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 2025  aprile 23 Mercoledì calendario

Le tensioni tra il Vaticano di Bergoglio e gli Stati Uniti

La mattina di domenica 26 agosto 2018, grande animazione all’Hotel Alex, in centro a Dublino, dove il Vaticano aveva alloggiato i giornalisti che seguivano il viaggio del Papa in Irlanda. Si sono svegliati alle quattro del mattino per prendere il volo che condurrà il Pontefice al santuario mariano di Knox, nell’Ovest del Paese e hanno scoperto che durante la notte diversi organi di informazione conservatori italiani e americani hanno pubblicato una «testimonianza» di undici pagine dell’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò. L’ex nunzio attacca l’ex cardinale Theodore McCarrick, accusato di abusi sessuali su minori e indotto a dimettersi qualche settimana prima. Cita tutti i personaggi del Vaticano che, a partire dal 2000, lo avrebbero coperto. Viene citato anche Francesco. Viganò si spinge a chiederne le dimissioni.
 
Lo scandalo degli abusi nella Chiesa irlandese, organismo un tempo potentissimo, custode dell’anima e della cultura del Paese sotto il dominio britannico, che gestiva orfanatrofi, scuole, ospedali, etc., e in cui la figura del prete era incontestata e incontestabile. Una Chiesa scossa, a partire dagli anni Duemila, da tre rapporti indipendenti – uno sulla diocesi di Dublino, uno sulle istituzioni cattoliche, l’ultimo sull’insieme delle diocesi del Paese – che elencano abusi sessuali, gli abusi di potere, e mancanze di umanità, e mettono in luce l’indulgenza colpevole delle autorità ecclesiastiche. Il trattamento choc avviato da Benedetto XVI nel 2010. Il viaggio di Francesco del 2018 in Irlanda serve anche come atto di penitenza.
 
La sera del 25 agosto 2018, durante il suo viaggio in Irlanda, Francesco incontra otto uomini e donne, fra cui due sacerdoti, vittime di abusi commessi da membri del clero. La conversazione dura un’ora e mezza. Le vittime possono parlare in piena libertà. Due di loro racconteranno che il Papa ha condannato la corruzione e la dissimulazione degli abusi definendola, letteralmente, «una merda».
 
Le undici pagine di Viganò sono dunque un atto di accusa fortissimo. La notizia finisce in primo piano sul web, si diffondono a macchia d’olio sui social e circolano sulle televisioni, eclissando la preghiera del Papa per le vittime a Knock, poi la domanda di perdono – totalmente inedita – che Francesco formula all’inizio della messa sotto la pioggia battente a Dublino. Dalle autorità vaticane non arriva nessun commento. Solo dopo 24 ore, durante il volo di ritorno a Roma, durante la conferenza stampa, un giornalista chiede conto al Papa di quell’ex nunzio che chiede le sue dimissioni. Risposta: «Ho letto, questa mattina, quel comunicato. L’ho letto e sinceramente devo dirvi questo: leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parli da se stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni». Francesco, insomma, non commenta. Vuole evitare di abbassarsi a rispondere alle accuse di quello che non è altro che un ex collaboratore. Anzi, sa che una smentita lo rafforzerebbe.
 
La testimonianza di Viganò, un tentativo di colpo di Stato da parte dell’ex nunzio e, soprattutto, dei forti interessi alle sue spalle.
 
Theodore McCarrick, una delle figure di punta della Chiesa cattolica negli Stati Uniti. Newyorkese. Figlio di un capitano della marina mercantile, morto di tubercolosi quando lui aveva tre anni. Grandi facoltà intellettive, poliglotta, studi brillanti, la prestigiosa Fordham University, dottorato in sociologia a Washington, già presidente dell’Università Cattolica di Porto Rico, già segretario particolare dell’arcivescovo di New York, grande carriera ecclesiastica, etc.
 
Theodore McCarrick – che masticava un po’ di polacco, imparato per comunicare con gli immigrati – cosa che suscitò una forte impressione su Giovanni Paolo II.
 
Theodore McCarrick, carismatico, e bravissimo a raccogliere fondi.
 
Theodore McCarrick, da sempre velatamente sospettato di portarsi a letto i seminaristi.
 
Una persona dell’entourage di Benedetto XVI ha spiegato al giornalista Edward Pentin del National Catholic Register che «talvolta è meglio che ciò che dorme sia lasciato dormire».
 
L’obbligo, in Vaticano, di tagliare le immagini non appena una conversazione fra il Papa e un suo interlocutore si fa seria.
 
Non è vero che Francesco non ha fatto nulla contro McCarrick, anzi. Nel maggio 2017 un uomo si presenta all’arcivescovado di New York e accusa il cardinale McCarrick di aver abusato di lui negli anni Settanta, quando aveva diciassette anni e McCarrick era un semplice sacerdote. Dopo l’esame di questa testimonianza, nel settembre 2017, il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, avverte il Vaticano chiedendo l’autorizzazione di aprire un’inchiesta ufficiale. Nel frattempo McCarrick ha lasciato in tutta discrezione il seminario dell’Istituto del Verbo Incarnato, ufficialmente per ragioni di salute, e si è trasferito in una casa di riposo per anziani gestita da suore. Nel giugno 2018 il cardinale Dolan rivela i risultati dell’indagine «condotta da un gruppo di professionisti tra cui giuristi, esperti di forze dell’ordine, genitori, psicologici, un prete e una religiosa» e che il comitato ha ritenuto le affermazioni della vittima «credibili e fondate». Dolan annuncia che Francesco ha ordinato di sospendere il cardinale McCarrick dall’esercizio di qualsiasi ministero pubblico, una decisione comunicata al diretto interessato dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato. Il 19 luglio il New York Times pubblica la testimonianza di un uomo secondo cui padre McCarrick, amico di famiglia, avrebbe cominciato ad abusare sessualmente di lui quando aveva undici anni. A questa fa presto seguito una terza testimonianza. Informato, Francesco decide di aggravare le sanzioni inflitte e, il 28 luglio, il Vaticano annuncia che l’accusato «ha presentato al Papa la rinuncia da membro del collegio cardinalizio». La Congregazione per la dottrina della fede prosegue la sua indagine con una procedura accelerata e, in dicembre, vengono sentiti dei testimoni a New York. Infine, nel febbraio 2019, mentre è relegato a «una vita di penitenza e preghiera» in un convento di cappuccini nel Kansas più profondo, l’ex cardinale è definitivamente spogliato dello stato clericale: d’ora in poi, per la Chiesa, non è più un prete.
 
