Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Sulla faccenda Telecom ci sono due questioni aperte. La prima riguarda il fatto che i dati sensibili del paese passano per la rete telefonica e la rete telefonica è in questo momento in mano a uno straniero. Il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica), cioè i nostri servizi segreti, sono già intervenuti ufficialmente su questo punto. Il suo presidente, Giacomo Stucchi, ha detto: la cessione del controllo di Telecom agli spagnoli di Telefonica «pone seri problemi di sicurezza nazionale, visto che la rete Telecom è la struttura più delicata del Paese, attraverso cui passano tutte le comunicazioni dei cittadini italiani ed anche quelle più riservate. Faremo una riflessione come Comitato e chiederemo che il direttore del dipartimento delle informazioni per la sicurezza Giampiero Massolo venga a riferire al Copasir sui dettagli dell’operazione». Massolo ha promesso di preparare un dossier sui rischi connessi alla nuova situazione. Il secondo punto riguarda l’evidente conflitto d’interessi in cui si trova Telefonica: la compagnia spagnola è concorrente di Telecom in Brasile e in Argentina e, una volta impossessatasi del controllo di Telecom, potrebbe chiudere o deprimere le attività latinoamericane degli italiani per sviluppare le proprie senza avere più concorrenti. L’unico che ieri ha messo in evidenza questo punto è Luigi Zingales, economista e consigliere d’amministrazione della compagnia, che ha parlato a nome di tutti gli amministratori indipendenti: «Gli amministratori indipendenti di Telecom Italia lamentano che, ancora una volta, la partecipazione di maggioranza relativa di Telecom venga trasferita a sostanziale vantaggio di pochi, senza alcuna considerazione per la maggioranza degli azionisti. E’ con disappunto che osservano come l’ordinamento italiano non contempli strumenti di tutela della maggioranza degli azionisti, quando pacchetti in grado di conferire il controllo di fatto finiscono nelle mani di azionisti in conflitto con l’interesse sociale. E’ questo il caso di Telefonica, un concorrente diretto di Telecom Italia in Argentina e Brasile, che rischia di forzare Telecom Italia alla dismissione di asset preziosi per il rilancio della società». Questa dichiarazione tocca un altro punto, finora ignorato da tutti, compresi i politici (che ieri si sono scatenati in recriminazioni, accuse e il resto del repertorio, piuttosto fariseo): mentre ai tre grandi azionisti venditori, gli spagnoli hanno riconosciuto un consistente sovrapprezzo sul valore dell’azione in Borsa, non godranno minimamente di questo sovrapprezzo gli azionisti del cosiddetto parco-buoi, quelli che detengono l’85 per cento delle azioni. Anzi, ieri il titolo in Borsa ha perso un buon 4% perché agli investitori, evidentemente, non torna del tutto il conto di un’azienda con 70 miliardi di debiti che ne compra una con 40 miliardi di debiti. I piccoli azionisti riuniti nella loro associazione, Asati, reclamano un aumento di capitale di tre miliardi, da deliberare il prossimo 3 ottobre, per evitare il declassamento a spazzatura del debito da parte delle agenzie di rating, con ulteriore inevitabile crollo della quotazione.
• Il governo non potrebbe intervenire in qualche modo?
Un tempo esisteva la golden share, o azione d’oro, in mano appunto al governo. Si poteva intervenire nel caso di aziende di interesse nazionale e impedire porcherie. In Francia Sarkozy dichiarò di interesse nazionale persino l’alimentare, per impedire agli italiani di metter le mani sulla loro produzione di latte e burro. La golden share come la intendiamo noi, invece, c’è stata proibita da Bruxelles, che ci ha invece concesso un “golden power”, più limitato e il cui regolamento è in corso di scrittura. Riguarda però solo difesa e sicurezza nazionale, e non comprende (almeno finora) le telecomunicazioni.
• Come si è giustificato Bernabè nell’audizione di ieri in Senato?
Ha parlato davanti alle commissioni Lavori Pubblici e Industria. Dice che è stato colto di sorpresa, non sapeva niente. È incredibile, ma tecnicamente possibile: gli azionisti sono una cosa, l’amministratore un’altra. Certo, ha ragione Marco De Benedetti, ex amministratore di Tim, che ieri ha twittato: «Management degno di questo nome si dimette se azionista ne preclude operato». Del resto s’è detto ignaro anche Catricalà, viceministro allo Sviluppo: «Nessuno ci ha avvertito, lo avessero fatto sarebbe stato meglio».
• Perché, che cosa avrebbero potuto fare?
Non avrebbero potuto fare – e non avrebbero avuto la forza di fare – assolutamente niente. Il capo del governo, Letta, lo ha detto: «Guardiamo, valutiamo, vigileremo sul fronte occupazionale, ma bisogna ricordare che Telecom è una società privata e siamo in un mercato europeo». Cioè non sono ammessi aiuti o interventi impropri.
• Già, c’è il fronte occupazionale...
Telecom ha 84 mila dipendenti, 54 mila dei quali in Italia. Michele Azzola della Sic-Cgil teme il taglio di 16 mila posti di lavoro. I sindacati sono preoccupati e hanno chiesto un incontro al governo. Ma è poco più che un riflesso condizionato. La palla non è in mano al governo, a meno il governo non espropri in qualche modo la rete.
• Quanto può valere la rete?
Dieci-quindici miliardi.
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