Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri mattina, vicino all’aeroporto di Herat, un attentatore suicida è piombato su una colonna militare italiana a bordo di un’automobile imbottita di esplosivo. saltato per aria producendo un boato impressionante e ha buttato fuori strada un tank, facendo capottare un secondo blindato. Poi s’è visto però che i danni dell’incursione sono stati leggeri: sette feriti non gravi, tre dei quali dimessi subito dall’ospedale. Sono stati diffusi i nomi di cinque dei sette militari: tenente colonnello Giovanni Battaglia, di Vittoria (Ragusa); capitano Giuseppe Cannazza, di Galatina (Lecce); primo maresciallo Fabio Sebastiani, di Palermo; maresciallo ordinario Alessandro D’Angelo, di Messina; caporal maggiore scelto Giuseppe Laganà, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria).
• Intanto faccio osservare che i feriti sono tutti meridionali e che i militari in Afghanistan vengono in grande maggioranza dal Sud. Non ha niente a che vedere con l’attentato di ieri, ma mi sembra molto importante dirlo, visto che al governo c’è la Lega.
Sì, e il ministro della Difesa, La Russa, è meridionalissimo anche lui, pure se vive a Milano. La Russa ieri ha detto che l’attentato dimostra il salto di qualità che ha fatto in questi anni la guerra afgana.
• In che senso?
Non lo ha specificato, ma probabilmente allude al fatto che certi sistemi caratteristici della guerra in Iraq si sono ormai trasferiti stabilmente anche in Afghanistan. Lucio Caracciolo ha notato che i protagonisti del conflitto afgano appartengono a quattro categorie: signori della guerra e della droga; capimafia vestiti da capiclan; talebani; residui qaedisti. Questa gente, che nello stesso tempo combatte ed è dedita al malaffare, è incoraggiata e sostenuta da una formidabile corruzione, che riguarda le più alte sfere statali e che si esalta soprattutto nel commercio della droga. C’è rimasto impigliato persino un fratello del presidente Karzai! Ora, uno degli effetti peggiori della corruzione è la depressione, la rassegnazione che si induce in questo modo nel popolo afgano. Non si può pensare infatti di vincere la guerra in Afghanistan senza gli afgani, cioè senza la gente semplice, i cittadini qualunque che chiedono – come tutti gli uomini di questa terra – di vivere in pace, senza sangue, soparatorie e massacri.
• Sa che di questa guerra m’ero quasi dimenticato? Ma di che si tratta alla fine?
Gli americani attaccarono l’Afghanistan nel 2001, dopo l’11 settembre, teorizzando che qui e in Iraq si trovavano i focolai principali del terrorismo internazionale. Occuparono in poco tempo Kabul, Kandahar e altri centri importanti. Poi cominciò la vera guerra, che – come avevano imparato prima degli americani i russi e gli inglesi – è fatta laggiù di sortite e ritirate, agguati e trappole. Si tratta cioè di una guerriglia infinita, della quale non si viene mai a capo.
• Non si potrebbe lasciar perdere?
L’opinione di tutti è che questo è l’unico posto dove ha senso combattere. Sia Obama che McCain hanno detto che dall’Afghanistan non solo non ci si deve ritirare, ma bisogna casomai produrre uno sforzo maggiore, D’Alema, quando era ministro degli Esteri, definì questo «il teatro privilegiato della guerra al terrorismo. Del resto, pure il governo Prodi rifinanziò la missione senza troppi dubbi (si tratta di poco più di 300 milioni di euro l’anno). La guerra contro i talebani è in effetti essenziale perché sono proprio loro ad alimentare il terrorismo islamico. E perché il 90% dell’eroina che si consuma nel mondo viene da qui.
• Che speranze ci sono di averla vinta?
Un rapporto di qualche giorno fa del Natonal Intellingence Estimate manifesta molta preoccupazione: i talebani sembrano farsi sempre più forti, le forze alleate hanno l’aria di essere allo sbando. La ragione principale è la confusione che regna ormai da troppi mesi alla Casa Bianca, sia perché Bush è un presidente in uscita sia perché gli americani sembrano da troppo tempo privi di idee su quello che si può o si deve fare. uno degli effetti del logoramento, tattica nella quale i talebani sono maestri. Un altro problema è quello degli stanziamenti: bisogna mettere più soldi in Afghanistan e lavorare con maggiore convinzione sulla costruzione dello Stato e della classe dirigente. Il senso di abbandono, di cui il paese è vittima, fa il gioco dei fondamentalisti che vogliono far risorgere la loro dittatura. Per la riscossa, che deve passare anche per una ridefinizione del ruolo del Pakistan, ci vuole a quanto pare il nuovo presidente e le sue nuove motivazioni. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 19/10/2008]
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