Benedetto XVI, che non aveva mai colpito duramente McCarrick perché le accuse contro di lui, fino al 2017, non riguardavano minori.
 
Carlo Maria Viganò, originario di Varese, nato in una famiglia di industriali dell’acciaio.
 
Carlo Maria Viganò, visto dai suoi subordinati come un capo irascibile e che pretende di controllare tutto.
 
Carlo Maria Viganò, e i suoi attriti con il cardinal Bertone.
 
Il fratello di Carlo Maria Viganò, anche lui sacerdote, gesuita e biblista, che intentò contro di lui una causa civile presso il tribunale di Milano per motivi di eredità. La vicenda si chiuse nel 2018 quando l’arcivescovo fu condannato a versare al fratello 1,8 milioni di euro
 
Carlo Maria Viganò, uomo estremamente ricco per essere un prelato del Vaticano, dove gli stipendi raramente superano i duemila euro mensili.
 
Un terzo dei contributi all’Obolo di San Pietro, principale risorsa delle opere di carità del Papa, viene dagli Stati Uniti. Le Diocesi e le congregazioni religiose americane apportano il 28 per cento del versamento volontario che ogni istituzione religiosa, ogni anno, fa alla Santa Sede.
 
La delegazione di americani al conclave del 2013: undici cardinali elettori, il numero più alto dopo quello inarrivabile degli italiani.
 
La Amoris laetitia, esortazione apostolica di papa Francesco, pubblicata nel 2016, che permetteva in certi casi» l’accesso ai sacramenti da parte dei divorziati risposati. Accolta favorevolmente dai progressisti, tanto che in alcuni casi la comunione ai risposati è stata esplicitamente consentita da alcuni episcopati. Molto criticata dai conservatori, al punto che nel 2016 quattro cardinali (i tedeschi Walter Brandmüller e Joachim Meisner, l’americano Raymond Burke e l’italiano Carlo Cafarra) hanno persino scritto al Papa chiedendogli di dissipare i loro «dubbi» (dubia, in latino) sull’argomento, e hanno poi continuato ad assillarlo, sostenendo che, a dispetto dei suoi numerosi interventi sul tema, non aveva risposto formalmente alla loro richiesta.
 
Carlo Maria Viganò, figura emblematica di chi, in Vaticano, ostacola la volontà riformatrice di Francesco. Il Papa, nel suo discorso alla Curia del 22 dicembre 2014, disse che si trattava di «una casta» affetta da quindici «malattie». Davanti ai collaboratori sgomenti, il Papa aveva denunciato «la malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile” trascurando i necessari e abituali controlli», ma anche quella dell’«impietrimento mentale e spirituale», quella «della rivalità e della vanagloria… quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita», quella «schizofrenia esistenziale… che colpisce spesso coloro che, abbandonando il servizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete», la malattia «delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi», quella «dell’accumulare», di cui soffre «l’apostolo che cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro», quella «dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso», e ancora quella «del profitto mondano, degli esibizionismi». Lungi da essere la maggioranza in Curia, queste persone sono tuttavia abbastanza numerose da mettere i bastoni fra le ruote della riforma. Le loro reticenze sono tuttavia comprensibili: per anni, alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II e sotto quello di Benedetto XVI, hanno letteralmente governato la Chiesa dal Vaticano, dettando ai vescovi la condotta da tenere fin nei minimi dettagli, non esitando a rimproverarli e a sanzionarli. Ora, la volontà del papa di costruire una Chiesa più sinodale e di tenere in migliore considerazione le diversità locali, i suoi moniti contro il pericolo di «ridurre a piccole élite il Popolo di Dio», contrariarono questi uomini che hanno dedicato la vita a una carriera nella Chiesa, dove le posizioni sono poche numerose… e se poi bisogna condividerle con i laici e le donne!
 
Le difficoltà storiche dei cattolici, o «papisti», negli Stati Uniti. La grande difficoltà a integrarsi in un sistema politico e sociale radicalmente improntato alla logica del protestantesimo. Già nel 1784 l’ex gesuita John Carroll, capo della missione cattolica nelle tredici colonie, metteva in guardia i preti del Maryland contro una dipendenza troppo accentuata da Roma. Nel 1789, divenuto vescovo di Baltimora, impose un’americanizzazione della Chiesa locale, con messe in inglese e partecipazione attiva dei laici alla vita delle parrocchie tramite i trustees, cioè laici eletti dai fedeli su modello congregazionale protestante, per gestire le questioni temporali delle parrocchie.
 
Per tutti il secolo XIX il papato tenta in ogni modo di riprendere il controllo della Chiesa americana, troppo protestantizzata, giungendo a ripristinare la liturgia in latino e a far tornare di competenza di Roma le nomine dei vescovi. Nel 1822 Pio VII rafforza anche le prerogative dei vescovi di fronte ai trustees che intendevano partecipare alla nomina dei parroci. La svolta non può non preoccupare la maggioranza protestante, che rimprovera ai cattolici la loro dipendenza da Roma. Prende vita così nel 1842 l’American Protestant Association, nei cui statuti la dottrina cattolica viene stigmatizzata come minacciosa per le libertà civili e religiose degli Stati Uniti.
 
Nel 1850, complice l’immigrazione, i cattolici erano la prima confessione degli Stati Uniti.
 
Quando nel 1864 Pio IX pubblica il Sillabo, dove sono elencati gli ottanta errori «del nostro tempo» – come, per esempio, la teoria della separazione tra Stato e Chiesa – l’arcivescovo di Baltimora monisgnor Martin Spalding scrive una lettera pastorale per dire che il Papa intende condannare «i radicali europei» e non prende di mira il sistema americano.
 
