Corriere della Sera, 23 aprile 2025
Intervista a Luisa Todini
«Sono nata a Perugia ma dopo tre ore ero già lì, a Cecanibbi, una frazione di Todi», dice Luisa Todini. Una vita come un romanzo d’appendice. La dynasty familiare in mezzo a una carriera ricca, frastagliata, con rovesci affettivi che nella vita adulta l’hanno spinta a cercare gli affetti via via smarriti. Ex europarlamentare di Forza Italia, ex presidente delle Poste voluta da Renzi, ex consigliere d’amministrazione nella Rai di Luigi Gubitosi. Le ossa se l’è fatte nell’azienda di famiglia, la Todini Costruzioni, che poi passò al gruppo Salini. Famiglia di grandi imprenditori nata dal nulla, dalla povertà della campagna umbra.
Partiamo dall’infanzia.
«L’albero degli zoccoli di Olmi, io l’ho vissuto. A casa non c’era il riscaldamento. Sopra il letto c’era un oggetto di legno per poggiare il braciere che scaldava le lenzuola gelate. Una volta feci la pipì sul braciere, usato come vasino, e anni dopo tolsi i segni delle ustioni col laser. Il bagno unico, senza acqua calda, per tutti: eravamo dieci adulti e quattro bambini. Vivevo con la famiglia di mia madre, i cugini e mio fratello».
Nel suo letto in quanti dormivate?
«In quattro. Da bambino sembra tutto un gioco. Ma l’uccisione del maiale è la cosa più allucinante a cui abbia mai assistito. Babbo Franco per cercare la donna della vita andava per le feste di paese: per conquistare mia madre, Maria Rita, acquistò una stufa. Ci fu un consulto dei suoi genitori: l’accettiamo o non l’accettiamo? La stufa come anello di fidanzamento».
Cosa le resta addosso di quegli anni?
«Tutto. Sono tornata alle mie radici, vivo a Todi, tra mille ettari di terreno. Da bambina volevo essere come il babbo, mio fratello invece sembrava finto per quanto era buono, e chi non è stato ribelle da adolescente si rovina dopo. Io tendo a essere prepotente, a confondere autorevolezza con autoritarismo».
Il benessere quando entrò nella sua vita?
«Babbo con le cambiali comprò la spaccasassi, che era la macchina per costruire le strade con i sassolini. Ci trasferimmo prima a Perugia e poi a Roma, quando vinse l’appalto per costruire via Pontina. Abitavamo all’Eur, non era il quartiere residenziale di oggi, di fronte a noi pascolavano le pecore. Papà (ora lo chiamo così che è più semplice) aveva la terza elementare, per noi figli era fissato con l’insegnamento. Studiai dai gesuiti. Ho trascorso tre mesi in una missione in India, nella povertà assoluta, a Mumbai che si chiamava Bombay sono stata nel ghetto dei lebbrosi al fianco delle suore di madre Teresa. Sono esperienze che ti cambiano».
E quando tornò in Italia...
«A papà dissi che volevo dedicare la vita agli altri. La risposta fu sibillina: sei libera, ma devi lavorare nella nostra azienda. Col tempo mio padre allargò il raggio d’azione, non si occupò più soltanto di costruzioni, c’erano l’agricoltura, la metalmeccanica, i grandi alberghi. Arrivammo ad avere 3.000 dipendenti».
Adolescenza inquieta?
«Coincise con gli anni delle Brigate Rosse. Temendo il sequestro, i miei mi mandarono in Svizzera, dove soffrii molto, smisi di mangiare. Lì cominciarono i miei disturbi alimentari. Anoressia, poi bulimia. Allora era un argomento tabù. Pensavo di essere l’unica al mondo ad avere quei disturbi, li vivevo con un senso di vergogna enorme. Ne sono uscita a 36 anni, quando sono rimasta incinta. La pancia diventò la mia salvezza».
Ha vissuto guai d’altra natura.
«Nel ’92 mio padre fu uno dei primi arrestati di Tangentopoli. Fu accusato di aver dato soldi a un politico socialista per un lavoro mai appaltato. Veniva descritto da chi lo additava come alto, magro e abbronzato: papà era bassino, tarchiato e bianco come un lenzuolo. Lo portarono in un carcere di massima sicurezza: 15 giorni in isolamento e sei mesi ai domiciliari. Antonio Di Pietro interrogò anche me. Mi precipitai a Milano».
