ilgiornale.it, 23 aprile 2025
Cina, tra controlli biometrici e hot pot: 5 giorni dentro il futuro (e le contraddizioni) del Dragone
“Prima volta in Cina?”. L’agente alla frontiera è quasi compiaciuto della sua gentilezza. E la domanda ti coglie quasi impreparato, perché questa storia comincia dal fondo: quell’agente è infatti l’ultimo baluardo prima del ritorno a casa, e sorride quando chiede “si è divertito?”. “Sì, certo”, di sicuro non viene da contraddirlo, anche se poi non era stata la prima volta in Cina. Però, in effetti era passato tanto tempo – 10 anni – dall’ultima visita, e da queste parti si tratta di un’eternità. E quindi, sì è vero, mi sono divertito, ma in realtà tornare nel Paese del Dragone proprio nei giorni della bufera dei dazi è stato più di altro molto interessante.
La Cina è avanti, con tutte le sue contraddizioni e le sue storture: riavvolgendo il nastro di un viaggio durato cinque giorni, le attese erano molte, le domande anche di più e non tutte – com’era inevitabile che fosse – hanno trovato risposta. Però, comunque, la Cina va vista, anche in qualche modo e in poco tempo, perché guardare il mondo con gli occhi degli altri ha sempre una prospettiva interessante.
Hong Kong
È stato il punto di arrivo e di ripartenza, solo quello. Da lontano abbiamo visto solo la sterminata fila di grattacieli sul mare, ma comunque uscendo dall’aeroporto si capisce che il clima è diverso, sicuramente più chiassoso. Lo dimostrano i cartelloni digitali così come l’abbigliamento a metà tra l’occidentale e il giapponese dei giovani. E poi c’è la guida a sinistra, lascito del governo britannico che nel 1997 ha ceduto alla madre patria la sua colonia dopo 156 anni di governo: da quel momento Hong Kong è una regione amministrativa speciale in base al principio “un Paese, due sistemi”, anche se non si sa fino a quando, visto che i 30 anni minimi stabiliti allora stanno per scadere.
Nel frattempo, però, per entrare in Cina bisogna passare due frontiere distanziate da uno dei ponti che da quelle parti tirano su in un amen: la prima, quella di Hong Kong appunto, è più rapida; la seconda, quella cinese, si passa solo dopo aver lasciato impronte digitali e scansione del viso. Qui i sorrisi sono banditi: benvenuti nella Repubblica Popolare.
Shenzhen
Il passaporto. Non dimenticatelo mai. È il vostro lasciapassare per tutto, lo userete come mai avete fatto prima. Il documento di identità è infatti lo strumento indispensabile, insieme allo smartphone, nella Cina che si è costruita il capitalismo socialista, quella che si accende e si spegne a comando del presidente. Shenzen è la dimostrazione di cosa sia successo negli ultimi 50 anni: distante solo 35 chilometri da Hong Kong, negli Anni Settanta era una semplice grande mercato di pescatori, fino a quando Deng Xiaoping decise che dovesse diventare un esperimento liberista.
Nel 1980 cominciò la rivoluzione, ed oggi nella Silicon Valley cinese abitano circa 18 milioni di persone, in una città piena di vialoni che dividono abitazioni alte decine e decine di piani, e con un grattacielo – quello del Ping an Financial Center – che arriva a 115 piani e 650 metri ed è dotato di una terrazza panoramica dalla quale abbiamo dominato la città, scoprendo un cuore costituito da un enorme campo da golf. Il manuale del turista parla di una megalopoli piena di divertimenti, con spiagge bianche (ma il cielo grigio tropicale non lascia presagire la presenza di “acqua cristallina”), un teatro marino, un villaggio folcloristico. Ma soprattutto Shenzhen è fatta di centri commerciali sterminati, vie piene di insegne coloratissime, gioventù che davvero strizza l’occhio all’Occidente, perfino all’America del nemico Trump.
Qui hanno sede le più grandi aziende tecnologiche del Paese (nella vicina Dongguan ci sono l’Health Lab e il Campus di Huawei), e qui si capisce come la mobilità elettrica non sia una favola orientale: le strade infatti suonano quasi ovattate, grazie al grande numero di veicoli di nuova generazione, compresi degli strani scooter bassi e dotati di cestino che viaggiano in corsie riservate ricavate sui marciapiedi. Ce ne sono migliaia. E poi, verso le 9 di sera, cala pure la luce: per questioni di sostenibilità i mega ledwall che di giorno sparano colori e video in continuazione vengono spenti. Shenzen insomma va a dormire, come la maggior parte dei suoi cittadini.
Noi, invece, intanto siamo impegnati nel rito tradizionale dell’hot pot in un ristorante alla moda, ovvero la cena in cui carne e pesce crudi vengono bolliti in una zuppa misteriosa dentro una pentola personale. L’errore è stato chiedere un po’ di vino: è arrivata una caraffa contenente una brutta copia di un marsala. “Abbiamo solo questo” risponde (in cinese) il cameriere con fare un po’ scocciato. Tranquillo, sarà per la prossima volta. Anzi no.
