… Ha cominciato a collaborare con lo staff, esperienza proseguita da quando Salvini è diventato ministro e ora fa parte del team di comunicazione». Eppure un problema c’è, e non riguarda il figlio. È corretto che Salvini voglia presidente della Rai il padre di uno che lavora con lui? Federico De Pascali è uno dei tre ragazzi che ha ferito all’occhio Daisy Osakue, atleta italiana di origini nigeriane. Suo padre, consigliere comunale del Pd al comune di Vinovo, è duro con il figlio: «Ha fatto il deficiente, invece di copiare le cose buone. Il razzismo non c’entra, per fortuna… è un cretino ma non razzista». È solo una cretinata? «Dai frutti si riconosce l’albero », dice il Vangelo. «Meglio avere il figlio di un giornalista obiettivo che lavora per me, che il figlio di un consigliere del Pd che lancia le uova alla gente», sentenzia Salvini, già provetto lanciatore di uova, con tanto di condanna. A parte i figli di, il meglio sarebbe avere politici più obiettivi (qualunque cosa voglia dire) e responsabili.
Aldo Grasso
Tifosi
Figli di. Leonardo Foa è il figlio di Marcello, il giornalista che Matteo Salvini vuole alla presidenza della Rai. Leonardo ha iniziato a lavorare con i salviniani da studente. Per il Viminale non c’è problema: «Leonardo Foa, giovane laureato con master e trilingue, ha studiato la comunicazione social di Salvini nel progetto di tesi… Ha cominciato a collaborare con lo staff, esperienza proseguita da quando Salvini è diventato ministro e ora fa parte del team di comunicazione». Eppure un problema c’è, e non riguarda il figlio. È corretto che Salvini voglia presidente della Rai il padre di uno che lavora con lui? Federico De Pascali è uno dei tre ragazzi che ha ferito all’occhio Daisy Osakue, atleta italiana di origini nigeriane. Suo padre, consigliere comunale del Pd al comune di Vinovo, è duro con il figlio: «Ha fatto il deficiente, invece di copiare le cose buone. Il razzismo non c’entra, per fortuna… è un cretino ma non razzista». È solo una cretinata? «Dai frutti si riconosce l’albero », dice il Vangelo. «Meglio avere il figlio di un giornalista obiettivo che lavora per me, che il figlio di un consigliere del Pd che lancia le uova alla gente», sentenzia Salvini, già provetto lanciatore di uova, con tanto di condanna. A parte i figli di, il meglio sarebbe avere politici più obiettivi (qualunque cosa voglia dire) e responsabili.
Aldo Grasso
Tifosi
Corriere della Sera
Confesso che mi hanno fatto tenerezza, i tifosi milanisti che sono andati a sventolare sciarpe e maglie per Gonzalo Higuain, sotto il balcone del Palazzo dell’Arengario a Milano. Tenerezza non vuol dire irritazione, sufficienza, tanto meno pena. Diciamo che ho provato un moto d’affetto per loro, e l’ho esteso a tutti noi tifosi. Senza la nostra ingenuità il calcio non esisterebbe. Ogni tanto penso alle risate che devono farsi i procuratori, impegnati a calcolare vantaggi fiscali e percentuali, pensando alla varia umanità che là fuori gongola per un acquisto o freme per una cessione. L’ascensione al cielo di Higuain e dell’apostolo Caldara — alti sulla piazza, vista sul Duomo — sono risultati commoventi per un motivo. Il Milan, non certo per demerito dei suoi tifosi, ha attraversato un periodo grottesco. Il misterioso cinese che ha speso molti soldi per nulla; il fondo americano; la vecchia proprietà (Berlusconi) che preferisce pensare a Foa e Salvini invece di spiegare se sa qualcosa di quel pasticcio. La situazione era tale che, negli ultimi tempi, molti hanno provato a consolare gli amici milanisti. E chi tifa lo sa: non c’è nulla di peggio della compassione degli avversari. Ora cambierà? Lo