lastampa.it, 23 aprile 2025
Dalla moda alle terre rare: la retromarcia di Trump sui dazi alla Cina. Pechino: “Sono deboli”
«La porta per i colloqui è spalancata». La Cina risponde alle parole di Donald Trump, che per l’ennesima volta ha aperto a un accordo nella guerra commerciale tra le due prime economie mondiali. «La Cina ha sottolineato dall’inizio che non ci sono vincitori nelle guerre tariffarie e commerciali», ha dichiarato in conferenza stampa il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Guo Jiakun. Aggiungendo che se Trump «vuole risolvere la guerra commerciale attraverso il dialogo, la smetta con minacce ed estorsioni».
Xi Jinping non ha invece risposto direttamente, ribadendo nel suo colloquio con il presidente dell’Uzbekistan che la Cina si oppone a pratiche di «bullismo unilaterale» sul fronte commerciale. L’apertura di Pechino riprende una posizione che in realtà il colosso asiatico ha sempre tenuto sin dall’inizio, accompagnando però l’apertura al dialogo alla consueta disponibilità alla «prova di resistenza» in uno scontro commerciale che la Cina «non vuole, ma è pronta a combattere». La maggiore enfasi sui possibili colloqui è motivata dal fatto che Trump ha palesato un netto abbassamento dei dazi sui prodotti cinesi. Nella prospettiva di Pechino si tratta di un segnale di debolezza, l’ennesimo dopo lo stop alle tasse aggiuntive su pc e smartphone. Una mossa esplicita come abbassamento dei dazi sui prodotti cinesi consentirebbe a Xi di giustificare il via ai colloqui facendo passare gli Usa come la parte debole e più bisognosa di raggiungere un accordo. Confermando dunque la bontà della linea di resistenza mantenuta sin qui. Ma i problemi da risolvere restano tantissimi, visti che nel frattempo si sono moltiplicati i terreni di scontro.
Moda e manifattura
Forse nulla tocca i portafogli dei consumatori in modo più immediato del rialzo dei prezzi deciso dalle grandi piattaforme di ecommerce cinesi come Temu e Shein, popolarissime anche negli Usa. I capi di abbigliamento e altri beni di consumo a basso costo stanno subendo un’impennata causa dazi, mentre l’app cinese DHgate è diventata la più scaricata negli Usa, grazie alla promessa di acquistare beni (molto teoricamente) di lusso a prezzi più bassi prima che vengano aggiunti i marchi internazionali.
Porti
Trump ha deciso di imporre nuove tasse sulle navi cinesi in arrivo nei porti americani. Una nave carica di 15 mila container potrebbe dover sborsare 1,8 milioni di dollari. La Casa Bianca intende colpire il vantaggio nel settore, che Pechino ha raggiunto mentre l’industria navale statunitense si è compressa fino a meno dell’1% della produzione globale. «Pagheranno soprattutto i consumatori americani», ammonisce la Cina, in realtà preoccupata per la sua ancora forte dipendenza dall’export.
Microchip
Quella sui chip è forse la madre di tutte le battaglie commerciali tra Usa e Cina, portata avanti già da Joe Biden a colpi di restrizioni. Pechino è in ritardo di qualche anno sulle catene di approvvigionamento più avanzate, da cui Washington cerca di escluderla. Trump ha incluso anche i chip H20 di Nvidia tra i divieti di export. Un brutto colpo per le Big Tech cinesi, che vi si appoggiano per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. La Cina prova a farsi in casa i macchinari, ma l’autosufficienza resta lontana.
Energia
L’energia è il primo settore a essere stato coinvolto nella nuova escalation di dazi, sin da quando a febbraio la Cina ha imposto tasse aggiuntive su petrolio e gas degli Stati Uniti. Da oltre dieci settimane, Pechino ha in realtà completamente bloccato gli acquisti di gas naturale liquefatto. Secondo il Financial Times, l’ultimo carico è stato consegnato il 6 febbraio. Poi stop totale. Nel mirino di Trump c’è l’energia utile all’industria tecnologica verde come pannelli solari, turbine eoliche e veicoli elettrici. Xi risponde con restrizioni sui materiali utili alla loro produzione.
La Cina domina estrazione, raffinazione ed esportazione delle terre rare. Dopo il Liberation Day, ha ordinato restrizioni all’export. Da allora, diversi prodotti legati alle terre rare restano fermi nei porti cinesi. Si tratta di risorse e metalli cruciali per la produzione di batterie agli ioni di litio, veicoli elettrici, chip per smartphone e intelligenza artificiale, ma anche per l’industria della difesa. I media cinesi definiscono a rischio il progetto F47, il jet di sesta generazione lanciato da Trump. Pechino la vede quasi come un’arma definitiva, una garanzia contro il disaccoppiamento totale.
Aerei
A capo del progetto F47 c’è Boeing. E nei giorni scorsi la Cina ha ordinato alle compagnie aeree di non accettare ulteriori consegne del colosso americano. La decisione ha un impatto sulla consegna di 179 jet tra il 2025 e il 2027, ma anche su alcune già effettuate visto che dei jet sono stati addirittura restituiti. Rilevante che l’annuncio sia arrivato contestualmente all’acquisto dei nuovi C919 della cinese Comac da parte del Vietnam. Xi potrebbe comprare più Airbus per provare a ingraziarsi Europa e Francia.
Telefoni e... film
La Cina sta riorientando in diversi settori i consumi interni sui prodotti made in China. Sugli smartphone, Apple ha perso il 9% delle vendite su base annua nel primo trimestre, mentre crescono Xiaomi e la rivitalizzata Huawei. Sulle auto elettriche, Tesla è stata superata dai rivali autoctoni come il gigante BYD. E attenzione al cinema, con le autorità che hanno appena ridotto la quota di film importati da Hollywood. Al loro posto, si insiste su pellicole nazionali. E spesso nazionaliste.