Leone XIII, nell’enciclica Longiqua oceani del 1895, pur riconoscendo la parte dovuta alle «consuetudini di uno Stato ben costituito» nello sviluppo del cattolicesimo in America afferma che «si deve combattere l’errore di chi ne deduce di dover prendere dall’America un modello dell’ottimo stato della Chiesa; ovvero essere lecito e giusto, generalmente parlando, che la Chiesa e lo Stato vadano disgiunti e separati secondo l’uso americano». Come conseguenza, per mezzo secolo, i cattolici americani cadono in «uno stato di letargo teologico» (cit. Camille Foidevaux) e si concentrano su scuole, orfanatrofi, ospedali, centri di assistenza sociale, etc.
 
Ancora nel 1960, a Houston, il candidato democratico John Fitzgerald Kennedy, cattolico, sembra doversi giustificare: «Credo in un’America nella quale la separazione fra Chiesa e Stato è assoluta. Contrariamente a quanto spesso si scrive, non sono il candidato cattolico alla presidenza, sono il candidato democratico che casualmente è anche cattolico».
 
La versione evangelica del protestantesimo americano, che a partire dagli anni Settanta soppianta quella liberale.
 
Giovanni Paolo II, che temeva l’eccessiva permeabilità del cattolicesimo americano alle idee del protestantesimo liberale, soprattutto in abito morale. Giovanni Paolo II, che decise di nominare vescovi molto rigidi su aborto e etica sessuale.
 
Il cattolicesimo bostoniano, «profondamente irlandese».
 
La Chiesa cattolica negli Stati Uniti ai tempi di Giovanni Paolo II, un’istituzione seconda per importanza solo allo Stato federale. I fondi gestiti dalle parrocchie, l’enorme apparato di strutture scolastiche, universitarie, ospedaliere, sociali, etc. in un Paese dove non ci furono mai nazionalizzazioni dei beni ecclesiastici. I budget sono enormi: 7,6 miliardi di dollari per le parrocchie, 10 miliardi per le scuole primarie e secondarie, 2,5 miliardi per i programmi sociali, ai quali si aggiungono grandi università, grandi ospedali, etc. Nell’anno 2000 questo vasto insieme è ancora gestito da prelati, con il rischio di trasformarli in businessmen più preoccupati dei bilanci d’esercizio annuali che della salvezza delle anime.
 
Le vittime di pedofilia negli Stati Uniti che, per opera dell’alleanza tra Chiesa e avvocati, ricevevano il risarcimento prima di intentare causa, con la conseguenza che di quei reati non rimase traccia documentaria. In base agli accordi di confidenzialità, la Chiesa poteva esigere la restituzione del risarcimento se le vittime avessero divulgato dettagli sugli abusi subiti. Gli avvocati delle vittime intascavano la parcella, in genere un terzo del risarcimento.
 
Dopo lo scandalo della pedofilia (Boston Globe, caso Spotlight), buona parte della gestione amministrativa della Chiesa passa dalle mani dei vescovi a quelle dei consigli direttivi costituiti da laici.
 
I Cavalieri di Colombo, fondati nel 1882, gruppo di laici ricchi e influenti, a metà strada fra il Rotary Club e una massoneria cattolica. Oggi contano due milioni di membri, propongono assicurazioni sulla vita, sono seduto su un gruzzolo dichiarato di quasi 100 miliardi di dollari che rende in media circa 2 miliardi di dollari all’anno, sufficienti per fare generose donazioni alle istituzioni cattoliche americane, ai giornali, alle organizzazioni più conservatrici.
 
La svolta conservatrice impartita dall’élite del cattolicesimo americano, alla fine degli anni Duemila. Una reazione alla politica di Barack Obama. Al centro della battaglia, l’ObamaCare, riforma che obbligava gli imprenditori a pagare ai dipendenti una forma di protezione sociale, comprendente anche il rimborso delle spese sostenute per contraccezione e aborto.
 
Tim Busch, avvocato e promotore immobiliare specializzato in complessi di lusso, una delle figure di maggior spicco di questa nuova generazione di laici facoltosi che costituiscono il nucleo dirigente del cattolicesimo americano. Suo ideale: un cattolicesimo privo di complessi, che si esprime fa cene di gala con cocktail e sigari, messe in latino, sessioni di rosario patriottico abbinate a letture di George Washington e Robert E. Lee, eventuale pausa per una partita a golf.
 
Tim Busch, fondatore del Napa Institute, che promuove in parallelo una teologia conservatrice e una visione molto libertaria dell’economia.
 
L’evento di evangelizzazione di fascia alta del Napa Institute organizzato al Trump International Hotel di Washington.
 
Donald Trump, che nel primo mandato aveva blandito l’elettorato conservatore cattolico e evangelico: un vicepresidente scelto tra le loro file, giudici pro-vita alla Corte Suprema, salvaguardia della libertà religiosa, fine del finanziamento federale ala Pianificazione familiare, etc.
 
Scrive lo storico Massimo Faggioli la crisi della pedofilia ha creato un vuoto di autorità nel quale si sono insinuati cattolici miliardari: «Non è un vuoto di potere, che sta sempre nelle stesse mani (almeno per il momento), ma un vuoto di autorità, vale a dire che mette in gioco la fiducia e la credibilità. La natura ha orrore del vuoto, e quelli che hanno un libretto degli assegni aperto e un’agenda ideologica molto chiara hanno riempito questo vuoto. Il denaro parla forte e chiaro. I cattolici che dispongono di risorse finanziarie cospicue e di stretti legami con i vertici dell’episcopato americano tentano di colmare il vuoto con un programma ufficialmente imperniato sulla riforma. Ma in realtà questo corrompe ancora di più la Chiesa, sebbene in modo diverso» [The New Two Orders of Christians, La Croix International, 8 ottobre 2018].
 
