Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La canzone è sempre quella: le Borse vanno giù, giù e giù. Milano ha perso il 5,75, Unicredit e Intesa sono state sospese per eccesso di ribasso parecchie volte, Eni ha lasciato sul terreno il 7,5 e Finmeccanica l’8,5 e citiamo questi due titoli non a caso dato che, con l’Enel, fanno parte di quelle aziende che il premier teme di veder comprate dai ricconi arabi. Il resto d’Europa non è stato da meno, anzi: Parigi, Londra, Amsterdam hanno subito un altro tracollo.
• E’ di nuovo così da due giorni o sbaglio?
Ancora mercoledì mattina Tokyo aveva chiuso con un uno per cento positivo. Lei sa com’è il ciclo: la mattina presto si guarda la chiusura giapponese, seguono le borse asiatiche, quindi le europee e alle nostre tre del pomeriggio parte Wall Street che dura fino a notte fonda. Le Borse si influenzano una con l’altra. I giapponesi, mercoledì mattina (faccio riferimento sempre all’ora italiana), erano ancora sotto l’influenza dell’euforia diffusa dai vertici europei nel week onde, euforia che aveva fatto schizzare in alto i listini nelle sedute di inizio settimana. Ma mercoledì, chiusa Tokyo, ha cominciato ad andar male l’Asia – per qualche ragione che sulle prime nessuno ha capito – l’Europa quindi s’è raffreddata, Wall Street, subito dopo pranzo, ha cominciato a precipitare e tutti gli altri a quel punto le sono andati appresso fino a segnare un’altra caduta paurosa. Ieri mattina, i giapponesi hanno quindi buttato giù i loro titoli di più dell’11%, il più forte ribasso dal 1987 a oggi. Questo ha innescato una nuova giornata di precipizi. Mentre io e lei chiacchieriamo Wall Street è ancora aperta e la discesa continua, inarrestabile.
• Ma perché se le decisioni europee sembravano aver fatto tutti contenti?
Adesso la cosa viene spiegata con la recessione, cioè col fatto che i profitti delle aziende sono azzerati, gli stipendi non crescono e la gente non compra. Il crollo di Wall Street di mercoledì sarebbe stato propiziato da dati sui consumi americani molto negativi. Ieri però sono arrivati dati sulla disoccupazione, nettamente migliori del previsto: i sussidi in America sono diminuiti di 16 mila unità e questo non se lo aspettava nessuno. La notizia però non ha minimamente impressionato gli operatori, che hanno continuato a vendere. Quindi c’è qualcosa che non quadra.
• Che cosa?
Anche Tremonti ieri ha detto che i problemi del credito sono risolti, grazie alle decisioni europee, e ha insistito sul fatto che i problemi riguardano ormai solo l’economia reale. Sarà anche vero, però è pure una spiegazione a suo modo tranquillizzante. Significa: lasciamo perdere le banche perché più di quello che abbiamo fatto non si può fare e concentriamoci sul mondo del lavoro e dell’industria. Berlusconi e il suo ministro dell’Economia hanno infatti annunciato otto miliardi di sussidi per la piccola e media impresa, aiuti al comparto automobilistico, nuove regole per le Opa che rendano più difficile l’acquisizione delle nostre aziende da parte di stranieri poco affidabili. Tutto bene, ma domanda resta: siamo sicuri che la partita delle banche sia chiusa? Che i provvedimenti presi oltre Atlantico e a Parigi siano sufficienti, che rappresentino il massimo che si poteva fare? Il primo ministro giapponese, Taro Aso, parlando al Parlamento ieri, ha detto che i 700 miliardi americani, con relativa decisione del governo di entrare nel capitale di nove banche stanziando 250 miliardi di dollari, sono insufficienti. Ed è per questo, secondo lui, che il mercato crolla.
• E le decisioni europee?
I dati non ci confermano ancora che gli operatori europei si sono convinti di quello che è stato fatto. L’euribor è sceso, ma è ancora ampiamente sopra il 5%, quello a tre mesi è al 5,17. Lei ricorderà che l’euribor è l’interesse che le banche pretendono per prestarsi il denaro tra di loro. Se il tasso è alto, vuol dire che i soldi girano poco. Ma c’è un altro dato: le banche, una volta presi in prestito i soldi dalla Bce, possono lasciarli in deposito nella stessa Bce, invece che farli girare. Ebbene come stanno i numeri di questa particolare attività? Purtroppo ieri non sono stati diffusi dati sulla quantità di soldi depositati. Ma il numero dell’altro ieri rappresenta il record assoluto nella storia dell’euro: 196,1 miliardi immobilizzati nei conti delle banche, denari cioè che non circolano, una massa di liquidità mai vista prima. Le stesse banche non sembrano sicure che quello che è stato deciso per loro sia sufficiente.
• E allora?
Caro amico, la questione è sempre quella, fin dal primo giorno. La recessione e le difficoltà dell’economia ci sono, ma non ne saremo fuori finché non si costringeranno le banche – in Europa, ma soprattutto in America – a rivelarci i loro veri conti e a farci sapere quanto hanno davvero perso. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/10/2008]
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