Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Come mai i giornali di ieri avevano grossi titoli su un’assemblea Telecom, che poi s’è conclusa con un nulla di fatto?
• Sono io che glielo domando. E, già che ci sono: che cosa s’intende per "assemblea Telecom"?
Per "assemblea di una società" si intende "l’assemblea dei soci". Cioè si riuniscono quelli che hanno in mano le azioni della società, i padroni. In questo caso gli azionisti soci dovevano votare la richiesta di uno di loro, richiesta abbastanza sensazionale: licenziare in tronco i 15 membri del consiglio d’amministrazione Telecom, in pratica il governo della società. La richiesta è stata respinta ma per pochissimo: appena il 50,3% del capitale votante. Nelle assemblee ciascun socio vale per la quota che possiede. Quindi se tu hai il 20%, il tuo voto vale per il 20%. Il capitale votante era pari al 54,6% del capitale totale. Quindi, facendo le debite proporzioni, la richiesta di licenziare il cda è stata respinta dal 27,9% degli azionisti. Non una grande vittoria, quindi. Inoltre, il socio di maggioranza relativa avrebbe voluto far entrare in cda due dei suoi. E questa idea l’assemblea l’ha bocciata.
• Dobbiamo chiarire i seguenti punti: chi ha chiesto che il cda venisse licenziato? E chi è il socio di maggioranza relativa?
Il socio di maggioranza relativa è una scatola vuota, che si chiama Telco. "Scatola vuota" significa che la Telco non fa niente, se non tenere nel suo cassetto il 22% delle azioni Telecom. Il 22% delle azioni Telecom basta per controllare Telecom? Certo, perché il capitale Telecom è per la maggior parte frazionato tra milioni di piccoli azionisti. Con quel 22%, perciò, si comanda alla grande. Ma se col 22% si comanda alla grande, potrebbe dirmi lei, sarà importante sapere chi possiede questa Telco, dato che, evidentemente, chi possiede la Telco è anche padrone di Telecom. Il padrone di Telco è la spagnola Telefónica, che ha il 70% circa della società. Fino a settembre aveva il 40%, ma a settembre comprò il restante 30% dagli altri soci italiani (Generali, Intesa e Mediobanca). Così è diventata padrona di Telco e quindi di Telecom. Ma c’è un "ma".
• Quale?
Telefónica ha pagato ai tre che gli hanno venduto il pacchetto per andare in maggioranza poco più di un euro ad azione. Mentre il titolo in Borsa stava intorno ai 60 centesimi. Cioè i piccoli azionisti, quelli che possiedono il restante 78% della compagnia telefonica italiana, non hanno guadagnato da questa operazione nemmeno un nichelino. Però tra questi cosiddetti piccoli azionisti ce n’è uno piuttosto grosso, che si chiama Marco Fossati. Fossati è uno ricchissimo, erede della Star, due miliardi investiti in tutto il mondo. Anni fa ha messo più di un miliardo in Telecom, acquisendone il 5%. Adesso il valore di quell’investimento, ai prezzi di Borsa, si è dimezzato. Fossati ha dato battaglia per avere un trattamento identico a quello dei tre venditori privilegiati. È stato lui a chiedere l’assemblea per buttar fuori l’attuale cda di Telecom e il suo amministratore, evidentemente schierati, a maggioranza, con gli spagnoli. Il furore di Fossati è comprensibile: Telecom, poche settimane fa, ha chiesto soldi in prestito al mercato emettendo titoli cosiddetti "convertendo", bond cioè che fra tre anni si trasformeranno in azioni. Fossati ne aveva prenotati un bel po’, salvo sentirsi dire, la mattina successiva all’emissione, che erano tutti finiti, «dottore, l’abbiamo cercata, ma lei non rispondeva al telefono».
• Non era stata inventata, proprio da Draghi, la faccenda dell’Opa? Cioè, quando uno diventa padrone di una società in questo modo ha l’obbligo di lanciare un’offerta di pubblico acquisto delle azioni presenti sul mercato offrendo lo stesso prezzo riconosciuto ai grandi venditori?
Sì, ma uno è costretto a lanciare l’Opa solo se raggiunge la soglia del 30%. Invece Telco ha il 22... Il senatore Massimo Mucchetti, nostro collega, ha proposto di introdurre nella legge relativa all’Opa il concetto di "controllo di fatto": cioè la Consob, studiando la situazione e specialmente i comportamenti successivi del socio di maggioranza, può stabilire che questo socio, anche se è al di sotto del 30%, controlla la società di fatto e quindi è obbligato all’Opa pure col 22. Il governo e il Parlamento, finora, hanno fatto in modo che l’idea di Mucchetti non passasse.
• Sono anche loro amici degli spagnoli? Non c’è modo di fermare Telefónica, ammesso che convenga fermarla?
Sa chi potrebbe mandare tutto all’aria? Il governo brasiliano. In Brasile Telefónica possiede il cento per cento della compagnia Vivo, primo operatore di telefonia di quel Paese, e prendendo il controllo di Telecom si troverebbe in possesso anche di Tim Brasil. Troppo per le loro leggi, e infatti quel governo ha già fatto sapere agli spagnoli che non si può fare. Gli spagnoli potrebbero imporre a Telecom di vendere la loro partecipata brasiliana, che però guadagna bene. Insomma sono in plateale conflitto di interessi. È un pasticcio come se ne sono visti pochi.
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