Secondo lo storico Massimo Faggioli, questa evoluzione sarebbe paragonabile alla crisi attraversata dalla Chiesa attorno all’anno Mille, quando i potenti feudatari avevano messo le mani sull’istituzione e sulle sue risorse. Crisi che era sfociata nella Riforma gregoriana. Per Faggioli, in gioco c’è l’indipendenza della Chiesa cattolica negli Stati Uniti di fronte alla potenza del denaro.
 
Nel 2009, nell’enciclica Caritas in veritate Benedetto XVI si interroga sugli eccessi dell’economia basata sulla libertà di mercato. «Il mercato diventato globale ha stimolato anzitutto, da parte di Paesi ricchi, la ricerca di aree dove delocalizzare le produzioni di basso costo» e questo «ha stimolato forme nuove di competizione tra Stati allo scopo di attirare centri produttivi di imprese straniere, mediante vari strumenti, tra cui un fisco favorevole e la deregolamentazione del mondo del lavoro». Processi che «hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale». Il testo suscita immediatamente le critiche degli ambienti economici e di tutti coloro che si schierano a favore del capitalismo inteso come il sistema politico ed economico più compatibile con la dottrina cattolica. Su Liberal Michael Novak deplora di trovare nel documento «tanta caritas e meno veritas». Sulla National Review George Weigel analizza minuziosamente l’enciclica sottolineando «in giallo oro» i passaggi riconducibili a Benedetto XVI e «in rosso» quelli inseriti dal Pontificio consiglio della giustizia e della pace, di cui denuncia «il pensiero convenzionalmente gauchiste e per nulla originale», e che allontanerebbero il testo papale dal pensiero della Centesimus annus con la quale Giovanni Paolo II aveva consacrato il capitalismo con l’unzione papale.
 
Il 24 ottobre 2011, due anni dopo Caritas in veritate e partendo da tale enciclica, il Pontificio consiglio della giustizia e della pace pubblica una nota auspicando una riforma del sistema finanziario globale, denuncia «il liberismo senza controlli», chiede una nuova autorità monetaria mondiale, la ricapitalizzazione delle banche tramite fondi pubblici «in cambio di comportamenti virtuosi e finalizzati a sviluppare un’economia reale», tassa sulle transazioni finanziarie, etc. Immediata levata di scuti negli ambienti finanziari. Dieci giorni dopo, in una riunione ad alto livello nello studio del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato di Benedetto XVI, si decide di accantonare il documento.
 
Papa Francesco, argentino, ha visto da vicino gli effetti della crisi economica che ha scosso il Paese tra il 1998 e il 2002. Nell’esortazione apostolica Evangelii guadium, vero e proprio discorso programmatico del nuovo pontificato, Francesco si oppone direttamente alla «teoria del gocciolamento», detta anche «della ricaduta favorevole». «Alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggior equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante». Definita trickle down in inglese, tale teoria, che riprende l’immagine delle fontane di coppe di cristallo nei cui elementi superiori viene versato lo champagne che scorre di bicchiere in bicchiere fino a quelli collocati più in basso, sostiene che i redditi dei più ricchi vengono sempre reimmessi nell’economia per contribuire all’attività economica, cosicché sia la stessa economia a beneficiarne. Negli Stati Uniti questa teoria è usata per sostenere che la riduzione delle imposte sui redditi alti ha un effetto benefico sull’economia in generale e giova quindi ai redditi più bassi. Papa Francesco è durissimo: «C’era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri». È un attacco a uno dei dogmi del liberismo americano. Nemmeno Occupy Wall Street, negli Stati Uniti, hanno osato spingersi fin dove sono arrivate le parole del Papa. In America accusano senza mezzi termini il Papa di essere un «marxista». Ma Bergoglio, stavolta, non si arrende.
 
Il 20 novembre 2014 la Chiesa cattolica inglese annuncia la messa a punto di un’iniziativa destinata a sensibilizzare i banchieri della City verso la dottrina sociale della Chiesa e finanziata dal gigante dell’agro-alimentare Unilever e dall’operatore telefonico Vodafone. Il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, si compiace: «Ci vorrà del tempo prima che la dottrina sociale della Chiesa prenda il posto del neoliberismo, ma siamo sulla buona strada». Un mese dopo JP Morgan annuncia, con grande sorpresa degli investitori, una valutazione negativa di Unilever e Vodafone, causando l’immediata caduta a picco delle azioni delle due società. Il messaggio dei mercati è chiaro: nella guerra contro il papa «marxista» non si avrà alcuna pietà per «i collaborazionisti».
 
L’enciclica sull’ambiente Laudato si’, criticata dagli ambienti conservatori americani, in primis dai clima-scettici pungolati dai giganti del petrolio.
 
L’Heartland Insitute, un think tank conservatore di Chicago, che organizzava incontri a Roma per cercare di convincere ambienti vicini al Vaticano che «non c’è alcun problema di riscaldamento globale».
 
«L’attuale imperialismo del denaro mostra un inequivocabile volto idolatra» (il cardinale Bergoglio nel 2002).
 
L’odio di Francesco per il denaro. Già da cardinale diceva: «È curioso come l’idolatria cammina sempre insieme all’oro. E dove c’è l’idolatria, si cancella Dio e la dignità dell’uomo, fatto a immagine di Dio. Così il nuovo imperialismo del denaro toglie di mezzo addirittura il lavoro, che è il mezzo in cui si esprime la dignità dell’uomo, la sua creatività, che è l’immagine della creatività di Dio. L’economia speculativa non ha più bisogno del lavoro, non sa che farsene del lavoro. Insegue l’idolo del denaro che si produce da se stesso. Per questo non si hanno remore a trasformare in disoccupati milioni di lavoratori» [Gianni Valente, Il volto idolatra dell’economia speculativa 30 giorni, gennaio 2002].
 
Francesco, diventato Papa, ripeterà le stesse cose agli operai che nel settembre 2013 è andato a incontrare a Cagliari: «In questo sistema senza etica, al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatra di questo “dio-denaro”».
 