spero, per almeno tre motivi. Perché il Milan non è una SPA (Squadra Piuttosto Antipatica), ma una SAS (Squadra Abbastanza Simpatica), come l’Atalanta, il Genoa, la Fiorentina, il Torino, il Cagliari, la Lazio, il Napoli e alcune altre. Perché il Milan è di Milano, quindi un po’ parente. E perché, come certi personaggi sfortunelli nei romanzi di Dickens, merita un po’ di buona sorte, nella seconda parte del romanzo. Ricordo il gol di testa del portiere del Benevento, all’ultimo minuto, il giorno dell’esordio di Gattuso in panchina: sono cose che si stampano nella memoria di una generazione. Vedete? Mancano ancora due settimane all’inizio del campionato, e già ragiono da tifoso. Quindi, non ragiono. Perché una squadra non è un cosa concreta. È un’idea platonica cui associamo ricordi d’infanzia e serate con gli amici, celebrazioni collettive ed euforie solitarie, ansie televisive e il rombo magico dello stadio pieno. Stanno provando di tutto, i manovratori del calcio, per rovinare questa idea. Ma non ce la faranno. Ogni squadra, a suo modo, è speciale e ha colori bellissimi. Quando sono nerazzurri, sono addirittura incantevoli.
Beppe Severgnini
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Confesso che mi hanno fatto tenerezza, i tifosi milanisti che sono andati a sventolare sciarpe e maglie per Gonzalo Higuain, sotto il balcone del Palazzo dell’Arengario a Milano. Tenerezza non vuol dire irritazione, sufficienza, tanto meno pena. Diciamo che ho provato un moto d’affetto per loro, e l’ho esteso a tutti noi tifosi. Senza la nostra ingenuità il calcio non esisterebbe. Ogni tanto penso alle risate che devono farsi i procuratori, impegnati a calcolare vantaggi fiscali e percentuali, pensando alla varia umanità che là fuori gongola per un acquisto o freme per una cessione. L’ascensione al cielo di Higuain e dell’apostolo Caldara — alti sulla piazza, vista sul Duomo — sono risultati commoventi per un motivo. Il Milan, non certo per demerito dei suoi tifosi, ha attraversato un periodo grottesco. Il misterioso cinese che ha speso molti soldi per nulla; il fondo americano; la vecchia proprietà (Berlusconi) che preferisce pensare a Foa e Salvini invece di spiegare se sa qualcosa di quel pasticcio. La situazione era tale che, negli ultimi tempi, molti hanno provato a consolare gli amici milanisti. E chi tifa lo sa: non c’è nulla di peggio della compassione degli avversari. Ora cambierà? Lo spero, per almeno tre motivi. Perché il Milan non è una SPA (Squadra Piuttosto Antipatica), ma una SAS (Squadra Abbastanza Simpatica), come l’Atalanta, il Genoa, la Fiorentina, il Torino, il Cagliari, la Lazio, il Napoli e alcune altre. Perché il Milan è di Milano, quindi un po’ parente. E perché, come certi personaggi sfortunelli nei romanzi di Dickens, merita un po’ di buona sorte, nella seconda parte del romanzo. Ricordo il gol di testa del portiere del Benevento, all’ultimo minuto, il giorno dell’esordio di Gattuso in panchina: sono cose che si stampano nella memoria di una generazione. Vedete? Mancano ancora due settimane all’inizio del campionato, e già ragiono da tifoso. Quindi, non ragiono. Perché una squadra non è un cosa concreta. È un’idea platonica cui associamo ricordi d’infanzia e serate con gli amici, celebrazioni collettive ed euforie solitarie, ansie televisive e il rombo magico dello stadio pieno. Stanno provando di tutto, i manovratori del calcio, per rovinare questa idea. Ma non ce la faranno. Ogni squadra, a suo modo, è speciale e ha colori bellissimi. Quando sono nerazzurri, sono addirittura incantevoli.
Beppe Severgnini
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