Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Vladimir Putin è il nuovo presidente russo, come risulta chiaro dallo spoglio di un primo 14,5% delle schede: il nuovo presidente è già in testa con quasi il 62% dei voti, e il secondo in lizza, il comunista Ziuganov, gli starebbe distante di 45 punti (exit poll dell’istituto Vtsiom). Quindi, vittoria sicura e niente ballottaggio, tant’è vero che la tv ha già dato la notizia, centomila persone si sono radunate per festeggiare al Maneggio sotto le mura di Berlino e lo stesso Putin è atteso da un momento all’altro, probabilmente con la rediviva moglie Ludmilla, nuovamente esibita al seggio dopo un lungo periodo di oblio mediatico.
• Senta, ma Putin non è sempre stato lì? In che senso “nuovo presidente”?
Putin adesso non era presidente, era primo ministro. La storia è questa: Vladimir Vladimirovic, ossia VV, venne eletto presidente una prima volta nel 2000 e una seconda volta nel 2004. In Costituzione c’era la regola che non si poteva essere eletti presidenti per tre volte consecutivamente. Putin avrebbe potuto facilmente modificare questo punto, ma non volle e adottò invece questa tattica stranissima: da presidente della Repubblica si candidò per un posto in Parlamento, con l’idea di essere nominato poi primo ministro, mentre alla presidenza della Repubblica sarebbe stato piazzato un suo fedelissimo. Fu eletto e per qualche mese sedette sui banchi della Duma, restando capo dello Stato. Impazzava, a quell’epoca, il toto-Cremlino: chi avrebbe scelto il presidente-deputato come suo partner, a chi cioè avrebbe affidato la presidenza della Repubblica mentre lui faceva il capo del governo? Fu allora che sorse l’astro di Medvedev, già noto tra i potenti per aver guidato la Gazprom, l’azienda energetica. E così i due sono andati avanti per quattro anni, uno a guidare il governo, l’altro dall’alto della poltrona massima, al Cremlino. Nel frattempo Putin, da premier, provvedeva ad allungare il prossimo mandato presidenziale, portandolo a sei anni rinnovabili. Il disegno si completa perfettamente adesso: passati i quattro anni canonici, VV si ripresenta alle presidenziali, vince alla grande (risultato di ieri) e si prepara perciò a comandare i russi da capo dello Stato per altri dodici anni, 6 + 6. Se non succede niente resterà lì fino al 2024, quando avrà 74 anni. Più tempo di Stalin. Medvedev nel frattempo farà felicemente il primo ministro.
• È tutto così liscio? Nei giorni scorsi ho letto di manifestazioni contrarie a Putin, manifestazioni piuttosto numerose.
Sì, soprattutto nelle grandi città, e soprattutto a Mosca e a San Pietroburgo, è sorto un forte movimento che contesta il nostro uomo. La cosa va anche di moda. Cioè risulta elegante e in un certo senso di buon gusto, oggi, dare addosso al nuovo capo dello Stato. Da quello che capisco, Putin di fronte a tutto questo ha l’aria di di rispondere facendo spallucce. La situazione gli deve apparire perfettamente sotto controllo.
• È così?
Il livello dei candidati che gli hanno fatto la concorrenza in queste elezioni è talmente basso… Un comunista, un nazionalista, un uomo d’apparati… Diciamolo: l’opposizione è priva di una leadership credibile. E però la Russia ha gravi problemi economici, a cui non potrà far fronte se il prezzo del petrolio non si stabilizzerà almeno a 150 euro al barile. Lo Stato poi è profondamente corrotto, e con un problema demografico immenso, su una superficie di 17 milioni di chilometri quadrati – sedici volte l’Italia – abitano appena 160 milioni di persone, con una speranza di vita inferiore ai sessant’anni. Questi problemi e l’esistenza di una borghesia, fatta nascere dallo stesso Putin, potrebbero dar luogo a qualche rivoluzione, a qualche rovesciamento… Insomma, il regime Putin-Medvedev – definito una “democrazia autoritaria” – appare forte dell’appoggio di apparati, oligarchie e popolo delle campagne, ma in bilico per quanto riguarda i problemi colossali del Paese. Naturalmente il detonatore di questo viluppo non si sa quanto esplosivo dovrebbe essere innescato dalla nascita di una leadership in grado di oscurare il popolarissimo Putin.
• E tuttavia stasera è prevista subito una grande manifestazione contraria alla staffetta, un corteo che chiederà a Putin di togliersi di mezzo.
Sì, sulla Pushkinskaya. L’aria è che Putin lascerà fare. Ha speso quattrocento milioni di euro per piazzare telecamere nei 96 mila seggi del Paese. Intende spendere 500 miliardi per comprare armi. Credo che stasera avrà agenti dappertutto, ma lascerà fare.
• Si è votato anche in Iran. Erano elezioni politiche.
Sì, un voto assai significativo che ha visto in lotta le varie frazioni del partito conservatore. Ha vinto la guida suprema Khamenei (i “principalisti”), che ha lanciato la leadership del prossimo, probabile futuro presidente Larijani. Ahmadinejad, che dovrà lasciare in ogni caso la presidenza entro diciotto mesi e non potrà ripresentarsi, sembra destinato all’oblio. Khamenei ha fatto in modo che non venisse eletta nemmeno la sua amata sorella Parvin, candidata nella città natale di Garmsar. Come ricorderà, gli oppositori del regime – Mousavi e Mehdi Karroubi – sono agli arresti domiciliari e la repressione verso qualunque dissenziente è durissima. Il riccone Khatami, che rappresenterebbe l’ala liberale e che aveva tentato di porre delle condizioni per andare a votare, s’è poi presentato alle urne disciplinatamente e senza accennare a nessuna fronda. Il regime lo lascia nuotare e giocare a ping pong (le sue passioni), ma non gli permette di interferire col potere centrale. Intanto il ministro degli Esteri israeliano ha dichiarato: «Israele prenderà le decisioni più appropriate alla sua valutazione della situazione. Se la comunità internazionale non è capace di fermare i massacri in Siria, qual è il valore delle sue promesse di assicurare la sicurezza di Israele?».
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 5 marzo 2012]