Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il Direttore vuole, giustamente, che ci occupiamo dei conti pubblici, dopo l’allarme della Bce dell’altro giorno sull’Italia (ma anche sull’Europa), lo stato problematico delle nostre banche alla vigilia del primo passo verso l’unione, i dati negativi sulla crescita, cioè sul Pil il cui segno resta negativo, anche se l’anno prossimo siamo accreditati dalla stessa Banca centrale di un +1%. Cominceremo perciò a trattare la questione dei tribunali.
• Stavolta la licenziano
Stia a sentire. Nell’anno 1991 il Consiglio Superiore della Magistratura scrisse: «(...) venute meno le difficoltà delle comunicazioni e dei trasporti ed annullate le distanze di spazio e di tempo, oggi la distribuzione capillare nel territorio degli uffici giudiziari non ha valide giustificazioni (...)». La distribuzione sul territorio dei tribunali italiani è andata dietro fino ad ora al sistema stabilito da Rattazzi nel 1859, quando non era ancora completata l’unità (i Mille sono del del 1860). Dopo un ventennio di discussioni senza costrutto, il governo Berlusconi fu delegato a riorganizzare il sistema. Portò a compimento la delega il ministro Severino nel 2012. Si decise che sarebbero stati soppressi i tribunali delle città con meno di 363 mila abitanti, 18 mila cause, 28 giudici in servizio e un carico di lavoro di 638/647 fascicoli. Uniche eccezioni: i centri ad alta intensità criminale, criterio che salvò Sciacca, Caltagirone, Castrovillari (ma non Rossano), Lamezia Terme e Paola. Si soppressero alla fine 31 sedi, 220 sezioni distaccate e 667 uffici del giudice di pace. Risparmi previsti: 50 milioni in tre anni, senza neanche un licenziamento. Erano tutti d’accordo: Parlamento, Consiglio Superiore della Magistratura, Corte costituzionale e quanti altri. L’operazione è scattata ieri adesso. E che cosa è successo ieri? Che ci sono state manifestazioni in tutti i centri colpiti, gli avvocati (da sempre principale ostacolo a qualunque riforma del sistema) hanno organizzato un presidio permanente all’interno del tribunale di Sulmona con sciopero della fame a partire da lunedì, gli avvocati di Pinerolo hanno marciato a passo d’uomo im autostrada, cortei e traffico bloccato a Rossano, a Camerino si sono dovuti chiamare i vigili urbani e i carabinieri, a Potenza - per difendere la sede di Melfi - dell’occupazione si sono incaricati amministratori, consiglieri regionali e avvocati. In rivolta il Consiglio nazionale forense e l’Organismo Unitario dell’Avvocatura, i quali hanno chiesto le dimissioni del ministro Cancellieri. Il ministro Cancellieri ha risposto: non si può tornare indietro, queste cose ce le chiedono le istituzioni europee e la Banca Mondiale. Infatti la riforma dei tribunali è un tassello minimo dello schema che dovrebbe portare alla riforma del Paese. Riforma che le piazze di ieri mostrano come irrealizzabile.
• Ci avviciniamo alla questione dei conti pubblici.
Il nostro fabbisogno a luglio risultava di 51 miliardi, mentre l’anno scorso era di 29 miliardi. Come mai? Perché lo Stato ha saldato un po’ di debiti con i suoi fornitori, ha rinunciato a icnasarre la prima rata dell’Imu e slittato l’aumento dell’Iva. È grave, forse sforeremo il 3% nel rapporto deficit/Pil (grande paura di Francoforte) e tuttavia si tratta alla fine di pezze o cerotti. Troveremo i soldi in qualche modo e andremo avanti fino alle prossime scadenze, ma il problema è che i nostri conti pubblici sono disastrati dall’inefficienza generale e dall’impossibilità di metter mano a qualunque riforma dato che ognuno di noi è pronto a difendere il suo privilegio - contrabbandato per diritto - con le unghie e con i denti. Sa che le grandi aziende italiane e straniere operanti in Italia mettono ormai di regola nei loro contratti che, in caso di contenzioso, il foro competente sarà Londra o Vienna? Come potremo operare una riforma che dimezzi i 9 milioni di processi in essere se ci sono 250 mila avvocati italiani che sul numero e sulla durata di quei processi campano? Sa lei che ci sono più avvocati a Roma che in Francia? Sa che tra poliziotti, carabinieri, guardie forestali, secondini e quant’altro risultano autorizzati a girare con un fucile in mano e/o una divisa quasi un milione di italiani, siamo cioè la società più militarizzata d’Europa e si tratta in un gran numero di casi di ammortizzatori locali nascosti? Sa che ci si accapiglia sulla valutazione del sistema scolastico ma i sindacati impediscono che si giudichi il lavoro dei professori, dico dei professori con nome e cognome, sicché i tanti capaci e meritevoli della nostra scuola si vedono maltrattati come i più lavativi tra di loro? Fatto che ha trasformato i nostri istituti in deposito per i figli che non si sa dove mettere invece che in luoghi di preparazione degli italiani di domani. Per non parlare delle storie più amaramente grottesche: il taglio delle province e dei parlamentari, i costi della politica contrabbandati per costi della democrazia, le 3.500 municipalizzate sull’orlo del fallimento, il magnamagna della sanità, eccetera eccetera una litania che ci è perfino venuta a noia. Tutto questo, a un certo punto, si traduce in numeri, passività, rossi di bilancio e, nel sociale, in cortei, bandiere al vento, false rivoluzioni e discorsi che ci piacerebbe non sentire mai più.
• Che cosa temono di più gli stranieri?
Draghi ha detto che «i frutti della ripresa sono ancora molto verdi». Saccomanni ha risposto: «La politica, più che l’arte del possibile, è la ricerca dell’impossibile». Tutti gridano che siamo fuori dalla crisi, ma i fondamenti che hanno prodotto la crisi sono sempre lì.
• L’incertezza politica non è un problema?
Un grosso problema. Olli Rehn - commissario agli Affari economici - ci ha invitato a metter da parte la zuffa tra partiti e a concentrarci sulle riforme economiche. Jeroen Dijsselbloem. presidente dell’Eurogruppo: «Per l’Italia cosa più importante è la stabilità politica».
• Letta?
Dice che non sforeremo il 3%. Sembra anche sicuro che il governo non cadrà.
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