Guilin
Il passaporto, si diceva. Per entrare alla stazione di Shenzen, da dove prendere il treno per la città turistica sul fiume Lijiao, bisogna averlo. Così come per passare i tornelli e raggiungere il binario. In Cina, infatti, funziona che il viaggio sul Bullet Train vada prenotato, come sul Frecciarossa: la differenza è che a bordo non c’è alcun controllore, la selezione viene fatta prima. In pratica: si deve scansionare il documento per raggiungere la carrozza designata, quando sei dentro è ormai chiaro che il biglietto l’hai comprato.
Il treno – vanto della tecnologia della nazione, visto che può raggiungere i 400 km orari (ma al massimo ha segnato 320) – è in realtà un po’ tristanzuolo, anche in prima classe. Le poltrone non sono molto larghe e l’unico vantaggio è la consegna di un kit comprendente dei cracker e delle caramelle, tutto raccontato con gli ideogrammi. Per il resto sono 3 ore di viaggio per arrivare a Guilin, un niente per le distanze locali. La sera ci accoglie nella nebbia e sotto la pioggia la nostra guida – il simpatico Frank – il quale racconta che il meteo caldo umido bagnato è frequente: “È un paesaggio caratteristico del posto. A noi piace molto”.
In realtà il giorno dopo il panorama si apre, non subito. Il programma prevede una crociera fluviale sul Lijiao, su barche spaziose e dotate di divanetti e tavoli per il pranzo (il cibo però è così così) in mezzo a centinaia di montagne carsiche levigate che mostrano un paesaggio unico: “D’estate la nebbia circonda la loro punta e le fa sembrare delle signore con i capelli bianchi”, dice ancora orgoglioso la nostra guida. Naturalmente al porto si entra con il passaporto, e questo fa il paio con le migliaia di telecamere che ci inseguono fin da quando siamo arrivati a Shenzhen.
Per esempio: le strade sono sovrastate da un sistema di controllo che lampeggia ad ogni passaggio di automobili e motociclette, milioni di flash che impediscono di superare impunemente i limiti di velocità e sfuggire al controllo se si guida con un cellulare in mano. Per noi sarebbe una privazione della libertà, ai locali invece non sembra importare nulla, anzi: “Questo sistema ci rende più sicuri e permette alla polizia di intervenire subito in caso di reati”. Questione di punti di vista: non è certo così per tutti, ma di sicuro chi si è fatto una vita da ceto medio non si mette certo a contestare le politiche del Partito Unico. La sensazione? Si vive meglio di prima e questa viene considerata una libertà, pur senza esserla.
A Guilin, città da soli 500.000 abitanti, caotica e sovrastata da un cielo grigio tropicale, impariamo anche che in Cina la sanità è semi pubblica: se uno sta male può recarsi in uno dei centri medici disponibili o in ospedale, dove di solito viene curato senza dover aspettare con un mix di medicina tradizionale e farmaci avanzati. Alla fine lo Stato garantisce il 75 per cento delle spese sostenute, il resto è a carico. Così come anche la scuola è gratis solo per elementari e medie: esistono asili pubblici, ma sono pochi. E così si paga, anche il liceo. Arrivare all’Università poi fa la differenza sociale, e siccome il lavoro è tutto laurearsi vuol dire anche avere un’occupazione ben pagata e con orari occidentali, tipo 8-18 con un paio d’ore di pausa. Non male in un Paese che non si ferma mai.
Guangxi
È la meta della crociera: 4 ore in mezzo alle montagne che sembrano la punta di un sombrero, passando per piccoli centri balneari (ma davvero si potrà fare il bagno?) dove imbarcazioni simili a zattere portano a spasso i turisti. Prima dell’arrivo vediamo finalmente delle banconote, e questo ci porterà poi a parlare di denaro. Perché in effetti il taglio da 20 yuan viene tirato fuori orgogliosamente dalla tasca di Frank per mostrare che sul retro è proprio rappresentato uno scorcio del panorama che stiamo percorrendo. È l’unico momento di rivincita della vecchia moneta, perché in Cina ormai si paga solo digitale, con lo smartphone e con app come Wechat e Alipay. Basta un QrCode insomma.
Ce ne accorgiamo appena approdati al porto di Guangxi, dove – tra centinaia di persone che si accalcano per fare il percorso inverso – veniamo assaliti da ambulanti disposti lungo un corridoio lungo centinaia di metri. Tutti, ma proprio tutti, mostrano il loro QrCode offrendo libretti rossi di Mao, libri e illustrazioni, abbigliamento femminile, spremute di arance o di mango, richiami per le anatre. Chiedere la carità non è consentito, ma se mai a qualcuno fosse permesso anche lui vorrebbe un pagamento digitale.
