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 2025  aprile 23 Mercoledì calendario

Intervista a Milena Vukotic

Il passo è quello leggero e danzante di una Gelsomina delle scene: sulle punte Milena Vukotic sale agile ed elegante sul palco della Sala Blu del Teatro Franco Parenti di Milano. Da diva-antidiva (nonostante il Premio Duse) entra nel nuovo personaggio, Madame A, la protagonista di Lezione d’amore, Sinfonia di un incontro, regia della padrona di casa, Andrée Ruth Shammah con cui si scambia emozioni e impressioni sul senso del testo scritto con Federica Di Rosa, ispirato al film Harold e Maude e al romanzo Madame Pylinska e il segreto di Chopin.
«Non stiamo parlando di eutanasia, ma della morte, che quando arriva almeno ci sia la possibilità di affrontarla in maniera dignitosa, evitando il più possibile la sofferenza fisica e il dolore della solitudine», dice la Shammah agitando i pensieri sotto il suo grande cappello. Sguardo d’intesa con la Vukotic che con la Shammah condivide «il fervore. Un incontro essenziale, grazie a un testo che mi è arrivato in un momento molto forte della mia vita», dice cercando conferma a queste sensazioni nel coprotagonista, il 16enne talentuoso Federico De Giacomo e la voce narrante del testoriano Andrea Soffiantini, con i quali debutta stasera con Lezione d’amore. Proprio il giorno del suo 90° compleanno.
Suo zio Pope ortodosso non amava il teatro e se fosse stata sua figlia non le avrebbe mai permesso di calcare le scene...
«Infatti a suo figlio lo zio Pope aveva proibito di fare teatro. Poi però a Belgrado mio cugino è diventato un grande attore. Per me invece fare l’artista è stata una scelta naturale: con una mamma pianista ho sviluppato la passione per la musica e poi ho studiato seriamente anche la danza classica. A Parigi venni presa nelle due scuole più importanti, quella di Roland Petit e al Grand Ballet du Marquis de Cuevas».
Nasce a Roma, dopo aver viaggiato per mezza Europa e diventando presto poliglotta.
«Mio padre oltre che drammaturgo che ha conosciuto e tradotto Pirandello, era anche un diplomatico montenegrino e per questo cambiavamo spesso città, scuole e atmosfere. Spostandoci in continuazione ho avuto la fortuna di imparare cinque lingue, di andare ai concerti e a teatro che ero ancora piccola e questa è stata la vera grande fortuna della mia vita».
Attrice a tutti i costi, nonostante il regista Renato Castellani glielo avesse sconsigliato.
«Avevo visto La strada di Federico Fellini ed ero rimasta folgorata, perciò dissi a me stessa: ecco, questa della recitazione sarà la mia strada. Così andai da Renato Castellani con una lettera di presentazione. Lui mi scrutò e disse. “Sei brava a danzare, sai fare molte cose, però per fare il cinema o sei bella e maggiorata come la Lollobrigida o devi avere una personalità dirompente come la Magnani… Perciò signorina, le consiglio di lasciar perdere”. Anni dopo Renato Castellani mi chiamò nel cast del suo Verdi televisivo e mi diede un ruolo importante, la contessa Maffei. Non gli ricordai del consiglio che mi aveva dato, né della lettera mai consegnata – sorride –, ero solo felice di poter lavorare con un grande del cinema italiano».
Il più grande dei registi, nonché autore del suo amato film La strada, Federico
Fellini, poi la volle in Giulietta degli spiriti.
«Arrivai anche da Fellini con una lettera, che non gli ho mai mostrato. In Giulietta degli spiriti avevo un ruolo importante ma fu bello lavorare con lui anche in piccole parti come la giornalista di Toby Dammit – episodio di Tre passi nel delirio – e poi la suora ne Le tentazioni del Dottor Antonio, l’episodio divertente di Boccaccio ‘70 con Peppino De Filippo e Anita Ekberg. Dicevo una sola frase».
Che ricordi ha di Fellini e Masina?
«Tanti mi hanno detto che fisicamente somiglio a Giulietta Masina. Lei è stata unica nel panorama delle presenze enormi della storia del cinema. Io ho attinto tanto alle nostre conversazioni conviviali, con i loro consigli preziosi Giulietta e Federico sono stati un punto d’appoggio costante, mi hanno fatto sempre sentire protetta. Sono i miei angeli».
Lo stesso calore continua a trasmetterle il teatro, come agli inizi.
«Quelli, gli esordi, non potrò mai dimenticarli. Ho iniziato con la compagnia di Rina Morelli e Paolo Stoppa: due anni intensi e fondamentali in cui facevo la ragazzina in Così è (se vi pare) di Pirandello. A distanza di anni sono tornata a farlo per la regia di Geppy Gleijeses che mi ha dato quel ruolo meraviglioso della signora Frola».
Nulla di più distante dalla signora Pina Fantozzi ideata da Paolo Villaggio e anche dalla moglie del conte Lello Mascetti, alias Ugo Tognazzi.
«Quelle sono due figure un po’ patetiche, ma al contempo anche due donne animate da un amore incrollabile per i loro mariti. Villaggio è un clown universale che è riuscito a creare una maschera che non si può catalogare e il suo portare il racconto fino al grottesco gli è riuscito grazie alla capacità di creare tante altre maschere intorno a Fantozzi. Tognazzi è stato un grandissimo attore, ma io ho avuto la fortuna di lavorare un po’ con tutti i più grandi del cinema italiano e non solo».
Degli attori stranieri chi le è rimasto nel cuore?
«Mah… penso a Erland Josephson, l’attore svedese con cui ho recitato in Cattiva di Carlo Lizzani o a Jean-Louis Trintignant con cui girammo Appuntamento con l’assassino e poi l’ho conosciuto meglio sul set de La terrazza di Ettore Scola. Ricordo che gli regalai un disco registrato da mia madre perché Trintignant amava Bach. A Parigi mi presentò anche sua figlia e andai a vederlo in un monologo che portava in scena nel teatrino di Versailles. Poi purtroppo ci si perde di vista».
Con Lino Banfi dopo Un medico in famiglia vi siete persi?
«No, con Lino mai, il nostro rapporto è rimasto sempre affettuoso, è una gioia ogni volta che ci ritroviamo. Abbiamo cominciato a lavorare insieme all’inizio degli anni ‘80 in Cornetti alla crema di Sergio Martino e poi abbiamo passato una vita sul set di quella serie di Rai1. Il suo Nonno Libero è diventato il nonno d’Italia. Lino Banfi è un grande attore, non solo comico, e infatti gli è mancato un Fellini, avrebbe dovuto e potuto fare un film con un grande regista come è capitato a me con Buñuel ( Il fascino discreto della borghesia) o Tarkovskij ( Nostalghia), ma purtroppo nella vita, nonostante il talento non si può sempre avere tutto».
Lezione d’amore. Sinfonia di un incontro, insegna anche che l’amore non ha tempo e che la fede aiuta sempre nella vita. È stato così anche per lei?
«Tanti nella storia del pensiero hanno detto che l’amore non conosce limiti temporali e io per la vita che ho fatto fin qui ritengo di essere d’esempio. Quello che provo per il teatro è un sentimento, un’energia che si può chiamare amore, ma anche semplicemente la forza che mi consente di andare avanti tutti i giorni. La fede mi è stata sempre d’aiuto e credo che nessuno possa farne a meno».