Corriere della Sera, 22 aprile 2025
Il maestro dei piccoli maestri
Il maestro dei «piccoli maestri» sarebbe probabilmente arrossito leggendo la motivazione della sua medaglia d’oro al valor militare: «Colpito a morte chiudeva nel bacio della gloria la sua ammirevole vita». Non piaceva la retorica, ad Antonio Giuriolo. Come scrisse su «Patrioti», il foglio della Brigata Giustizia e Libertà, il ventiquattrenne Enzo Biagi che era nato lì, su quell’Appennino di Lizzano in Belvedere dove il «Capitan Toni» fu ucciso il 12 dicembre ’44 mentre tentava di recuperare due compagni feriti in uno scontro coi rastrellatori nazisti, era un «capitano senza gradi, soldato senza stellette». Ma amatissimo.
«Il suo eroismo era dentro, non fuori, nell’animo puro, incorrotto, non nelle parole, nelle frasi solenni», ricorderà vent’anni dopo, in una commemorazione a Bologna, il filosofo Norberto Bobbio, che l’aveva conosciuto ragazzo a Padova, «e proprio perché fu un eroe senza gesti, rappresentò bene la figura del combattente di questa guerra straordinaria, quale fu la guerra di liberazione, che trascende i confini di una patria, gli odi di parte, la politica delle fazioni. A guerre eccezionali occorrono, per giustificarle di fronte a noi stessi, uomini eccezionali. Giuriolo è stato uno di questi».
Un uomo sobrio dalla schiena diritta. Costretto dopo la laurea in lettere e il servizio militare da ufficiale degli alpini, a vivere di ripetizioni private per avere rifiutato la tessera fascista. E ricordato oggi, a ottant’anni dalla morte e dal 25 aprile, con un docufilm ricco di testimonianze di Marco Zuin e Giulio Todescan (anteprima il 19 maggio a Vicenza, poi tour nelle sale) il cui titolo dice tutto: La religione della libertà. Non quella evocata nella sventurata gaffe del governatore piemontese Alberto Cirio a proposito dei nostri alpini morti in Russia, purtroppo partiti in appoggio alle truppe hitleriane. Ma la libertà citata da Carlo Azeglio Ciampi quando anni fa, riconoscendo anche il «sentimento che animò molti dei giovani che allora fecero scelte diverse (...) credendo di servire ugualmente l’onore della propria Patria», salì su quelle balze appenniniche fino al cippo di capitan Toni a rendere omaggio a «uomo di lettere che diventò uomo d’arme» perché «credeva nella religione della libertà».
Quella di cui parlava Renzo Ghiotto detto «Tempesta», il più giovane dei discepoli del partigiano vicentino, in un vecchio video ritrovato dai giovani autori del documentario grazie a Luciana, Pierantonio e Gianguido Giuriolo, i nipoti: «Camminando per i monti, parlava. E questo parlare mi dava l’impressione del maestro... E mi spiegava che cosa succede nella società civile, cosa che noi, allevati in una scatola chiusa dal fascismo, non riuscivamo a concepire...». «La nostra era una brigata di diciottenni, si può dire. Io avevo ventuno anni ed ero fra i meno giovani», ricorda in un altro prezioso video accanto al cippo Ferruccio Pilla, il fratello di Franca Ciampi che per mesi combatté sull’Appennino con la Brigata Matteotti, «non vi dico cosa è stato Toni per noi. Non sapevamo assolutamente niente al di fuori della cultura fascista».
Proprio come l’autore de I piccoli maestri che, riassume Marta Pozzolo in Luigi Meneghello, un intellettuale transnazionale (Ronzani editore), è «prima balilla, poi balilla moschettiere, gufino negli anni universitari e infine littore giovanissimo, vincitore alla competizione dei Littoriali dell’Arte e della Cultura a Bologna del 1940». L’anno in cui, come annoterà lo scrittore in Fiori italiani, conosce appunto «Toni»: «L’incontro con lui ci è sempre parso la cosa più importante che ci sia capitata nella vita: fu la svolta decisiva della nostra storia personale, e inoltre (con un drammatico effetto di rovesciamento) la conclusione della nostra educazione». Un rapporto fortissimo, «di tipo evangelico, benché mancassero del tutto i lati espliciti, esagitati, della predicazione. C’era proselitismo, ma in un’aura di sobrietà, di riserbo, di pudore. Forse nel Veneto è impossibile essere spudorati in modo serio». Per dirla con Gigi Ghirotti: «Meneghello e i suoi compagni costituivano una scheggia d’Italia che vagava, staccata dal tronco, in attesa d’una patria di là da venire».
Va da sé che anche il libro di Marcello Flores e Mimmo Franzinelli Il prezzo della libertà. 40 vite spezzate dal fascismo (1919-1945) appena edito da Laterza, non può prescindere dal partigiano morto a 32 anni convinto che l’uomo di cultura «non può starsene appartato, deve assumersi degli impegni nella società degli uomini, deve sentire la grande responsabilità che grava sulle sue spalle: difendere e custodire quello senza cui né cultura né moralità possono vivere: la libertà».
Il libro, certo, raccoglie tante storie uniche da custodire nella memoria. Da quella dell’industriale farmaceutico milanese Roberto Lepetit che mise a rischio l’azienda e morì nel lager di Mauthausen per aver collaborato con la resistenza e salvato centinaia di persone in fuga a quella di Lauro De Bosis, lo scrittore poeta che nel 1931 scaricò su Roma migliaia di manifestini antifascisti per poi inabissarsi in mare per aver finito la benzina, da quella di Gastone Sozzi morto dopo settimane di torture nel carcere di Perugia ad Angela Lazzarini, condannata a morte, stuprata per ore da ufficiali e sottoposti repubblichini e infine giustiziata nelle Marche nell’estate ’44 per «aver fornito abiti civili» a un miliziano che voleva disertare.
Tra tutte, tuttavia, spicca appunto la storia di Antonio Giuriolo, «per anni dimenticato dalla sua stessa città» finché un altro vicentino «trapiantato in Inghilterra» cioè Meneghello, riuscì a «far diventare “mito” il ricordo del “capitano con gli occhi di bambino”. Il mito di un antifascista atipico, capace di affascinare i giovani che studiano mentre ha luogo la guerra e lo eleggono a proprio maestro: per il suo impegno morale prima che politico, per la sua lezione di anticonformismo, di pragmatismo, di vitalità, ma anche – e con estrema semplicità – di sacrificio della propria vita, in uno slancio collettivo, sia pure di minoranza, come fu quello della Resistenza».