Bergoglio, che in Argentina aveva partecipato a una cena di beneficienza per la Caritas, e se ne vergognava. «Venivano messi all’asta dei gioielli, roba costosa. Ma quella non è Caritas! Quella è una ONG… o appartieni a una ONG o appartieni alla Caritas!».
 
La «teologia della prosperità», nata nel movimento pentecostale: la convinzione che Dio vuole che i suoi fedeli abbiano una vita prospera, che sano ricchi dal punto di vista economico, sani da quello fisico, e individualmente felici.
 
Max Weber parlava della relazione tra protestantesimo e capitalismo nel contesto dell’austerità evangelica, i teologi della prosperità propagandano l’idea della ricchezza in relazione proporzionale alla fede personale.
 
La predicatrice Gloria Copland: «Tu dai un dollaro per amore del Vangelo, e te ne toccano 100; tu dai 10 dollari, e in cambio nel riceverai 1000 in regalo; tu dai 1000 dollari, e in cambio ne riceverai 100.000. Se dono un aereo, riceverai cento volte il valore di quell’aereo. Regala un’automobile, e otterrai tante di quelle automobili da non averne più bisogno per tutta la vita».
 
Il cardinale Burke che, dopo essere stato estromesso da Bergoglio, si è avvicinato a Steve Bannon.
 
L’incontro tra Steve Bannon e Matteo Salvini a Washington nel 2016. Si ignora cosa si siano detti, ma una fonte vicina alla Lega racconta che Matteo tornò in Italia con un consiglio fondamentale: attaccare il Papa.
 
I numerosi tweet di Salvini contro Bergoglio, soprattutto in tema di immigrazione.
 
Salvini, che si presentò in pubblico con una maglietta con la scritta «Il mio Papa è Benedetto».
 
Nel marzo 2019, in occasione di un incontro dei movimenti populisti europei tenutosi a Milano, Steve Bannon torna in Italia per dispensare consigli in vista delle elezioni europee di maggio, dalle quali spera emerga un fronte antipopulista capace di «difendere i valori dell’Europa cristiana», anche andando contro la Chiesa cattolica.
 
In vista delle elezioni europee del maggio 2019 La Civiltà Cattolica, rivista gesuita diretta da padre Antonio Spadaro, molto vicino a Bergoglio, e le cui bozze vengono verificate dalla Segreteria di Stato, ha pubblicato un articolo firmato dal presidente della Commissione delle conferenze episcopali europee, monsignor Jean-Claude Hollerich. Gesuita come il Papa, l’arcivescovo di Lussemburgo mette in guardia contro «un cristianesimo autoreferenziale» con atteggiamenti conservatori e incentrati sulla tradizione, che rischia «di creare dinamiche che alla fine divoreranno il cristianesimo stesso». «Steve Bannon e Aleksandr Dugin sono i sacerdoti di tali populismi che evocano una falsa realtà pseudoreligiosa e pseudomistica, che nega il centro della teologia occidentale, che è l’amore di Dio e l’amore del prossimo».
 
L’omosessualità, argomento tradizionalmente caro al puritanesimo americano.
 
Lo scrittore francese Fréderic Martel, che nel suo libro controverso Sodoma dipinge un Vaticano in cui «l’80 per cento» dei preti sarebbe omosessuale. A metà maggio 2019, Steve Bannon e Martel si sono incontrati al Bristol, il palace parisien in cui l’americano alloggiava durante una visita in Francia a ridosso delle elezioni europee. Secondo il sito LifeSiteNews, l’ex consigliere della Casa Bianca avrebbe proposto al giornalista francese di acquistare i diritti del suo libro per trarne un film. Benché alla fine i due, ideologicamente agli antipodi, non siano arrivati a un accordo, il progetto ha suscitato la collera del cardinale Burke, al quale Martel dedica un intero capitolo del libro. Il cardinale americano, in una lettera diffusa su Twitter il 25 giugno, ha ufficialmente interrotto tutti i rapporti con Bannon.
 
Il rapporto schizofrenico degli americani con la sessualità. Lo stesso Paese in cui nelle scuole esistono programmi di astinenza sessuale è il primo produttore e consumatore di film porno al mondo.
 
La «guerra culturale» riassume l’opposizione tra due Americhe, nata tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta: da una parte un’America conservatrice, portatrice dei valori di un patriottismo quasi messianico ereditato dai fondatori puritani; dall’altra un’America progressista, che si riallaccia al principio della separazione fra Stato e Chiesa dei Padri fondatori, oggi schierata a favore dei cambiamenti sociali in materia di aborto e omosessualità.
 
Papa Francesco, che non rinnega nessuno dei valori cattolici, ma non è incline alla lotta frontale.
 
Papa Francesco, e la sua grande avversione per il «crimine» dell’aborto, «un omicidio». Nell’ottobre 2018 paragona il ricorso all’aborto all’ingaggio di un sicario. «Come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita di un innocente?», s’interroga davanti ai fedeli riuniti in piazza San Pietro. «È giusto “fare fuori” una vita umana per risolvere un problema?», Domande alle quali la folla risponde immancabilmente con un sonoro: «No!». «Non si può», risponde il Papa, «non è giusto “fare fuori” un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema. È come affittare un sicario per risolvere un problema», conclude Francesco, instancabile. Al tempo stesso però allarga a tutti i sacerdoti la facoltà di remissione di questo peccato che fino ad allora era stata riservata esclusivamente ai vescovi.
 
Papa Francesco, che deve essere valutato secondo il divario progressista-conservatore, quanto piuttosto come un riformista che si oppone ai rigoristi. Spiega Austen Ivereigh: «I due gruppi ponevano l’accento su due cose diverse: mentre i rigoristi volevano che la dottrina della Chiesa fosse soprattutto chiara e priva di ambiguità, i riformisti desideravano fosse credibile in una società pluralista. I rigoristi intendevano rafforzare il controllo vaticano su questioni di dottrina e disciplina, mentre i riformisti auspicavano una maggiore libertà di azione nell’applicare le norme della Chiesa alle realtà locali. I rigoristi tendevano a chiudere il dibattito affermando che le norme erano chiare e immutabili, mentre i riformisti preferivano mantenere aperte alcune questioni, perché convinti che, in materia di disciplina ecclesiastica come pure di dottrina immutabile della fede e della morale, la Chiesa locale aiutasse la Chiesa universale a discernere le esigenze di cambiamento delle pratiche pastorali…» [Austen Ivereigh, Tempo di misericordia. Vita di Jorge Mario Bergoglio, trad. it. di A. Piccato e L. Serra, Milano, Mondadori, 2014, p. 297].
 
