Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
È passato un anno da Fukushima, e non siamo ancora sicuri di aver appreso fino in fondo quella lezione tremenda. Lezione che mette in dubbio le nostre sicurezze, le nostre profezie, i nostri investimenti e ci mette di fronte alla forza implacabile della natura, forza cieca che non conosce e non rispetta ideologie di sorta e ci presenta sempre il conto all’improvviso.
• Fukushima, cioè il terremoto e i guai con le centrali nucleari.
Sì, un sisma del 9° grado della scala Richter, epicentro a 130 chilometri dalla costa, seguito da uno tsunami – cioè da un’onda – alta quasi 15 metri e che travolse le prefetture di Miyagi, Iwate e soprattutto Fukushima, dove stava la centrale nucleare. I reattori 1, 2 e 3 della centrale fusero, bisognò evacuare i 700 mila abitanti delle tre prefetture, ciè tutti quelli che vivevano in una zona circoscritta da un raggio di venti chilometri. I morti furono 19 mila. Lei ricorderà i video, trasmessi in tutto il mondo, in cui ponti, case, automobili venivano trascinati via dall’onda con una facilità irridente e sembravano a un tratto sciocchezze, giochi, perdite di tempo della nostra pretesa civiltà. Più di 300 mila persone vivono ancora oggi in alloggi di fortuna e dipendono dai sussidi governativi. Oltre 7 mila scuole e asili nido sono stati polverizzati, 25 mila bambini sono ancora adesso senza casa e vivono una condizione di solitudine e precarietà spirituale. Mi fermo qui.
• Come hanno celebrato in Giappone il terribile anniversario?
Con una cerimonia al Teatro Nazionale di Tokyo a cui ha preso parte anche l’imperatore Akihito, 78 anni e convalescente da un intervento al cuore. Tre ore di diretta televisiva diffusa da sei emittenti nazionali su otto. C’erano anche il premier Noda, i presidenti delle Camere, i governatori delle tre prefetture, i capi della Tepco, l’azienda che gestisce la centrale di Fukushima. Si sono sentite, come è costume di quel popolo, ripetute scuse per gli errori commessi e l’insufficienza della risposta approntata. Una litania che, stavolta, ha commosso molto poco i giapponesi. Si segnala laggiù una frattura tra classe dirigente e popolazione ancora più profonda di quella che separa da noi i politici dagli elettori. Le meste celebrazoni del Teatro Nazionale hanno avuto, a quanto pare, poco seguito. Il popolo ha preferito ricordare la tragedia attraverso i riti buddhisti e scintoisti, sono state fatte suonare le sirene e alzati migliaia di altari senza badare alle macerie tossiche che formano il panorama attuale delle tre prefetture.
• La centrale ha ricominciato a funzionare?
Ufficialmente è spenta da dicembre. Però chi ci lavora parla di 93 milioni di tonnellate di liquido contaminato stivate nell’impianto, di 500 tonnellate al giorno scaricate nel Pacifico, di una contaminazione la cui pericolosità comincerà a diminuire non prima di 30 anni.
• S’è capito se c’è una qualche responsabilità umana nella tragedia? La centrale di Fukushima era costruita a regola d’arte o no?
Un comitato internazionale delle Nazioni Unite, invitato dallo stesso governo giapponese, ha visitato il sito. Alla sua guida il fisico nucleare Mike Weightman. Weightman ha trovato più di un errore – più di un errore fatale – nella progettazione. I progettisti – ha detto alla fine – sembra che si siano preoccupati molto dell’eventualità di un terremoto, e pochissimo dell’eventualità di uno tsunami. I primi quattro reattori sono stati costruiti direttamente sul basamento roccioso, secondo un criterio antisismico, ma a un livello del terreno troppo basso per il caso di una super-onda. Le dighe sono state costruire per respingere onde di 6 metri. Ma l’onda dell’anno scorso era di 15 metri. Il rivestimento in zirconio non s’è rivelato all’altezza: alzandosi la temperatura ha reagito producendo idrogeno e provocando l’esplosione dei reattori 1, 2 e 3.
• Però almeno su un punto la tragedia di Fukushima ha avuto un effetto sicuro: il mondo ha abbandonato la costruzione delle centrali nucleari.
Non “il mondo”, ma il “nostro mondo” o, se preferisce, il primo mondo. Sì, è vero, il Giappone ha mantenuto in funzione solo due reattori su 54, Germania Italia e Svizzera hanno detto addio alla politica nucleare, il candidato socialista alla presidenza François Hollande promette ripensamenti di rilievo sulla politica energetica del paese, anche Obama ha rallentato i programmi di costruzione delle centrali. Ma in Asia il nucleare procede invece con uno sviluppo tumultuoso, al punto che i russi della Rosatom, produttori ed esportatori di reattori, dicono di non aver perso una sola commessa in seguito a Fukushima. La World Nuclear Association parla di 60 centrali in costruzione in Cina, India, Vietnam, Corea del Sud. Sono paesi in via di sviluppo, con crescita del Pil di anno in anno anche del 10 per cento. Hanno talmente fame di energia che non si fanno impressionare da un incidente giapponese con 19 mila morti e 700 mila profughi.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport, 11 marzo 2012]