Libero, 23 aprile 2025
A Milano 517 negozi chiusi in un anno
Il commercio a Milano soffre. Non da oggi, beninteso, ma gli ultimi dati del Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza e Lodi parlano chiaro: oltre 500 attività hanno abbassato la saracinesca nell’ultimo anno, 517 per l’esattezza. Un’ecatombe che dovrebbe far riflettere anche la giunta di sinistra che guida la città. Ad oggi, nel capoluogo lombardo lavorano 10.556 imprese nel settore del commercio: 468 in meno rispetto a fine 2023 quando erano 11.024.
Se consideriamo anche gli ambulanti e le attività online, il discorso non cambia: il mondo del commercio al dettaglio milanese, a fine 2024 è composto da 17.243 realtà: 374 in meno rispetto alla stessa data del 2023. Se questi numeri vi sembrano preoccupanti, il peggio deve ancora venire. Sempre i dati del Registro delle Imprese ci dicono che le aziende che si dedicano al commercio al dettaglio guidate da giovani nel capoluogo sono 1850 rispetto alle 17.243 complessive citate prima. E non stiamo parlando di imprese unipersonali, ma di un sistema che crea 174 mila posti di lavoro tra addetti e collaboratori. Consideriamo poi che a fine 2023 le attività erano 1918 quindi significa che 68 di queste hanno chiuso i battenti negli ultimi 12 mesi. E forse questo è il dato più allarmante, perché senza nuova linfa vitale che viene dalla voglia dei giovani di mettersi in gioco con un’attività propria, il destino sembra segnato. «Tra le attività diffuse nelle vie del territorio milanese troviamo diversi comparti artigiani, da panetterie e pasticcerie ai centri estetici, riparatori, parrucchieri e artisti. L’auspicio è che possano trovare sempre più affermazione anche i giovani in queste attività», ha osservato Marco Accornero, segretario generale di Unione Artigiani.
Tirando le somme, tra commercio al dettaglio e ristorazione, in totale oggi ci sono 27.748 imprese a Milano città (dato al 31 dicembre 2024): erano 28.265 a fine 2023 quindi ecco le 517 realtà che non ci sono più. Analizzando i dati in maniera un po’ più dettagliata, ci accorgiamo che se il retail online tiene botta e anzi fa registrare una variazione positiva, lo stesso non si può dire per panetterie (da 177 ne sono rimaste 160), ferramenta e rivendite di materiale elettrico (scese da 231 a 214), bar e negozi di abbigliamento. Addirittura dei 4155 bar milanesi che c’erano a fine 2023 ne sono rimasti 3.963 dove prendere un caffè.
Evidentemente, la volontà annunciata dall’amministrazione comunale di voler ridurre la tassa rifiuti è un primo passo nella direzione giusta, ma non basta. Come ha sottolineato Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza. «A Milano, spesso, è difficile fare impresa per gli oneri, anche di fiscalità locale, che gravano sulle attività commerciali. Tagliare la tassa rifiuti anche alle imprese, come il Comune intende fare proseguendo, in questo senso, un percorso già avviato, è perciò importante: il 3% in linea generale, ma anche sconti significativi della parte variabile della tariffa».
Poi, ovviamente, c’è la questione affitti. Come ha sottolineato Marco Zanardi, responsabile delegato Ufficio Studi della Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari di Milano: «I canoni di locazione dei locali commerciali appartenenti a privati in alcune zone di Milano come corso Buenos Aires, via Torino, corso Vercelli o corso XXII Marzo hanno valori decisamente alti, fra i 15 mila e i 50 mila euro al mese, cifre che solo pochi grandi brand sono in grado di sostenere, spesso andando anche in perdita». Tra affitti e costi fissi, hanno chiuso anche alcune attività storiche. Non è un caso che, anche a Milano, sia sempre più diffuso il co-retailng in store, ovvero la condivisione dello stesso spazio fisico commerciale per ridurre i costi. «Le attività famigliari fanno molta fatica e molte chiudono, lo stesso vale per quelle dov’è non c’è ricambio generazionale. Si resiste nelle zone dove c’è turismo ma fuori da queste ci sono tante saracinesche abbassate. Per gli affitti servirebbe la cedolare secca», dice Gabriel Meghnagi, presidente di Ascobaires che lavora da 52 anni a Milano.
E che il 2024 sia stato un anno da dimenticare lo conferma anche l’analisi di Confesercenti sui dati a livello nazionale. «Tra gennaio e dicembre dello scorso anno, ben 61.634 attività hanno chiuso definitivamente: un rapporto vicino ad 1 apertura per ogni 3 chiusure, il peggiore degli ultimi dieci anni». Tanto che l’orizzonte, di questo passo, è il cosiddetto rischio aperture “zero” nel 2034. Perché la “crisi di natalità” non è solo per le culle vuote ma riguarda anche il commercio ed è un fenomeno ormai strutturale. Tanti numeri e indicatori diversi che, però, dipingono un quadro comune.
E in questo contesto il dato milanese, vale a dire quello della capitale economica e dello shopping non può non preoccuparci. Parecchio.