Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Dunque, tra una quindicina di giorni, potremmo vedere Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Caso davvero eccezionale: il nostro non è deputato né senatore e bisognerà vedere se, entrando a Palazzo Chigi, lascerà la carica di sindaco di Firenze, naturalmente rinunciando anche a partecipare alle elezioni per il rinnovo di quel consiglio comunale.
• Ma può succedere sul serio?
Dopo l’elezione di Renzi al vertice del partito, due mesi fa, Enrico Letta ha chiesto un patto di governo. In due parole significava questo: tu, segretario, mettiti intorno a un tavolo con me, presidente del Consiglio, e decidiamo insieme che cosa fare, quali sono le priorità. E anche: i gruppi parlamentari sono formati in gran parte da uomini e donne della vecchia gestione, i tuoi sono pochi e non occupano posizioni a Palazzo Chigi. Definiamo perciò nel patto anche il rimpasto, cioè prendiamo alcuni ministri dell’attuale governo e mandiamoli via, e al posto loro mettiamo degli uomini tuoi. Oltre tutto - ha fatto capire Enrico Letta o chi per lui in queste settimane - il Nuovo Centro destra, con cinque ministri, è sovrarappresentato. Sarà semplice ridurre la loro delegazione a due-tre persone. Anche di alcuni di quelli del Pd sarà facile fare a meno: non so, Zanonato (bersaniano di ferro), è di sicuro uno che si può accomodare.
• Mi viene in mente che la De Girolamo, costretta ad andare via dalle faccende beneventate, non è stata sostituita. Letta ha tenuto la delega dell’Agricoltura per sé, evidentemente con l’intenzione di assegnarla poi alla persona giusta. Zanonato non è stato attaccato proprio da una del suo partito, la governatora del Friuli Debora Serracchiani, per la crisi dell’Electrolux?
Già, e in questi due episodi non c’è niente di casuale. Senonché Renzi, innovando rispetto alle pratiche politiche di un tempo, ha detto che lui di rimpasto non vuol sentir parlare, Letta assegni le poltrone disponibili a chi crede, se vuole rimpastare rimpasti senza coinvolgerlo e senza ricorrere (necessariamente) a dei renziani. Quanto al patto di governo, su cui Letta ha insistito per tutto gennaio, se ne parlerà solo dopo l’approvazione della legge elettorale - ha detto Renzi - e, possibilmente, l’avvio delle altre due riforme, quella relativa al declassamento del Senato e quella che riscrive i poteri delle Regioni (Titolo V della Costituzione).
• Quindi come viene fuori la storia che Letta si farà da parte e Renzi diventerà capo del governo, addirittura entro febbraio?
Il governo vivacchia, fa cose di poco conto, Letta s’è permesso di presentare come un grande successo la miseria dei 500 milioni di investimento promessi dal Kuwait, il cui fondo ha a disposizione capitali per 1.600 miliardi. Eccetera eccetera. Il presidente del Consiglio ha preso l’abitudine di presentare i suoi microstanziamenti o le sue minidecisioni come successi rivoluzionari e di grande portata, come se il cacciavite con cui si esercita nel suo bricolage quotidiano fosse una gru. La cosa è risultata parecchio stridente con la realtà, e infatti pochi giorni fa, proprio mentre il capo del governo era a colloquio col principe degli Emirati (quello che deve salvare Alitalia, anche qui però a suon di spiccioli), è arrivato un attacco a fondo del presidente della Confindustria, il quale non parlava a titolo personale, ma a nome del sistema industriale del Paese, meno la Fiat, che da Confidustria è uscita, ma che ormai è americana.
• Ha il diritto la Confindustria di impicciarsi delle questioni politiche romane?
È una buona domanda, ma noi viviamo in un Paese che la rende quasi ridicola. Lo Stato drena una sacco di soldi col fisco e i partiti comprano consenso redistribuendo questi denari. Questa pratica, l’unica che i nostri statisti conoscono a fondo, si chiama pomposamente «politica industriale». Tutto il sistema si regge su questo. Quindi se tu continui a drenare, ma restituisci poco, in denaro o in mezzi, le tribù non possono che ribellarsi. D’altra parte il va e vieni di euro serve a mantenere una quantità abnorme di gente improduttiva, ma portatrice di voti... Insomma, Giorgio Squinzi, il capo di Confindustria, è un capo-tribù che non si può non ascoltare. Dicendo a chiare lettere che il governo e i suoi sistemi hanno stufato, e quindi o si cambia passo o deve succedere qualcosa...
• Renzi.
Renzi ieri ha twittato: «A me conviene votare, all’Italia no». Come a dire: mi sacrifico per il Paese e, se me lo chiedono, sono pronto a entrare a Palazzo Chigi. Credo che sarebbe uno sbaglio, perché Palazzo Chigi è il centro di tutte le trappole possibili, e infatti caldeggiano questa soluzione proprio i nemici interni del sindaco, cioè la sinistra del Pd, speranzosa di far polpette del suo avversario una volta che questi sia caduto nella loro padella. D’altra parte, una volta approvata la legge elettorale, sarà difficile andare al voto per via dell’esistenza del Senato e della possibilità, concreta, che le elezioni anticipate si concludano con una doppia maggioranza, magari risultato di un doppio ballottaggio.... Oltre tutto, Berlusconi ha già detto che a un eventuale governo Renzi lui vuole partecipare, Renzi gli ha risposto di no, ma per questa via potrebbe saltare pure il patto col Cav per le riforme. L’ideale sarebbe che Letta restasse lì dov’è, e si desse una mossa, lasciando a Renzi-Berlusconi, e ai rispettivi partiti, di procedere sulla strada delle riforme. Il garbuglio dovrebbe essere sciolto il prossimo 20 febbraio, in occasione di una nuova direzione democratica. Berlusconi, da casa sua, assisterà alla battaglia con molto interesse.
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