Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Bersani ha vinto le primarie del Pd con il 61% circa dei voti di preferenza, contro il 39 (più o meno) del suo avversario Renzi. Così dicono le proiezioni del primo minuto e così conferma lo scrutinio di un quinto circa dei seggi. Si sono presentate alle urne – stiamo sempre valutando su dati parziali – due milioni e mezzo, forse due milioni e ottocentomila italiani, con una flessione, rispetto a domenica scorsa, del 15-18%. Bersani ha praticamente fatto il pieno dei consensi andati agli altri tre concorrenti, quelli eliminati al primo turno: tutti e tre infatti – Puppato, Tabacci, Vendola – hanno poi detto ai giornalisti di aver votaro per Bersani. Ci sono stati stato qualche mugugno e qualche protesta perché gli organizzatori hanno in genere impedito, a chi non aveva votato domenica scorsa, di manifestare la propria preferenza. Renzi ha subito chiarito però che non intende presentare nessun ricorso, che non è questione di brogli e che insomma il clima di festa che ha informato di sé le primarie non deve essere turbato da polemiche del giorno dopo e meno che mai da contestazioni formali.
• In concreto che cosa ha ottenuto Bersani, vincendo questo confronto?
Beh, è ufficialmente e incontestabilmente il candidato premier del centro-sinistra. Ricordiamo che lo statuto del Pd non lo obbligava ad affrontarte questa prova. In quanto segretario del partito era automaticamente il candidato premier dei democratici. Ma intanto era chiaro che il Pd non si sarebbe presentato da solo ed era dunque giusto organizzare un confronto con i partiti alleati, cioè i socialisti e soprattutto quelli di Sel. Le primarie avrebbero poi rafforzato il segretario all’interno dello stesso Pd e in effetti, a questo punto, Bersani appare, dentro il partito, forte come non mai. Infine, la prova ha giovato al movimento nel suo insieme e anche ai singoli candidati, con quelle due straordinarie performance televisive di cui la stampa non ha potuto fare a meno di parlare. Adesso, Bersani deve andare a vincere le elezioni, cioè entrare effettivamente a Palazzo Chigi.
• Ce la può fare?
I sondaggi lo dànno in testa, ma ci sono due ostacoli. Uno è Mario Monti, appoggiato fortemente dall’establishment mondiale. È probabile che una Lista Monti non si farà, intanto perché i tre sostenitori di questa opzione – cioè Casini, Fini e Montezemolo – appaiono in questo momento piuttosto deboli, Casini sarebbe intorno al 4-5%, Fini e Montezemolo arriverebbero con difficoltà al 2. Una Lista Monti toglierebbe poi al presidente del Consiglio uno dei suoi punti di forza, la cosiddetta “terzietà”, il suo essere super partes, una qualità che potrebbe farlo rientrare in gioco in ogni momento, se nel frattempo non si schiererà e non andrà al Quirinale. Bersani potrà sempre, se vincesse, offrirgli il ministero dell’Economia. Monti se ne sentirebbe diminuito, ma alla Merkel e agli altri potrebbe andar bene.
• E il secondo ostacolo?
Naturalmente Grillo. Che succederebbe se si andasse a votare con l’attuale sistema elettorale (come sembra sempre più probabile) e il Movimento 5 Stelle risultasse il primo partito? Grillo toglierà in ogni caso voti alle altre formazioni e semplificherà (spero) definitivamente il quadro delle forze in campo. Mettiamo nel conto anche il centro-destra, allo sbaraglio in questo momento, ma non scomparso. Mannheimer, nei suoi sondaggi, lo dà al 16% ma avverte che una Lista Berlusconi (Forza Italia o come si chiamerà) e un Pdl senza il Cav guidato da Alfano, alleati, prenderebbero il 20%. E se nel cartello entrassero anche gli ex An, con una loro squadra, e magari Storace? Non si deve dimenticare che l’elettorato italiano è a maggioranza moderata. Bersani è troppo esperto per considerarsi vincitore già a questo punto.
• Renzi non si farà un partito suo?
Ha detto che lavorerà per il Pd e per la vittoria finale. Io gli credo.
• Non è un bottino troppo magro alla fine di una battaglia come questa? Oltre tutto il professor D’Alimonte aveva spiegato che i democratici guidati da Renzi prenderebbero il 44%, mentre con Bersani capofila starebbero sul 35.
Renzi avrà tutto il tempo di far fruttare il bel risultato conseguito in questa competizione. Risultato anche d’immagine, intendiamoci. Dunque si formerà di sicuro un ticket tra i due, che provvederà intanto a sgombrare il campo dagli ex cavalli di razza, quelli che hanno già deciso di togliersi di mezzo (D’Alema, Veltroni) e quelli che ancora resistono, come Rosy Bindi. Bersani, prendendo la guida del governo, non potrà certo restare segretario. E quindi ci vorrà un congresso. E al congresso il sindaco di Firenze si presenterà piuttosto forte. Sembrerebbe tutto molto chiaro e persino troppo facile se non ci fosse di mezzo quel signore di Genova che da oggi, ne stia pur certo, riprenderà a sbraitare come il suo solito.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 3 dicembre 2012]
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