Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
A un anno da Rigopiano
Un anno fa, Rigopiano.
• Il terremoto.
No, la valanga. Pochi minuti prima delle 17 del 18 gennaio 2017 si staccò dal monte Sella una valanga di neve e detriti di 120 mila tonnellate. Ne fu travolto l’hotel Rigopiano a Farindola, un resort di lusso con spa a 1.200 metri costruito sul versante pescarese del Gran Sasso. L’impatto fu devastante, si parlò della forza di quattromila tir a cento all’ora, e infatti l’intera struttura venne trascina a valle per dieci metri. In quel momento nell’albergo c’erano quaranta persone: 28 ospiti, di cui 4 bambini, e 12 dipendenti. L’Abruzzo era sommerso dalla neve e, poco prima, quattro scosse di terremoto di magnitudo 5.1 con epicentro nell’Aquilano avevano fatto tremare tutto il centro Italia. Con le strade bloccate, gli ospiti dell’hotel, impauriti e desiderosi di tornare a valle, dovettero aspettare i soccorsi. Uno spazzaneve atteso per le 15 non arrivava. Arrivò invece la valanga. Alle 17.40 Giampiero Parete, uno dei due sopravvissuti, telefonò al suo datore di lavoro, Quintino Marcella, che diede l’allarme. Marcella però non fu creduto. Una funzionaria della Prefettura di Pescara lo liquidò con la frase «la mamma degli imbecilli è sempre incinta». I soccorsi si misero in moto solo alle 19. Si scavò per una settimana. Alla fine persero la vita in 29.
• Qualcuno ha pagato per tutto questo?
Per ora ci sono 23 indagati, tra i quali il presidente della provincia di Pescara, Antonio Di Marco, il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, il gestore dell’albergo Bruno Di Tommaso. I reati ipotizzati negli avvisi di garanzia emessi il 23 novembre scorso dalla procura di Pescara vanno, a vario titolo, dal crollo di costruzioni o altri disastri colposi all’omicidio e lesioni colpose, all’abuso d’ufficio e al falso ideologico. Le indagini si sono concentrate sulle concessioni rilasciate al resort, sulla mancata realizzazione del piano regolatore di Farindola, sulla gestione dell’emergenza neve e sul ritardo con cui, solo il 18 gennaio secondo i pm, si è reso operativo il Centro coordinamento soccorsi nella sala operativa provinciale della protezione civile. Nell’avviso di garanzia sono anche state elencate le cause di morte delle 29 persone rimaste sepolte sotto la neve all’hotel Rigopiano: «asfissia, ostruzione delle vie respiratorie e compressione del torace, violenti traumi contusivi e schiacciamento a seguito del crollo della struttura, crash syndrome con compartecipazione di un progressivo quadro asfittico, emorragia subracnoidea traumatica, asfissia da valanga e in presenza di basse temperature». Sui tempi del processo non si hanno certezze.
• Oggi sentiremo di nuovo un coro di «Mai più un’altra Rigopiano». Eppure mi sembra che non cambi mai nulla.
Noi siamo dei disgraziati, dobbiamo rassegnarci a spendere per costruire come si deve e dobbiamo anche migliorare il sistema dei soccorsi. Sappiamo che da noi i terremoti sono eventi imprevedibili, sì, ma inevitabili: l’Italia si trova sopra la faglia che divide la placca africana da quella eurasiatica, cioè il nostro paese è tutto sismico, e in base a quello che ha spiegato una volta Enzo Boschi – il famoso geologo – la fascia appenninica dall’Abruzzo in giù è esposta a terremoti fino a magnitudo 7 e dall’Abruzzo in su fino a magnitudo 6. Il guaio nella comprensione e previsione di questi fenomeni è che sappiamo poco di come è fatta la Terra. Con i telescopi abbiamo fotografato oggetti lontani 10-11 miliardi di anni luce, una distanza inimmaginabile. Mentre abbiamo bucato la Terra per appena qualche chilometro (il record fu stabilito a Kola in Russia: 14 chilometri) e per il resto procediamo ipotizzando, supposizioni e ipotesi che si basano principalmente proprio sullo studio dei terremoti e delle onde sismiche. Una previsione di un terremoto in tempo utile non è ancora possibile.
• Ma si potrà almeno mettere in sicurezza il territorio italiano per limitare al minimo i danni?
Se si volesse sistemare tutto – tra edifici pubblici e privati - bisognerebbe procurarsi circa 360 miliardi di euro. Sembrano numeri enormi, ma in cinquant’anni, senza minimamente risolvere il problema, abbiamo speso per interventi post-terremoto 190 miliardi (stime Ania). Se ci mettiamo le altre catastrofi, tipo le alluvioni, i miliardi diventano 250. Si tratta di decidere se è meglio intervenire dopo, senza aver risolto il problema, o prima, risolvendolo. Abbiamo la certezza di una sequenza di terremoti da 6-7 gradi della Scala Richter, che si susseguiranno implacabilmente nei prossimi anni, distruggendo e uccidendo, se non faremo niente. Non sappiamo esattamente il dove e il quando, ma sappiamo che arriveranno, al ritmo di uno ogni quattro-cinque anni.
• Interventi di lungo periodo, lo sa bene anche lei, non portano voti.
In questa campagna elettorale si parla di tutto, ma non di mettere in sicurezza il paese. La lezione di Rigopiano, quella di Amatrice, quella dell’Aquila non sono state capite, o meglio: dopo gli impegni delle prime ore, sono state subito dimenticate. Siamo qui a ricordare i morti di un anno fa e a chiederci se quella lezione di inefficienza, di cretinera e di malaffare è stata meditata, se è servita a qualcosa. Amaramente siamo costretti a rispondere che, passata l’emergenza, gli occhi di chi dovrebbe decidere e agire si sono subito girati da un’altra parte. E girati resteranno, purtroppo, fino alla prossima scossa.
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