Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La politica vive un momento di massima confusione, soprattutto perché, tolti Bersani e Grillo, stanno un po’ tutti in un range compreso tra il 5 e il 10 per cento dei consensi, col rischio cioè di non entrare affatto in Parlamento, oppure di entrarci ma risultare irrilevanti, o anche di entrarci e contare qualcosa se la legge elettorale fosse molto proporzionale. I partiti del 5-10 per cento (ci metto una lista Berlusconi e un Pdl col nome nuovo ma senza il Cav) hanno bisogno di alleanze per darsi un minimo di spessore. Fini ha provato un avance con Alfano, incoraggiandolo a liberarsi definitivamente dell’uomo di Arcore, ma Alfano ha risposto di no. Di Pietro continua a inseguire i Ds, perché restando solo il rischio di sparire di scena è concreto. La Lega segue la buffa tattica di annunciare il suo disinteresse per Roma e di puntare l’intero suo capitale sulla Lombardia, dove però i sondaggi dànno al momento in testa Albertini, il quale però si guarda bene dal correre sotto le bandiere di Berlusconi.
• In definitiva, però, tutto dipende dalla legge elettorale. Vogliamo una volta per tutte definire i fondamenti dei vari sistemi, in modo da capir meglio a che tendono le attuali risse?
I sistemi elettorali appartengono a due grandi famiglie. Prima famiglia: sistemi proporzionali. Seconda famiglia: sistemi maggioritari.
• Uno dei due deve essere migliore dell’altro.
No, nessuno dei due è migliore dell’altro in assoluto. Ognuno dei due risponde meglio a domande diverse. Se si vuole una rappresentatività perfetta o quasi perfetta delle opinioni e delle sensibilità presenti nel Paese sarà meglio adottare il sistema proporzionale. Allo stato puro il sistema proporzionale garantisce un numero proporzionale di seggi a ciascuno. Quindi, se hai preso il 10 per cento dei voti avrai il 10 per cento dei seggi, e così via. È il sistema che abbiamo adoperato dal 1946 fino al 1993.
• Sembrerebbe ottimo. E indiscutibile.
Sarebbe indiscutibile se scendessero in campo due soli partiti, diciamo il Partito Conservatore e il Partito Progressista. Uno prenderebbe per forza più voti dell’altro e avrebbe in Parlamento la maggioranza per governare. I guai cominciano quando al Partito Conservatore e al Partito Progressista si aggiungono il Partito Semiconservatore e il Partito Semiprogressista. E magari anche il Partito di Estrema Destra e il Partito di Estrema Sinistra. Prendono ognuno qualcosa come il 15 % dei voti e per fare un governo, dopo, ci vuole un accordo per mettere insieme il 50% +1 dei seggi. Nella Prima repubblica queste trattative duravano mesi, ed erano tavoli duri perché si trattava di spartirsi pezzi di potere. Quindi il guaio dei sistemi proporzionali puri è che garantiscono la rappresentatività, ma non garantiscono la governabilità.
• Per garantire la governabilità è meglio quindi il maggioritario.
Si direbbe di sì. Nel maggioritario, i candidati si disputano ciascun seggio in un confronto diretto. Se si gioca a un turno, piglia il seggio quello che ha preso più voti. Se si gioca in due turni, i primi due vanno al ballottaggio e prevale poi quello che ha preso più voti (esistono nel mondo anche ballottaggi a tre, ma lasciamo stare). Questo sistema può seppellire la rappresentatività: un partito che avesse il 49% dei consensi nel paese potrebbe in teoria non avere neanche un deputato se in tutti i collegi i suoi candidati perdessero 49 a 51. I partiti, specie i partiti centristi con un seguito non eccelso (tipo l’Udc), preferiscono il proporzionale: con un pacchetto dell’8-10 per cento dei voti puoi risultare essenziale alla formazione di una maggioranza e riscuotere quote di potere enormemente superiori alla tua forza. Era il sistema del vecchio Psi che, con un seguito elettorale dell’11-12%, stava al governo e contemporaneamente in tutte le giunte italiane, con la Dc quando si trattava di fare un centro-sinistra e col Pci quando bisognava varare una giunta rossa. È lo scenario che da una ventina d’anni in qua persegue Casini, un vecchio democristiano forlaniano e doroteo. Potersi alleare ora con questo ora con quello.
• In che modo l’attuale scontro sulla legge elettorale si inserisce in questa dialettica tra maggioritario e proporzionale?
Un modo per garantire la governabilità anche col proporzionale è quello di premiare chi arriva primo. Anche se non arrivi al 50 per cento, il sistema ti garantisce un numero di seggi sufficienti per governare. Il 54 o il 55 per cento. Questo trucco è già stato adottato dalla legge elettorale in vigore, il famoso “Porcellum”. Come abbiamo già detto, la Corte costituzionale ha fatto capire che un regalo di seggi a chi non abbia raggiunto una soglia minima rischia di andare contro lo spirito della nostra Carta. Non si può governare il Paese col 15% dei consensi! Le forse politiche si stannop azzuffando adesso sul seguente problema: quanti voti bisogna prendere per avere diritto al premio di maggioranza? E se non si raggiunge la percentuale prevista, ci sarà comunque un premietto per il più forte? Il “Porcellum” aveva il merito di far sapere subito chi avrebbe governato. Il “Neoporcellum” verso cui navighiamo sembra reintrodurre la possibilità, dopo il voto, delle vecchie trattative estenuanti da cui può uscire qualunque governo, compreso un Monti bis. Nessuno tiene conto, a quanto pare, della forza ipotetica di Grillo. Nessuno ha nemmeno la buona educazione di ammettere che le leggi elettorali non si cambiano nell’ultimo anno di legislatura e non si cambiano perché spinti da questo o quell’interesse. Le regole di qualunque gioco devono essere neutre e non possono cambiare in funzione dei giocatori che scendono in campo.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 12 novembre 2012]
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