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 2025  aprile 23 Mercoledì calendario

Il rugby delle bambine inizia a quattro anni. “È questa l’uguaglianza”

Dalla parte delle bambine, qui c’è anche una palla ovale. Perché nessuna di loro si senta mai più dire: «Corri come una femminuccia!». A Rovigo, le piccoline cominciano a giocare a rugby già a quattro anni, quando vanno alla scuola dell’infanzia, e lo fanno insieme ai maschi fino ai 12, quando finisce la stagione del “mini rugby” e si comincia a fare sul serio. Ma alzi la mano chi di noi, genitori o nonni non importa, immaginerebbe la propria bimba alle prese con un battagliero pacchetto di mischia, magari sotto un diluvio o in pieno inverno, ovviamente all’aperto, invece che a danza. Forse nessuno. Invece a Rovigo è normale, questa è la terra del rugby, è la Gran Bretagna nella pianura padana. Il fango non è roba da uomini o donne, è per tutti.
«Il rugby è inclusione, sostegno, collaborazione reciproca. Accresce l’autostima, sviluppa l’attenzione, insegna il rispetto delle regole ed è per la parità di genere, ma nei fatti, non solo a parole». Roberta Ponzetto insegna educazione fisica alla scuola secondaria “Bonifacio” di Rovigo: è lei ad avere avviato il progetto del rugby per le più piccole. «Nelle nostre città non si sentono più i bambini giocare insieme, non esistono più i cortili. Il rugby è fatto di energia da incanalare, perché diventi disciplina e regola. Si passa la palla all’indietro, con i compagni che ti proteggono: se penso di cavarmela da solo, mi farò male. Come insegnante, vedo arrivare alle medie ragazzini e ragazzine a cui mancano i fondamentali del movimento: a undici anni, il divano è già entrato nelle loro vite. È chiaro che da piccoli si fa attività propedeutica, le capriole, i passaggi con la palla di gomma, ma senza alcuna discriminazione di genere. Le bambine sono di solito più sveglie e motivate, più serie. Capiscono al volo».
Domenica 13 aprile: è un giorno di luce e non fa più freddo, la primavera è arrivata. Millecinquecento bambini, maschi e femmine insieme, giocano a rugby al Torneo Primavera di Rovigo: età, dai 6 ai 12 anni. E nella finale dell’Under 12, la meta decisiva la segna una ragazzina. Qualche settimana prima, il 26 gennaio, duecento bambine e ragazze si sono ritrovate allo stadio Battaglini e al campo Marvelli per una kermesse solo al femminile, nella città (e forse non è un caso) dove nel 1751 una donna di nome Cristina Roccati diventò la terza laureata in fisica e filosofia naturale al mondo, nonché la prima “fuori sede” della storia: lei era di Rovigo e si laureò a Bologna. Le bimbe con la palla ovale sono tutte sue nipoti.
«Le nostre bambine non si sentono bloccate, ma libere. E i papà e le mamme stanno cominciando a capire che questo non è uno sport violento né pericoloso». Moreno Gnavi è il responsabile del progetto rugby femminile della società Monti Rugby Rovigo Junior, e parla di giocatori e giocatrici, non di maschi o femmine: «Per noi è naturale pensarla così. Le femmine non si sentono inferiori o fragili, anzi, sono spesso più abili e veloci dei maschi, hanno più destrezza e determinazione. Sentono il bisogno del contatto fisico, non bisogna demonizzare gli sport da combattimento, quel che conta è come si fanno. Si dovrebbe finalmente comprendere che non esistono sport da maschi o da femmine, ma solo maschi e femmine che fanno sport. Sarebbe una rivoluzione culturale. E non è vero che i rugbisti si fanno male: qualche botta, qualche dito ammaccato, poca roba. Ci si allena tre volte alla settimana, sempre all’aperto e anche se piove. Le pappamolle non sono previste, a prescindere dal sesso: un po’ di sano e divertente sacrificio prepara alla vita».
La sera di Halloween, le bambine del rugby bussano alle porte e in cambio del dolcetto non evitano solo di fare lo scherzetto, ma distribuiscono opuscoli che raccontano la bellezza del loro sport. Un proselitismo che fa presa su altre ragazzine, infatti le iscrizioni sono in costante aumento. «Le bimbe possono venire da noi a provare per quattro volte, gratis, per capire se il rugby fa per loro. Non c’è nessuna attrezzatura da acquistare, bastano un paio di scarpette da ginnastica. E non esiste un’età giusta per cominciare».
E se fosse davvero un piccolo, grande esperimento sulla parità di genere? Il rugby che non discrimina in partenza nessun corpo. «Questo è un seme che darà grandi frutti», sostiene Enrica Quaglio, ex nazionale e oggi sostenitrice delle bimbe giocatrici: «Alle femmine ripeto le parole di Julio Velasco: siate autonome e autorevoli, dentro e fuori dal campo».
È anche una fondamentale battaglia contro l’abbandono precoce dell’attività fisica, che in Italia riguarda ormai quasi l’86 per cento delle ragazze tra gli undici e i quindici anni. Forse in provincia, più che nelle grandi città, si riesce a far rete e attutire i colpi, in luoghi che si chiamano Rovigo, Fassinelle Polesine, Badia Polesine, Este, Villadose, Rosolina. «Io accompagno le mie figlie a rugby, Vidamaria di 12 anni e Analuna di 9, anche mio marito è un ex giocatore, a Rovigo questo sport si respira con l’aria», racconta Tania Piccolo, ex pallavolista di buon livello. «No, non esistono sport da femmine. Il rugby dà a tutti una possibilità, in una stagione della vita in cui essere vittime di bullismo è un attimo. Le bambine corrono il rischio di sentirsi in un corpo sbagliato, e i pericoli sono tanti: una sbagliata percezione di sé stessi provoca, come minimo, malessere. Giocando a rugby si capisce che muoversi insieme è essenziale, si impara dove spostarsi per aiutare ed essere aiutati. Una grande lezione di uguaglianza, davvero».