Le discussioni sul matrimonio omosessuale in Argentina. Bergoglio, all’epoca arcivescovo di Buenos Aires, è perfettamente cosciente della trappola in cui il potere vuole far cadere la Chiesa, facendola passare per retrograda e contraria all’uguaglianza. Allora, piuttosto che sferrare un attacco frontale contro il governo, che sapeva sarebbe stato infruttuoso, Bergoglio promuove l’inclusione sociale dei gay e si spinge fino a propugnare per loro, in contrasto con Roma, l’alternativa di un’unione civile che non consenta l’adozione di figli. In questo modo si lascerebbe integro il matrimonio tra uomo e donna così come lo concepiscono i cattolici. Tuttavia i rigoristi dell’episcopato argentino non si schierano con lui, impongono una battaglia contro il governo persa in partenza. La legge passa. Sarà la sola volta in cui, nelle vesti di presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Bergoglio verrà messo in minoranza.
 
Bergoglio che dice di «non capire cosa significhi l’espressione “valori non negoziabili”. Ci sono valori che sono negoziabili?».
 
Il New Pro-Life Movement, che si batte contro l’aborto, ma anche contro l’eutanasia, la violenza sulle donne, la tortura, la pena di morte, la libera circolazione delle armi, etc. Un approccio più vicino a quello di Francesco. Che non attecchirà mai negli Stati Uniti.
 
Lo spirito giuridico degli americani, per cui il 43% delle procedure avviate per l’annullamento del matrimonio cattolico viene dagli Stati Uniti.
 
Papa Francesco che nel settembre 2015 firma il motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus, che semplifica le cause di nullità del matrimonio, consente al vescovo di sostituirsi al tribunale ecclesiastico nei casi più semplici e promuove la gratuità dei processi. Una decisione che non soddisfa affatto gli americani. Negli Stati Uniti gli avvocati canonisti, che possono guadagnare fino a 80 mila dollari l’anno, hanno impiantato un vero e proprio «business del divorzio cattolico». Poiché la procedura semplificata non ha bisogno del loro intervento, il Papa si trova a mettere a repentaglio un’intera filiera economica.
 
Papa Francesco, molto preoccupato dall’omosessualità nel clero. «Nelle nostre società sembra addirittura che l’omosessualità sia di moda, e questa mentalità, in qualche modo, influisce anche sulla vita della Chiesa». Un religioso, notato che alcuni dei suoi novizi erano gay, riteneva che la cosa non fosse poi tanto grave, che fosse «soltanto un’espressione di affetto». «È un errore. Non è soltanto un’espressione di affetto. Nella vita consacrata e in quella sacerdotale non c’è posto per questo tipo di affetti».
 
Papa Francesco, che metteva in guardia contro chi «va in cerca dei “peccati di gioventù”». «I delitti sono una cosa, l’abuso sui minori è un delitto. No, i peccati. Ma se una persona è… ha fatto un peccato e poi si è convertito, il Signore perdona, e quando il Signore perdona, il Signore dimentica e questo per la nostra vita è importante».
 
Il punto è che il puritanesimo ha finito con il deteriorare a tal punto il cattolicesimo americano che per alcuni l’omosessualità è diventata il peccato mortale numero uno, insuperabile e imperdonabile. In opposizione alla Tradizione cattolica e nella logica puritana più rigida, il rifiuto del peccato è al tempo stesso un rigetto del peccatore.
 
Papa Francesco, contrario alla pena di morte al punto da rivedere il Catechismo nel punto in cui la pena capitale è giudicata legittima «nei casi di assoluta gravità» nei casi in cui fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani.
 
La pena di morte, radicatissima nella cultura americana. Il mito del pioniere pioniere, la severità che paga, l’indulgenza che indebolisce, la certezza che i torti vanno vendicati, etc.
 
I condannati a morte, in certi Stati come il Texas, considerati dei sotto-uomini.
 
I cristiani evangelici, molto favorevoli alla pena di morte. Il 73% di loro è favorevole, davanti alla classifica degli altri protestanti: 61%. Discorsi come: «Dio è un Dio di giustizia, e a volte si serve della mano dell’uomo per attuare questa giustizia…».
 
I cattolici ispanici, tanto meno favorevoli alla pena di morte quanto più sono praticanti.
 
Papa Francesco, che fin dall’inizio del pontificato intavola trattative con la Repubblica popolare cinese.
 
Xi Jinping, eletto presidente tre giorni dopo che Bergoglio è eletto Papa.
 
Il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, salesiano, originario di Shanghai divenuto vescovo di Hong Kong, che ritiene impossibile qualsiasi trattativa con i comunisti.
 
Nel 2009 monsignor Pietro Parolin, sottosegretario per i rapporti con gli Stati che è riuscito a far sì che Benedetto XVI riconosca ufficiosamente la quasi totalità dei vescovi nominati dal Partito comunista cinese, viene bruscamente «promosso» nunzio in Venezuela, il più lontano possibile dalla Cina, e il suo successore, monsignor Ettore Balestrero, si affretta a fare marcia indietro. Gli osservatori vedono in questo avvicendamento l’influenza del cardinale Zen, salesiano come il segretario di Stato, cardinal Bertone.
 
Quando scoppia la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, Xi Jinping cerca alleati. Il Papa gli appare un partner interessante.
 
La principessa Gloria von Thurn und Taxis, ex protagonista del jet set, amica di Steve Bannon, diventata l’anima dell’opposizione tradizionalista al Papa.
 
Il Codice di diritto canonico stabilisce che siano negati i sacramenti a «chi pubblicamente suscita rivalità e odi da parte dei sudditi contro la Sede apostolica» (can. 1373).
 
