Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Match sorridente ieri sera su Raiuno tra i due candidati-premier del centro-sinistra, il segretario Pierluigi Bersani in abito nocciola e cravatta rossa, e il sindaco di Firenze Matteo Renzi, giovanilmente in maniche di camicia bianca e cravatta blu. Match sorridente, ma non morbido: Renzi ha ricordato ogni volta che ha potuto gli sbagli commessi dal centrosinistra nelle sue esperienze di governo passate e ha sottolineato con accanimento le responsabilità della sinistra radicale nel far cadere per ben due volte il governo Prodi (1998 e 2008) e nel non varare la legge sul conflitto d’interesse né nella prima esperienza del centro-sinistra (1996-2000, governi Prodi-D’Alema-Amato) né nella seconda (Prodi 2006-2008). Il sottinteso era: sono da rottamare tutti. Bersani s’è dovuto difendere e, quando ha contrattaccato, lo ha fatto con l’aria di dire «studia meglio».
• Possiamo elencare gli argomenti trattati?
Conduceva Monica Maggioni, esperta di politica estera, e dopo le prime due domande relative a calo dei consumi/ricette per la ripresa e alla pressione fiscale, s’è parlato di Europa, primavera araba, quadrante medio-orientale, Siria, Iran. Poi, il Mezzogiorno e la politica industriale. La Maggioni, che arbitrava il confronto da seduta (mentre i due candidati sono rimasti tutto il tempo in piedi), ha poi letto le domande preparate dagli ascoltatori: costi della politica, scandalo dei vitalizi, conflitto di interessi, revisione oppure no della riforma Fornero, problemi della scuola, fino alle domande dei due gruppi di sostenitori piazzati a Milano (fan di Renzi) e a Palermo (fan di Bersani) che hanno introdotto i temi delle alleanze del Pd (con l’Udc o senza?, Bersani s’è detto «aperto», Renzi vuol rottamare anche Casini) e delle liberalizzazioni.
• Quanto tempo avevano per rispondere i due poveretti?
Due minuti. Con diritto di replicare cinque volte a quanto affermato dal concorrente, però in soli trenta secondi. E tuttavia s’è visto che in due minuti si possono dire parecchie cose. Anzi, il confronto di Sky e quello di ieri sera dimostrano che è meglio non mettere uno contro l’altro personaggi radicalmente nemici, come potrebbero essere i berlusconiani e gli antiberlusconiani, e dar luogo a risse alla fine delle quali non s’è capito niente. Meglio contrapporre personaggi che non possono per definizione darsi troppo addosso, come appunto ieri sera. I due contendenti, qualunque cosa si pensi, sono usciti dal match con una reputazione migliorata.
• Mi interessa prima di tutto la questione delle pensioni.
Renzi ha detto che, se sarà il presidente del Consiglio, la riforma Fornero potrà essere ritoccata e migliorata in alcuni punti, ma non ribaltata: in un paese dove si vive di più è ragionevole lavorare di più. La posizione di Bersani non è troppo distante, ma a suo dire l’opera di manutenzione della riforma deve essere più incisiva di quanto ha detto Renzi.
• Il lavoro, la crisi, cosa andiamo a dire agli europei.
Sono tutti e due forti sostenitori dell’Europa, anzi degli Stati Uniti d’Europa, e sul finale Bersani ha rassicurato il pubblico che anche Vendola è per gli Stati Uniti d’Europa. Renzi vuole un’Europa con un presidente eletto dal popolo, una banca centrale che faccia la banca al cento per cento, e un debito pubblico da combattere «perché non possiamo spendere soldi che dovranno essere rimborsati dai nostri figli». Bersani punta su un’Europa solidale, dove si faccia pagare ai finanzieri, in favore dei cittadini, tutto il male che hanno fatto. Sulla crisi, il calo dei consumi, ecc.: Renzi vuol dare cento euro al mese a tutti quelli che guadagnano meno di duemila euro (non ha detto dove prenderà i soldi), tagliare dove non si è mai tagliato (per esempio nella fiscalità relativa alle aziende che lucrano sul gioco). Bersani ha detto che la questione non si risolve da qui a Natale, ma che, nella prossima legislatura, chi ha di più dovrà dare in favore di chi ha di meno, frase che sottintende probabilmente la patrimoniale (parola mai pronunciata, tuttavia).
• Anche lei ha due minuti soli per dirci cos’altro di interessante s’è ascoltato.
Sull’evasione fiscale Bersani vuole combattere l’uso del contante. Sul finanziamento pubblico ai partiti: Renzi vuole abolirlo totalmente perché c’è stato un referendum, Bersani vuole dimezzarlo ma insiste che un finanziamento pubblico ci vuole («altrimenti la politica la fanno solo i ricchi»). D’accordo tutti e due sulla definizione del problema Mezzogiorno come problema di tutta l’Italia, in cui la contrapposizione tra Nord e Sud non porta da nessuna parte (Renzi: «Se non prendo abbastanza voti al Sud, com’è capitato al primo giro, è giusto che perda»). Tutti e due considerano la scuola un tema centrale e affermano la necessità di ridare agli insegnanti, se non proprio i soldi, almeno la dignità perduta. Qualcosa s’è sentito anche sulla legge elettorale: Bersani è favorevole al doppio turno di collegio, Renzi al sistema con cui si eleggono i sindaci. Dopo tanti anni, abbiamo sentito di nuovo la formula «sindaco d’Italia».
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 29 novembre 2012]
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