A Guangxi succedono alcune cose divertenti:
veniamo accompagnati in un bar a bere un caffè, “il migliore di tutta la città” afferma Frank. Non sappiamo se lo fosse davvero, al massimo potremmo considerarlo un passabile caffè d’orzo, ma poi scopriamo che il bar è di proprietà della sorella della nostra guida. “Buonissimo, Frank!”;
In tutta la zona pedonale della città, piena di negozi che vendono perline, braccialetti, street food (l’odore di anatra arrosto è persistente), vestiti che le ragazze in realtà affittano e indossano per farsi fotografare dopo essere passate al trucco, magneti e altri souvenir, non si trova una maglietta che una da comprare. Un vero mistero, per cui – visto il caldo – optiamo per un capellino uguale a quello che troveremmo nel negozio della Nike a Milano. Uguale uguale, solo che invece della scritta NY di New York c’è scritto nello stesso modo MY (non è dato sapere il significato). E poi che invece di 30 euro costa ben 20 yuan. Al cambio 2 euro e 25 cent, circa;
Guangxi, che in mezzo alle montagne sombrero offre un bel panorama, è anche meta di scolaresche che arrivano da villaggi dei dintorni. Dai bus scendono ragazzi di un’età presumibile tra i 10 e i 15 anni, che diventano matti quando incontrano degli occidentali che hanno visto solo in Tv. La star, così, diventa il collega con la barba, particolare praticamente introvabile nei maschi cinesi. La sua foto ora campeggerà sicuramente in decine di scuole cantonesi.
Yangshuo
Là dove scorre il fiume Yulong, giusto fuori Guangxi, arriviamo in bicicletta pedalando bordo acqua. È quasi l’ora del tramonto e l’effetto è davvero da cartolina. Anche qui va per la maggiore la mini crociera su una zattera, ma noi continuiamo sulle due ruote per una passeggiata indimenticabile. La meta è lo Yangshuo Resort Hotel, un posto incantevole dove il nostro personalissimo cartellino (Rino Tommasi docet) segnala un ristorante che ci ha fatto sognare: tutto buonissimo, con un mix di piatti tradizionali davvero gustosi (super i gamberi di fiume, ma perfino gli involtini primavera) e abbondanti. Segnatevelo, ne vale la pena (sì, vabbè, non è dietro l’angolo).
Il dopo cena poi è una sorpresa: Frank ci porta a vedere uno spettacolo che si chiama “Impression Sanjueliu”, in pratica la storia di una fanciulla del luogo che vuole anche celebrare la tradizione dei 5 villaggi di cui è composta l’area. E che lui ci racconta con entusiasmo: “L’ho visto decine di volte, mi commuovo sempre”. E se pensate di assistere al solito spettacolo per noi occidentali un po’ straziante, sappiate invece che l’ideatore regista è Zhang Yimou (quello di “Lanterne rosse”), che il palcoscenico è sull’acqua, che la scenografia delle montagne è incantevole, che c’è una luna pazzesca, che le comparse sono più di 600 e che alla fine dei 70 minuti di spettacolo non puoi che dare ragione a Frank. Commovente.
Il ritorno
L’ultimo giorno, tornati a Guilin, resta lo spazio per una visita al Reed Flute Cave, una grande grotta con stalattiti e stalagmiti, che insomma ha il pregio di farci trovare almeno una maglietta da acquistare (sempre 2 euro e 25 circa). Non che non siano belle, ma un giro alla Grotta Gigante di Sgonico la consigliamo agli amici cinesi. Poi è di nuovo passaporto, treno (questa volta in seconda classe che sembra migliore della prima del giorno precedente), un panorama di pianura inframezzata da improvvise grandi città e, dopo altre 3 ore di treno, l’approdo a Hong Kong, dove il passaporto entra ed esce di nuovo dalla tasca in maniera seriale finché non si arriva in aeroporto.
Il giudizio finale? La Cina per noi è davvero un altro mondo, negli usi e nelle abitudini ristrette da un governo che deve tenere a bada un miliardo e mezzo di persone e non ammette deroghe al piano di un uomo solo. Eppure il gigante è in crescita, ha imparato molto da noi in civiltà e modernità, ed anche se di strada ce n’è ancora da fare, per certi versi ci ha superati. È un Paese poco empatico eppure accogliente. Poco incline ai compromessi ma capace di imparare, perfino ad essere più pulito. Difficile da capire però da cercare di comprendere. Imperscrutabile, che non si è scomposto e non si scomporrà più di tanto davanti alle lucide scalmane di Trump. Volenti o nolenti, dopo averlo nutrito di tecnologia e ingegno dovremo insomma trovare un modo di venirne a patti.
Ma per sapere come, non basta un viaggio di 5 giorni e solo in una piccola parte dell’immenso territorio.
Per cui, caro agente, ci siamo proprio divertiti. Torneremo, sperando in qualche sorriso in più. Magari fin dall’inizio.