Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri hanno scioperato quelli del cosiddetto «trasporto urbano», cioè i conducenti di autobus e tram che ogni giorno ci portano da casa all’ufficio e viceversa. I due più importanti siti d’informazione, e cioè corriere.it e repubblica.it, hanno collocato la notizia in basso. Il corriere.it in sesta fila, terza posizione da sinistra; la repubblica.it al nono posto. Le notizie sulle adesioni fanno capire il perché di questa disattenzione: in media, nelle città coinvolte, si sono astenuti un lavoratore su due e qualche volta anche di meno. Genova, che fece fuoco e fiamme l’anno scorso, è rimasta calma, visto che sta ancora pagando le multe per i casini combinati a settembre. Si segnalano ingorghi e disagi, naturalmente, ma generalmente i cittadini hanno fatto abbastanza spallucce. Chi ha i centri storici chiusi, come ad esempio Roma, li ha riaperti per l’occasione. La gente, in sostanza, ha ripreso tranquillamente la macchina e lo sciopero è passato senza troppe tragedie.
• Non so neanche perché ne parliamo. Che cosa vogliono?
Il contratto gli è scaduto da sette anni, e a quanto pare non sarà rinnovato ancora per parecchio tempo. Lo sciopero è stato proclamato dalle sigle canoniche: Cgil (Filt), Cisl (Fit), UilTrasporti, Ugi Autoferratranvieri, Faisa Cisal. Il comunicato dei sindacati dice che «le associazioni datoriali del settore hanno confermato, anche in occasione dell’ultimo incontro al Ministero dei Trasporti, che l’attuale quadro di finanziamento del settore rende possibile il rinnovo contrattuale solo a condizione che esso risulti integralmente autofinanziato. Questa posizione datoriale ha impedito qualsiasi possibile sviluppo immediato e concreto del confronto, per la ripresa del quale i ministri Lupi e Proietti hanno comunque confermato il proprio impegno». Come vede, la vertenza è piuttosto interessante e merita una delle nostre conversazioni.
• Che ci vede di così interessante?
Intanto le cosiddette «associazioni datoriali», cioè i padroni, sono i politici, perché le aziende di trasporto locale sono possedute dai comuni e rappresentano, generalmente parlando, le peggio amministrate tra le imprese cittadine. Vediamo qui di fronte politici e sindacalisti, gente cioè, direbbe il cittadino qualunque, che appartiene alla stessa razza. Poi c’è quella bella frase, carica di sensi nascosti: «Il contratto può essere finanziato ... solo se risulta integralmente autofinanziato».
• Che cosa significa?
Che oggi non si può far uscire neanche un euro che non sia entrato grazie alla normale attività dell’autotrasporto, biglietti e, suppongo, pubblicità sulle fiancate e negli spazi interni dei mezzi. Sembrerebbe una posizione logica, ma al sindacato pare che sia proprio questa pretesa a impedire la conclusione della trattativa. Non si fanno i contratti con la calcolatrice - come ha detto una volta l’infelice Epifani - oppure «il salario è una variabile indipendente dal profitto» secondo il pensiero del mitico Lama. In altri termini, i rappresentanti dei lavoratori pensano che i soldi vanno trovati in ogni modo, anche se non ci sono. Se vuole, questo è l’ultimo cascame della vertenza genovese, in cui i rappresentanti dei lavoratori se ne fregavano degli otto milioni e mezzo di deficit, e volevano solo che i denari per i loro salari si trovassero.
• I vari governi degli ultimi sette anni non hanno diminuito i trasferimenti verso i comuni e, di conseguenza, verso le municipalizzate?
Certo, e questo è un problema. L’altro problema è che le municipalizzate, e quelle dei trasporti specialmente, sono formidabile strumento di sottogoverno. Faccio l’esempio più facile, quello dell’Atac di Roma: 12 mila dipendenti, di cui almeno 600 ufficialmente “inadatti”, un miliardo e 800 milioni di perdite. E stampavano pure titoli di viaggio falsi per finanziare i partiti (70 milioni l’anno). Come vuole che il cittadino prenda quella degli autoferrotranvieri, così simpatici nei film anni Cinquanta, per una vera lotta?
• Non è strano che ci sia un contratto nazionale valido per tutti? Non sarebbe più sensato che ogni città avesse il suo?
È un altro dei grandi temi sottesi a questo sciopero di ieri, così datato nel tempo e, almeno all’apparenza, inutile. Ha ancora senso il contratto nazionale? Badi che sarebbe ingiusto, però, prendersela solo con i sindacati e con i lavoratori. I politici hanno la colpa, gravissima, di non avere visione sulla mobilità cittadina. Sapeva che, in genere, solo una minoranza adopera il mezzo pubblico e gli altri preferiscono ancora ricorrere all’automobile privata? E non varrebbe la pena di cogliere al balzo la questione di un contratto di lavoro evidentemente fuori dal tempo e che da sette anni giace significativamente come lettera morta, e pensare in termini complessivi al traffico cittadino, se abbia ancora senso incoraggiare, o non scoraggiare, l’uso dell’automobile in città, strumento evidentemente sempre più avvelenatore non solo dell’atmosfera, ma anche della vita sociale urbana?
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