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 2025  aprile 23 Mercoledì calendario

Intervista a Romana Maggiora Vergano

Basta una semplice, spontanea, affermazione, per dimostrare che Romana Maggiora Vergano, classe 1997, nata nella capitale, è incredibilmente sincera. Parlando di informazione, in un’intervista (questa) destinata a un quotidiano (questo) dice: «Purtroppo i giornali si vendono sempre meno, è molto difficile che uno della mia generazione vada in edicola. Per affrontare argomenti che mi interessano uso i social, possono essere uno strumento utile per conoscere il mondo. Parto da un “claim” e lo utilizzo per approfondire». Esplosa con il caso C’è ancora domani, in cui interpretava la figlia di Paola Cortellesi, Vergano è candidata ai prossimi David di Donatello (7 maggio a Cinecittà) come migliore attrice protagonista per la prova offerta nel Tempo che ci vuole di Francesca Comencini: «Sono felicissima del fatto che siano candidati tre validi film di registe, trovo che sia già una grandissima vittoria. L’unico dispiacere è l’assenza di titoli che non hanno avuto grande risonanza, anche se, magari, la meritavano».
Come è cambiata la vita dopo la bomba C’è ancora domani?
«Dal punto di vista professionale la mia esistenza è cambiata in modo radicale. Sul piano personale ho deciso di cambiare casa e prendere un cane. L’attrice cresce insieme alla donna. Ho sempre avuto cani ma non mi sentivo pronta ad accudirne uno da sola. Poi ho capito che, per me, casa vuol dire anche cane, quando ho traslocato sentivo che mi mancava qualcosa, non ero appagata. Ci voleva un pelosetto».
Nel Tempo che ci vuole lei è una figlia amatissima che diventa tossicodipendente. Per aiutarla, il padre decide di starle accanto. Cosa devono fare i genitori per sostenere i loro figli ?
«La presenza dei genitori è sempre fondamentale, lo so perché l’ho sperimentato sulla mia pelle. Cresciamo tutti grazie agli esempi, io, per fortuna, ho avuto genitori splendidi. Pur non essendo presenti fisicamente – fanno tutti e due i medici e quindi non erano sempre a casa – sono stati punti di riferimento importanti. Ho passato molto tempo da sola, ma, a livello educativo e affettivo, non mi è mancato nulla. Il punto non è stare sempre attaccati ai figli, ci vuole una presenza vera, di ascolto emotivo».
Cosa hanno detto i suoi quando ha deciso di fare l’attrice?
«Mia madre ha sempre avallato le mie velleità artistiche e, quando le ho detto che volevo recitare, ha provato un certo sollievo anche se, del percorso di un’attrice, non sapeva nulla. Aveva capito che non avevo nessuna vocazione per il mestiere del medico».
E suo padre?
«Temevo che lui non capisse, è stato difficile spiegargli quanto fosse importante per me recitare. C’è stato un dialogo un po’ faticoso, poi, quando ha visto che recitare mi rende felice, ha capito e ha iniziato a supportarmi, con forza».
Il suo incubo peggiore?
«Restare sola. Ho un gemello, quindi non sono mai stata sola, neanche nella pancia di mia madre, non so cosa sia la solitudine, quella di conoscerla è la mia paura più grande».
Che mestiere fa suo fratello?
«Il medico. Anche se abbiamo preso due strade completamente diverse, siamo una cosa sola, sempre. Ogni tanto succede che mi chiami per chiedermi “che cosa è successo?”. Non sa nulla, ma capisce, anche a distanza, se sto male, fisicamente o psicologicamente».
Che impressione le ha fatto immergersi nella gioventù Anni 70 del Tempo che ci vuole, così diversa da oggi?
«Non ho vissuto quel contesto in prima persona, così mi ci sono avvicinata senza esprimere giudizi. Mi sono documentata, ho avuto l’impressione che i ragazzi dell’epoca del film fossero molto contemporanei, oggi non c’è l’eroina, ma esistono tante altre dipendenze. Ho cercato di comprendere lo stato di confusione, la ricerca d’identità, che caratterizzavano quella generazione».
Tra pochi giorni è il 25 aprile. Che significato ha, per lei?
«Per me è una data che significa libertà e resistenza. Libertà di essere chi vogliamo, resistenza in un mondo che ci fa paura e che ci fa perdere le speranze. Sono valori che, oggi più che mai, vanno difesi, pretesi, manifestati».
Cosa manca oggi all’emancipazione femminile?
«Il sostegno degli uomini. E poi forse un po’ più di solidarietà tra noi donne. Per il resto non ci manca nulla, abbiamo una grande voglia di riscatto, di fare rete e di trarre forza da questa unità».
Gli uomini come stanno?
«Forse sono un po’ impauriti, intimiditi. Non gli vogliamo levare nulla, e francamente non capisco i loro timori, io ai maschi chiedo condivisione e collaborazione».
Qual è l’incontro della vita che, per lei, conta di più?
«Quello con mia madre, anche se è un incontro obbligato. Mia madre è l’essere umano da cui torno sempre, sia quando mi sento sola e fragile, sia quando sono orgogliosa e forte. Il suo sguardo su di me mi fa sentire veramente protetta. Fare questo mestiere significa essere continuamente esposta agli sguardi degli altri, quello di mia madre mi fa sentire bene».
Come tutti i premi, i David implicano una competizione. Lei come si trova in quel genere di situazione?
«Vivo malissimo le competizioni. Mi intimidisco, invece di accendermi, mi spengo. Ovviamente spero nel riconoscimento, ma proverò a vivere quella serata come se fosse una celebrazione e basta. Per me è già un premio essere, a 27 anni, nella rosa delle migliori attrici. Vuol dire che i miei passi li ho fatti bene».