Robert Barron, vescovo ausiliare di Los Angeles, e il suo progetto di evangelizzazione su internet: supermoderno nella forma, ma molto classico nel contenuto. Un’occasione per avvicinarsi ai giovani cattolici americani molto antiliberali, che hanno costruito la propria opposizione a Francesco su neoconservatorismo e tradizionalismo.
 
Papa Francesco che, ogni volta che si tratta di sventare i tranelli politici che gli vengono tesi, risponde sul piano spirituale.
 
Dalla lettera in cui costringeva i vescovi americani a un ritiro spirituale a Chicago. Il Papa non fa tanti convenevoli per spiegare «la crisi della credibilità» di cui soffrono i vescovi americani. «Il Popolo fedele di Dio e la missione della Chiesa hanno già sofferto, e soffrono troppo, a causa degli abusi di potere, coscienza e sessuali e della loro cattiva gestione per aggiungere loro la sofferenza di trovare un episcopato disunito, concentrato nel discreditarsi più che nel trovare cammini di riconciliazione». Pur riconoscendo che «il Vangelo non teme di svelare ed evidenziare certe tensioni, contraddizioni e reazioni che esistono nella vita della prima comunità di discepoli» e  che parla di «tutti gli intrighi e i complotti» di cui le «autorità politiche, religiose e commerciali dell’epoca» hanno circondato Gesù, principalmente Francesco denuncia «l’impronta e ferita che si trasferisce anche all’interno della comunione episcopale, generando non esattamente il sano e necessario confronto e le tensioni proprie di un organismo vivo, bensì le divisioni e la dispersione, frutti e mozioni non certo dello Spirito Santo, ma “del nemico di natura umana”, che tra più vantaggio dalla divisione e dalla dispersione che dalle tensioni e dai dissensi logici tipici della coesistenza dei discepoli di Cristo». In parole povere, le divisioni che affliggono l’episcopato americano sono di natura diabolica.
 
I cattolici ispanici, che temono che la Chiesa si allinei alla politica di Trump, le cui posizioni sull’immigrazione li preoccupano, visto che quasi ognuno di loro conosce una persona che corre il rischio di essere espulsa. Secondo il Pew Research Center, se nel 2010 il 67 per cento ei Latinos si proclamava cattolico, nel 2013 la percentuale era scesa al 55 per cento, e un gran numero di loro, soprattutto fra i giovani, entravano nelle file dei non credenti. Per Papa Francesco la posta in gioco della Chiesa americano è non interrompere i legami con il proprio popolo, specie con i più poveri.
 
La mattina del 21 dicembre 2018, ripercorrendo l’anno davanti ai responsabili della Curia romana per i tradizionali auguri di Natale, papa Francesco torna a parlare degli attacchi architettati contro di lui. «La barca della Chiesa quest’anno ha vissuto e vive momenti difficili, ed è stata investita da tempeste e uragani». «Tanti si sono trovati a chiedere al Maestro, che apparentemente dormiva: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. Altri sbalorditi dalle notizie, hanno iniziato a perdere la fiducia in essa e ad abbandonarla». «Altri, per paura, per interesse, per secondi fini, hanno cercato di percuotere il suo corpo aumentandone le ferite; altri non nascondono la loro soddisfazione nel vederla scossa; moltissimi però continuano ad aggrapparsi, con la certezza che “le porte degli Inferi non prevarranno contro di essa”». Più avanti il Papa si fa ancora più preciso, denunciando «coloro che si nascondono dietro buone intenzioni per pugnalare i loro fratelli e seminare zizzania, divisione e sconcerto», «questi seminatori di zizzania» dietro ai quali «si trovano sempre le trenta monete d’argento». Un modo per indicare che sa perfettamente chi sono gli sponsor del suo accusatore, di cui non fa il nome ma che non esita a paragonare a Giuda.
 
Jorge Bergoglio, che rinunciò a sfidare Ratzinger nel conclave 2005, per non creare spaccature nella Chiesa. Dissero che aveva visto «la coda del serpente» nella Cappella Sistina.
 
Il cardinale Pietro Parolin, ritenuto da molti a Roma un successore assai credibile di papa Francesco.
 
Il progetto Red Hat Report, che prevedeva di schedare i cardinali papali e, all’occorrenza, modificare le loro pagine su Wikipedia per orientare gli organi di informazione. 
 
Poco prima del conclave del 2005 circolò sotto banco un rapporto segreto che denunciava le presunte compromissioni di Bergoglio con la dittatura argentina.
 
Grande problema per i rigoristi: assenza di un candidato solido. Ci sarebbero: il cardinale Raymond Burke, oggi troppo isolato e emarginato; il cardinale Robert Sarah, che però appare a molti troppo condizionato dal suo entourage; il cardinale Gerhard Müller, favorito dai tradizionalisti raccolti attorno alla principessa Gloria von Thurn un Taxis, considerato molto influenzabile e dall’umore mutevole.
 
Grande speranza dei rigoristi: non ottenere la maggioranza (impossibile), ma ottenere una minoranza di blocco contro un candidato che porterebbe avanti le riforme di Bergoglio.
 
Jorge Mario Bergoglio, che sempre reagisce agli attacchi con il silenzio. Teoria di padre Spadaro, gesuita, suo fedelissimo, direttore della Civiltà Cattolica: «Sa che la verità presto o tardi verrà fuori».
 
Jorge Mario Bergoglio, nel 1987, professore di teologia, che pubblicò le lettere scritte dai superiori generali dell’Ordine dei Gesuiti dalla metà del XVIII secolo fino a quando la Compagnia fu soppressa nel 1773. «Le lettere che padre Ricci scrisse alla Compagnia in quel periodo sono una meraviglia di criteri di discernimento, di criteri di azione per non lasciarsi risucchiare dalla desolazione istituzionale», ha detto il Papa nel 2018 ai gesuiti di Cile e Perù. «Nei momenti “in cui il polverone delle persecuzioni, delle tribolazioni, dei dubbi e così via, sia alza per avvenimenti culturali e storici, non è facile trovare la strada da seguire. Esistono varie tentazioni che caratterizzano questo momento: discutere di idee, non dare la dovuta attenzione al fatto, fissarsi troppo sui persecutori… e credo che la peggiore di tutte le tentazioni è fermarsi a ruminare la desolazione».
 