Come andò?
«Fu un incontro surreale. Pensava che avessi nascosto i soldi chissà dove, voleva sapere dei nostri rapporti con Craxi. Mi gridò davanti a tutti, tenendo la porta aperta per farsi sentire: questi Todini mi hanno rotto, li arresto tutti! Io ero una statua di ghiaccio, spavalda, arrabbiata. Gli feci riscrivere il verbale tre volte perché le dichiarazioni non corrispondevano a quanto dicevo. Con Di Pietro mi ritrovai in tv a Ballarò di Floris. Gli dissi: io sono quella che provò ad arrestare ma non ci riuscì».
Berlusconi quando lo incontrò?
«Nel 1994, appena scese in campo. La mia amica Stefania Prestigiacomo era parlamentare. Mi disse: tu parli le lingue, ci sono le elezioni europee, devi presentarti. Avevo 27 anni, a Bruxelles ero la più giovane. Ebbi 90 mila preferenze. A Todi presi più voti di Berlusconi, che mi propose come presidente della Regione Lazio, ma stavo vivendo la crisi matrimoniale con Luca Josi e mia figlia Olimpia era piccola. Dell’esperienza politica ricordo quando andai come capo delegazione da Arafat a Gaza e da Gheddafi in Libia, che mi apostrofò così: tu ragioni come un uomo».
E Berlusconi?
«A me non ha mai mancato di rispetto, tutt’al più faceva un complimento galante. A Putin, indicandomi, si rivolse così: vedi che belle ragazze abbiamo in Italia? Una volta in Albania fece per togliermi la sedia e per un soffio non caddi per terra. Quando lasciai la politica, nel 1999, si dispiacque. Erano ancora poche le donne deputate».
Veniamo alla saga familiare, provocata dal vostro ingente patrimonio.
«La situazione precipitò quando mia madre fece un esposto, mi accusò di aver prosciugato i nostri beni. Lei soffre da sempre di disturbi bipolari, fu ricoverata con la camicia di forza, si mise in testa che io e mio marito avevamo ucciso nostro padre. Smise di curarsi e peggiorò, mi accusò di stalking quando le ricordavo di prendere le medicine, cercando di salvarla da sé stessa, c’è stato un doloroso procedimento penale durato 4 anni, che è stato archiviato. Dal giudice riuscii a ottenere un amministratore di sostegno. Intanto mio fratello pensò di essere mio padre, ma non lo è. I gravi problemi di salute, le difficoltà finanziarie. Sposò una donna tremenda e non andai al matrimonio; si separò, dopo 12 anni scoprì di avere un figlio da lei. Si risposò con Patrizia Pellegrino, la soubrette, e altri guai, anche lì non andai alle nozze. Nominò lei presidente delle sue attività e il suo ex marito ad. Viveva al di sopra delle sue possibilità, comprava barche, viaggiava con aerei privati. Rilevai le sue quote e presi in mano l’azienda».
Lei fu accusata di aver indebitato l’azienda di famiglia.
«Facevamo 150 milioni di fatturato e lo portai a 500. Quando capii di dovermi alleare con un socio forte bussai da Salini, poi acquistò tutto. Io reinvestii i profitti in energia rinnovabile, vigneti e agricoltura, e nell’immobiliare».
Col suo ex marito come va?
«Diciamo che Luca Josi, che è un uomo molto intelligente dal punto di vista cognitivo ma poco dal punto di vista relazionale, è del tutto sprovvisto di senso genitoriale. Spero sempre che voglia riaprire un dialogo. Amo riamata mia figlia Olimpia, che ha 22 anni, sta per laurearsi ed è migliore di me in tutto. Ho un affetto profondo per Yulia, la figlioccia accolta dalla Bielorussia quando aveva 7 anni. Ne ha 25, e alla sua età ha tre figli. Covid e guerra hanno interrotto i viaggi, ci parliamo quasi tutti i giorni in video».
Si può essere imprenditrice con i tacchi a spillo?
«Beh, io l’ho dimostrato. Ora a Todi giro con gli stivali. Ho un’oasi di animali esotici che vivono in uno stato di difficoltà e devono ritrovare il proprio habitat. Zebre, giraffe, struzzi, il tapiro, che ora è famoso per Striscia: venne Canale 5 a riprenderlo».