Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’Unità chiude, come apprendiamo da un comunicato dei liquidatori: «I liquidatori di Nuova Iniziativa Editoriale Spa in liquidazione, società editrice de L’Unità, a seguito dell’Assemblea dei soci tenutasi in data odierna comunicano che il giornale sospenderà le pubblicazioni a far data dal 1 agosto 2014».
• Nuova Iniziativa Editoriale sarebbe la casa editrice?
Sì. Al testo della Nie, freddo come sempre in questi casi, ha fatto seguito quest’altro comunicato, caldissimo invece (e anche questo è nelle regole): «Fine della corsa. Dopo tre mesi di lotta, ci sono riusciti: hanno ucciso l’Unità. I lavoratori sono rimasti soli a difendere una testata storica. Gli azionisti non hanno trovato l’intesa su diverse ipotesi che avrebbero comunque salvato il giornale. Un fatto di gravità inaudita, che mette a rischio un’ottantina di posti di lavoro in un momento di grave crisi dell’editoria. I lavoratori agiranno in tutte le sedi per difendere i propri diritti. Al tempo stesso, con la rabbia e il dolore che oggi sentiamo, diciamo che questa storia non finisce qui. Avevamo chiesto senso di responsabilità e trasparenza a tutti i soggetti, imprenditoriali e politici. Abbiamo ricevuto irresponsabilità e opacità. Questo lo grideremo con tutta la nostra forza. Oggi e’ un giorno di lutto per la comunità dell’Unitò, per i militanti delle feste, per i nostri lettori, per la democrazia. Noi continueremo a combattere guardandoci anche dal fuoco amico». Firmato: Comitato di Redazione.
• Ragioni vere della chiusura?
Il giornale ha trenta milioni di debiti, e ogni mese questo numero aumenta di 700 mila euro. Vende ventimila copie e ha sessanta giornalisti. Tutti numeri sbagliati. Pochi giorni fa il direttore Luca Landò, in un editoriale, aveva esaminato le proposte avanzate da tre soggetti per salvare la testata. Il comunicato dei soci ci dice che nessuna di queste tre proposte sta in piedi. Uno dei supposti salvatori era Daniela Santanché. A solo sentire quel nome i giornalisti del quotidiano sono andati su tutte le furie. Comprensibile, ma anche no. In passato hanno pasticciato con l’Unità gli Angelucci editori di Libero, la Maria Caludia Ioannucci che fu già in Senato per conto di Berlusconi ed era amicissima di Lavitorla, gli hanno dato un’occhiata anche i Caso (interessi in Nicaragua e in Montenegro), editori-disastro di Dieci. E se la Santanché gli avesse fatto fare un giornale di sinistra-sinistra, come sono tentato seriamente di credere? Non le hanno dato nemmeno la possibilità di provarci.
• Mettiamo che si attivi la procedura fallimentare. Allora la testata - comunque un brand - si porterebbe via a quattro soldi, e senza nemmeno il peso dei vecchi dipendenti.
È così. I giornalisti dell’Unità scrivono che in questo caso il nuovo padrone dell’Unità non sarebbe più un salvatore, ma uno speculatore. È imbarazzante doverlo ricordare, però l’Unità campa da un sacco di anni sulle spalle dei contribuenti. Sei milioni di euro all’anno tra il 2003 e il 2010. Adesso tre milioni e mezzo. Come non chiedersi se questo sia giusto, se questo sia ancora possibile. Lo dico per l’Unità e lo dico per tutti i giornali che, a qualunque titolo, incassano soldi dallo Stato. Dai giornali facciamo ogni giorno la morale al governo, ce la prendiamo con gli sprechi. Poi accettiamo di sopravvivere grazie ai sussidi. Sarebbe questa la democrazia? Sarebbe questa la libertà di stampa? Via, non scherziamo.
• Ragioni della crisi?
Abbastanza semplici da individuare. C’è intanto la difficoltà generale: un tempo - e non era neanche allora un tempo economicamente semplice - sei milioni di italiani compravano ogni mattina un quotidiano. Adesso sono poco più di quattro milioni, e forse anche meno. La pubblicità, poi, è crollata, come non occorre ripetere. Sul piano particolare: l’Unità ha perso la sua occasione quando ha lasciato andar via il gruppo Padellaro-Travaglio-Furio Colombo, che ha fondato con grande successo Il Fatto. Sull’altro lato c’è Repubblica, un colosso. Il lettore di sinistra ha dunque due prodotti di alto livello, a cui l’Unità non è stata capace di fare concorrenza. Si direbbe che dell’Unità non c’è più bisogno. Non ha quasi più neanche le grandi firme. Su quel giornale scrivevano Calvino, Pasolini, Paul Eluard, Pavese, Bontempelli, Hemingway, Garcia Lorca. Su quel giornale scriveva Fortebraccio. Non si poteva fare a meno del corsivo di Fortebraccio, qualunque idea politica si avesse. L’Unità chiude anche per questo: non ci scrive più Fortebraccio.
• Fortebraccio è morto da un pezzo. E il Pd, su questo fallimento storico, non ha niente da dire?
L’Unità fu fondata da Gramsci e in occasione dei novant’anni dalla nascita (12 febbraio 1924) è stata ristampata dalla stessa Unità la lettera fondativa. La parola "unità" non si riferisce all’unità della sinistra, che il Pci aveva rotto cinque anni prima, ma all’unità tra operai e contadini. Un’autentica chimera, come tante belle idee del vecchio Pci. Adesso Matteo Renzi non sembra intenzionato a intervenire. Del resto il Pd, adesso e nelle sue varie epifanie precedenti, ha sempre cercato di possedere l’Unità senza possederla, di guidarla senza guidarla, di sfruttarla senza sporcarsi le mani. I risultati sono questi.
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