Padre Bergoglio cinquantenne, spedito dai suoi superiori a Córdoba, ai piedi delle Andre, per paura che diventasse troppo popolare tra i gesuiti argentini. Messo in disparte, quasi perseguitato, il gesuita trova comunque in se stesso la forza di un nuovo discernimento sulla propria situazione, senza eludere gli errori compiuti, ma anche senza «ruminare la desolazione». Per il gesuita argentino Diego Feres, che ha studiato questo periodo della vita di Jorge Mario Bergoglio, ciò contro cui combatte allora, incluso dentro di sé, è «lo spirito di accanimento», che «nella violenza verbale, nella menzogna, nella calunnia, nella diffamazione, nella detrazione e nel pettegolezzo… si rintana, e da lì domina». Padre Fares rileva anche che questo «spirito di accanimento» fa dapprima delle vittime fra i più deboli, che si sentono abbandonati, scoraggiati, sradicati. «Pertanto l’atteggiamento paterno consiste nel prodigarsi affinché i piccoli non vengano scandalizzati», spiega. «È stata questa la principale preoccupazione del Signore quando è giunta l’ora della sua Passione: pregare il Padre e far sì che i suoi non restassero scandalizzati». Secondo Bergoglio è per questa ragione che non bisogna tentare di «vincere il male con il male». «La prima resistenza consiste nel ritrarsi, nel non reagire attaccando o seguendo l’istinto di un’opposizione diretta» afferma padre Fares, il quale riconosce pure che «in altri casi la resistenza consisterà nell’affrontare il cattivo spirito a viso aperto, dando testimonianza pubblica della verità con dolcezza e fermezza. Su questo punto Bergoglio manifesta una grazia speciale, che è – per dirlo in modo semplice – quella di «far venire fuori il cattivo spirito». In Silenzio e parola, il breve testo in cui ha raccolto le sue meditazioni di Córdoba, padre Bergoglio inizia appunto rivelando che, in certe crisi, «l’importanza viscerale» delle soluzioni umane impone talvolta «la grazia del silenzio». Sottolinea ugualmente che davanti all’avversità solo il Cristo può costringere il male a rivelare il suo vero volto, creando lo spazio necessario per la luce di Dio. «In momenti di oscurità e di grande tribolazione, quando i “grovigli” e i “nodi” non si possono sciogliere, e neppure le cose chiarirsi, allora bisogna tacere: la mansuetudine del silenzio ci mostrerà ancora più deboli, e allora sarà lo stesso Demonio che, facendosi baldanzoso, si manifesterà in piena luce, mostrerà le sue reali intenzioni, non più camuffato da angelo della luce, ma in modo palese». Per il futuro Papa, i modi per giungere a questa rivelazione sono quelli di Gesù durante la Passione: «Esiste un solo modo per “fare posto” a Dio e questo modo ce l’ha insegnato lui stesso: l’umiliazione, la kénosis. Tacere, pregare, umiliarsi». Del resto Francesco lo ripeterà in una delle sue omelie mattutine a Santa Marta, appena pochi giorni dopo il suo rientro a Dublino. Commentava l’episodio in cui Gesù si annuncia come il Messia nella sinagoga di Nazareth e viene minacciato di essere gettato giù da un’alta rupe. Ma egli «si mette in cammino», passando in silenzio attraverso la folla ostile. «Questo ci insegna che quando c’è questo modo id agire, di non voler vedere la verità, resta il silenzio» aveva detto. «Con le persone che non hanno buona volontà, con le persone che cercando soltanto lo scandalo, che cercano soltanto la divisione, che cercando soltanto la distruzione, anche nelle famiglie: silenzio. E preghiera. Sarà il Signore, dopo, a vincere, sia, come in questo caso, con la dignità di Gesù che rafforza e torna libero da quella volontà di buttarlo giù, sia con la dignità della vittoria della risurrezione, dopo la croce». «Questo genere di silenzio implica la scelta deliberata di non replicare con un’autodifesa intellettuale o ragionata, la quale, in un contesto di confusione, rivendicazioni, contro-rivendicazioni e mezze verità, non fa che alimentare il ciclo delle accuse e contro-accuse isteriche. È una strategia spirituale per costringere chi sta dietro all’attacco a rivelarsi», spiega Austen Ivereigh, che poi ricorda «il terzo grado di umiltà», descritto da sant’Ignazio nei suoi Esercizi spirituali che hanno pazientemente forgiato l’anima e lo spirito del futuro Papa. «Voglio e scelgo la povertà con Cristo povero piuttosto che la ricchezza, le umiliazioni con Cristo umiliato piuttosto che gli onori; inoltre desidero di più essere considerato stolto e pazzo per Cristo, che per primo fu ritenuto tale, piuttosto che saggio e accorto secondo il giudizio del mondo».
 
«Le idee si discutono, la situazione si discerne» (Jorge Mario Bergoglio)
 
Francesco, che dopo le accuse di Viganò, rimase in preghiera un’ora, sull’aereo, prima di affrontare la conferenza stampa.
 
Tornato dal viaggio in Irlanda, dopo le accuse di Viganò, chiese di diffondere presso tutti i fedeli un appello speciale a recitare il rosario ogni giorno durante tutto il mese di ottobre «per proteggere la Chiesa dal diavolo». In aggiunta, il Papa invitava i fedeli a concludere il rosario quotidiano con l’antica invocazione a Maria Sub Tuum Praesidium, che pone la Chiesa sotto la protezione della Vergine, e con la preghiera di papa Leone XIII a San Michele Arcangelo «che ci protegge nella lotta contro il male»
 
«E per piacere, non dimenticate di pregare per me» (Francesco)s
 
(Nicolas Senèze è vaticanista del quotidiano francese La Croix)