Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
I frattali sono oggetti geometrici le cui parti sono simili o addirittura identiche all’intero. Si può dire all’inverso: quando un oggetto è strutturato a frattali, basta prendere una sua parte, sia pure piccola, per avere un’idea di come è fatto tutto l’insieme. Questo discorso, apparentemente lunare, serve a fotografare la situazione in Libia, dove si riproduce su scala ridotta un caos strutturalmente simile a quello che sta travolgendo il resto del Medio Oriente: guerre fra bande, mancanza di un centro, impossibilità di capire quale sarà la soluzione finale e se ci sarà una soluzione finale.
• I frattali sono un discorso lunare, ma forse lo è anche la Libia. Con quello che sta succedendo in Israele, oppure con quello che sta succedendo nel nostro Senato, vale la pena oggi di interessarsi a quello che accade laggiù?
Il nostro Senato riproduce la situazione dell’era Gheddafi: il sistema tiene e difende se stesso, impossibile dire adesso se a torto o a ragione. Demolito il sistema, o magari travolto dai nostri problemi economico/finanziari (manovra da 25 miliardi in autunno, si dice, o forse addirittura da 40), diverremo anche noi una Libia con le mille tribù in lotta tra loro per conservare pezzetti di potere o di patrimonio? Senato e Israele ci mettono ogni giorno al rischio di scrivere un pezzo identico a quello del giorno prima.
• Vada per la Libia. Migliaia di tribù?
Mille e settecento milizie almeno, secondo i calcoli di quelli che riferiscono dal campo. Mille e settecento per un popolo di sei milioni di abitanti, un milione dei quali è già scappato in Tunisia (la Tunisia ha chiuso le frontiere proprio ieri, perchè la sua economia non è in grado di sopportare l’invasione). Tutte queste milizie sono armate fino ai denti, perché al momento della caduta di Gheddafi hanno saccheggiato gli arsenali. E gli arsenali erano zeppi di armi. Lo stesso Gheddafi aveva preparato un esito come quello a cui stiamo assistendo: evitando di formare un esercito davvero forte, con nascita inevitabile di una casta militare (i militari prima o poi lo avrebbero rovesciato, e lo sapeva), s’era affidato per la sicurezza a bande di amici, piuttosto irregolari e pronte alla ventura. Caduto lui, le bande sono partite in caccia. I combattenti possono dividersi secondo lo schema ormai ovvio degli islamisti contro i laici. Con la variabile del generale Khalifas Haftar, settant’anni, un lungo passato americano, adesso sul campo con l’appoggio del presidente egiziano al Sisi, il quale vuole impedire che Tripoli diventi la capitale di uno stato jihadista. Ieri però, dopo una battaglia di parecchi giorni, Haftar ha perso, in favore delle milizie islamiche, l’aeroporto di Bengasi. Cinquanta cadaveri almeno trovati dai vincitori. Ma sono numeri che le agenzie hanno ripreso chi sa da dove. Nell’ultimo anno i morti della guerra civile libica (una guerra suddivisa in centinaia di microguerre civili di tipo frattalico) sarebbero mille, cifra che mi pare bassa.
• È una storia drammatica, ma in che modo ci riguarda?
Sulla costa ci sono centomila disperati pronti a lanciarsi sulle nostre coste. Ieri, cento chilometri a est di Tripoli, è naufragato un altro barcone diretto verso l’Italia. I morti sono almeno venti. L’altra questione è rappresentata dal petrolio e dal gas. Al tempo di Gheddafi l’Eni pompava 280 mila barili di petrolio al giorno (23 per cento del nostro fabbisogno) e i nostri consumi di gas dipendevano dalla fornitura libica per il 12%. L’Eni viaggia adesso intorno ai 30 mila barili, in pratica un decimo della produzione dei tempi d’oro. La Libia sarebbe capace di una produzione da 1,25 milioni di barili al giorno. E sa l’assurdo? A causa della guerra civile e della ferocia con cui ciascuna tribù vuole incassare le royalties del greggio, il paese è senza energia, senza elettricità, senza carburanti.
• Ci sono ancora italiani laggiù?
Intorno all’aeroporto appena conquistato dagli islamici ci sono sei milioni di barili di benzina. Stanno bruciando tutti, uno spettacolo allucinante che dura da giorni. La strada per la Tunisia, l’unica agibile, è piena di camion e macchine che trasportano gli stranieri in fuga. Ha fatto sensazione la fuga degli americani, sabato scorso. Se ne sono andati anche gli altri: i tedeschi, i francesi, i turchi. La maggior parte delle ambasciate ha chiuso. Ma non la nostra, anche se cento italiani sono rientrati da laggiù l’altro giorno. Il paese più interessato al mondo al destino della Libia, e non solo per ragioni sentimentali, è l’Italia.
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