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 2025  aprile 22 Martedì calendario

Sugli orsi e sugli orsetti

A Parigi l’opulento Musée des Arts Décoratifs propone una curiosa rassegna dedicata ad un oggetto forse umile ma, a suo modo, senz’altro mitico. Si tratta dell’ "Orsetto di peluche”.
 
La curatrice, Anne Monier Vanryb, ha fatto uno straordinario lavoro, raccogliendo più di un centinaio di reperti e coinvolgendo negli apparti critici personaggi del calibro di Michel Pastoureau, Catherine Schwab, Sophie Lemahieu e Marie Adamski.
 
L’orso è un animale che ha accompagnato fin dai primordi la storia dell’Umanità. In epoca preistorica era temuto come un minaccioso competitor (vedi i disegni rupestri delle grotte di Lascaux). Adorato poi negli antichi culti pagani e quindi deriso e ucciso negli anfiteatri romani.
 
museo arti decorative paris
Addomesticato e incatenato per i giochi di piazza medioevali (e poi, successivamente, nell’ambito circense). Compare di frequente nella favole di La Fontaine per poi migrare inevitabilmente nei racconti per bambini. Infine viene trasformato appunto in simpatica mascotte. Il mito, anche quando ha i connotati della ferocia, sa quasi sempre farsi lucroso merchandising. Nota attuale (forse un po’ inquietante): l’orso da sempre simboleggia anche la potenza militare russa.
 
theodore roosevelt 1
La saga del “Teddy Bear” (così è noto nel mondo anglosassone l’orsetto di pezza) inizia nel 1902 nello Stato del Mississippi. Il presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt, durante una battuta di caccia trova un giovane orso che gli zelantissimi organizzatori avevano legato a un albero perché lui potesse sparagli più agevolmente.
 
Sebbene Roosevelt sia un cacciatore indiavolato si indigna e fa liberare immediatamente l’orso. La stampa è presente in forze e le foto del presidente (in genere chiamato con il diminutivo “Teddy") con la bestia fanno il giro del Mondo.
 
mon ours en peluche
L’animale viene associato a Roosevelt sempre più spesso e due intraprendenti pasticceri di Brooklyn, i coniugi Michtom, costruiscono un simpatico orsetto con lana e stoffa e lo inviano al presidente chiedendo se avessero potuto venderlo in futuro con il nome di “Teddy Bear”. Permesso accordato.
 
Nel 1906 la “Ideal Novelty and Toy Company” (di cui i Mitchtom sono soci) inizia la produzione industriale. Sempre nel 1902, dall’altra parte dell’Atlantico (in Germania, a Giengen an der Brenz), l’azienda Steiff – nata pochi anni prima da una volenterosa signora affetta dalla poliomelite di nome Margarete Steiff – inizia a produrre un orsetto in mohair con le zampe movibili, tecnicamente assai superiore al fagottino dei Michtom. È fatta. Oggi le aziende che producono questo tipo di oggetto sono molte e si sono convertite (almeno quelle europee) ad una produzione sostenibile, utilizzando materiali e lavorazioni “eco”. La storica Steiff esiste ancora e prospera (alla faccia dei videogiochi).
 
teddy bear 01
Ma non è stato solo un giocattolo che ha accompagnato e rassicurato i sonni di milioni di bambini (Donald Winnicott, celebre psicoanalista dell’infanzia britannico, considerava l’orsetto come un “comfort object” importante per lo sviluppo infantile).
 
Personaggi molto cari all’immaginario globale come “Winnie the Pooh”, “Little Brown Bear” e “Paddington” si sono ispirati direttamente al pupazzo in peluche.
 
Chi non ricorda il divertente siparietto televisivo di Paddington a Buckingham Palace con Elisabetta II (2022)?  Bisogna constatare che il piccolo orso è una creatura che ha funzionato al meglio nell’ambito delle culture dell’Europa settentrionale e dell’America del Nord.
 
Ha avuto meno presa con i bambini del mondo mediterraneo. La questione Nord-Sud ad un certo punto potrebbe forse essere letta come la competizione tra Orso e Bambola.
 
teddy bear fashion moschino
Il Teddy Bear è comunque migrato massicciamente e gloriosamente nel mondo degli adulti per diventare una specie di coccoloso Patrimonio dell’Umanità (la generale dilatazione dell’adolescenza fino alle soglie della Terza Età ha favorito questo processo). È oggi oggetto di collezionismo ossessivo e appassionato. In qualche modo ha avuto il privilegio di assurgere a simbolo universale di tenerezza e affetto (meno banale, è vero, dei vari cuoricini). Ma c’è pure dell’altro: il termine “orsetto” fa comunemente parte del gergo dell’intimità erotica (etero e soprattutto omo).
 
Gli orsetti hanno saputo sedurre facilmente il mondo della Moda e del Design. Pauline Montironi (designer francese) li ha utilizzati per una bombastica poltrona.
 
 Negli anni 1988/89 Jean-Charles de Castelbajac e Moschino hanno fatto degli abiti meravigliosi con questo soggetto. La griffe Dior (con Patrick Lavoix) si è cimentata a vestire elegantissimi plantigradi di varie misure. Anche i marchi Paco Rabanne (1990) e Ralph Lauren (1994) ci hanno provato.
 
Ma chi li ha adottati senza riserve (e con grande trasporto) è stata l’Arte Contemporanea. Charlemagne Palestine (pseudonimo di Martin Charles, Brooklyn 1945) è l’artista-musicista che li  ha fatti diventare il proprio segno distintivo.
 
teddy bear fashion dior
Jeff  Koons li ha messi spesso al centro di alcune opere piuttosto iconiche, tra tutte difficile dimenticare il colossale “Bear and Policeman” (opera in legno del  1988). Anche Annette Messager, Benoit Pièron e Carole Benzaken  ne hanno fatto un ampio uso. KAWS (al secolo Brian Donnelly, Jersey City 1974) continua con successo ad ibridare il Teddy Bear con altri tipi di giocattoli in resina.
 
Una mostra davvero super trasversale, questi surrogati di affetti familiari coinvolgono più o meno tutti. Le coccole sono ovunque merce rara. Meglio comunque una collezione di simpatici orsetti di pezza che una improbabilissima e truffaldina relazione on line con qualche spacciatrice/spacciatore d’amore.