La Lettura, 20 aprile 2025
Sullo spettacolo “D’oro. Il sesto senso partigiano”
«Quella sera del 25 aprile 1945 a Villa Migone, residenza del cardinale Pietro Boetto, il generale Gunther Meinhold fu costretto a firmare l’atto di resa davanti all’operaio Remo Scappini, presidente del Cln (Comitato di liberazione nazionale, ndr) Liguria, la cui moglie Rina, incinta, era stata seviziata dai nazifascisti fino a farle perdere il bambino. Quel foglio di carta rimane un documento storico. Al punto 2 imponeva che le truppe tedesche consegnassero le armi nelle mani dei partigiani. C’era scritto proprio così: partigiani. Solo l’indomani entrarono in città gli americani, e rimasero stupefatti: “A wonderful job”. La mattina del 26 aprile Paolo Emilio Taviani (politico, storico ed economista, tra i capi del movimento partigiano in Liguria, ndr), a nome del Cln, poteva annunciarlo via radio: “Per la prima volta nella storia di questa guerra un corpo d’esercito si è arreso a un popolo”».
È una parte della testimonianza che Mirella Alloisio, classe 1925, impegnata come staffetta fin dall’estate del ’43 e segretaria operativa del Cln Liguria, ha consegnato nel febbraio 2020 ai giornalisti Laura Gnocchi e Gad Lerner, curatori del libro Noi, partigiani. Memoriale della Resistenza italiana (Feltrinelli). E proprio a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, unico caso in Europa in cui un intero contingente militare tedesco si arrese alle forze della Resistenza senza alcun intervento bellico alleato, sarà in scena, in occasione dell’ottantesimo anniversario della Liberazione, D’ORO. Il sesto senso partigiano (Teatro Ivo Chiesa, 25 aprile h. 20.30, e 27 aprile h. 18). S caturito dal lavoro di Gnocchi e Lerner, lo spettacolo ha la direzione artistica di Davide Livermore, drammaturgia e regia di Giorgina Pi, che ha chiamato sul palco gli attori Monica Demuru, Valentino Mannias, Francesco Patanè, Aurora Peres e un coro di cittadine e cittadini. La recita del 25 aprile si terrà alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
«Da tempo il 25 aprile viene considerata una data divisiva, la festa di una parte contro l’altra — esordisce Laura Gnocchi —. Perché la memoria non andasse del tutto perduta, con Gad Lerner, con il quale collaboro da molti anni, abbiamo deciso di intervistare tutti i partigiani e le partigiane viventi e di raccoglierle sul portale Noi, partigiani (noipartigiani.it). La ricerca, avviata nel 2019, prima della pandemia Covid, è ancora in divenire. L’obiettivo era, ed è, di raccogliere il massimo numero di testimonianze dei protagonisti della Resistenza, comprese le molte rilasciate in precedenza e disseminate in vari archivi. Arrivati a 45o interviste abbiamo scritto Noi, partigiani. Memoriale della Resistenza italiana, “romanzo collettivo” da cui sono nati Noi ragazzi della libertà (Feltrinelli Kid, 2022) e Dimmi cos’è il fascismo (Up Feltrinelli, 2025). Il portale Noi, partigiani ha dunque “figliato” tre libri, una trasmissione televisiva, La scelta (disponibile su RaiPlay, ndr), e ora lo spettacolo che andrà in scena a Genova».
Il contributo, piccolo o grande, di uomini e donne alla lotta di Liberazione in quei venti terribili mesi che andarono dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, «merita di essere ricordato — sostiene con forza la giornalista —. Alla fine del conflitto per i partigiani ci sono stati riconoscimenti; le donne, che durante la guerra hanno dato un contributo determinante, sono invece state messe da parte. Per avere l’attestato di partigiano c’erano precisi requisiti (un certo numero di mesi in montagna, avere partecipato ad azioni armate) che la maggior parte di esse naturalmente non aveva. Come sostiene lo storico Giovanni De Luna, la storia della Resistenza è purtroppo anche storia della storiografia, cioè della rappresentazione degli eventi a seconda dei periodi». Le donne nei loro racconti esordiscono quasi sempre minimizzando. «Dicono: ho fatto poco — prosegue Gnocchi —, poi scopri che sono passate dai posti di blocco fascisti e nazisti, o che hanno mangiato i messaggi per non farli finire in mani nemiche». In tutte le testimonianze, osserva la giornalista, emerge la convinzione di «aver fatto la scelta giusta. Nonostante una vita di pericoli, partigiani e partigiane non hanno dubbi: rifarei la stessa cosa, mentre la speranza tradita è stata credere che avremmo potuto essere tutti un po’ più uguali».
C’è una storia che racconta commuovendosi sempre: «È quella di Gustavo Ottolenghi. Di famiglia ebrea, il padre decide che devono dividersi per non farsi prendere tutti insieme. Lui torna a Torino dove entra nel Cln, la madre va in montagna con una brigata partigiana, Gustavo viene affidato a un’altra brigata. Ha 11 anni. Se sopravviviamo, dice il papà, a guerra finita ci troviamo tutti al monumento del Duca d’Aosta in piazza Castello a Torino. Arriva la Liberazione: Gustavo è sotto il monumento. Ci sta tutto il giorno. Non arriva nessuno. Il secondo giorno, nemmeno. Il terzo giorno, di lontano, riconosce una figura. Suo padre. E poi, sua madre...».
Il memoriale della Resistenza italiana conta oggi un migliaio di testimonianze. «Non è solo un monumento digitale di riconoscenza — sottolinea Gad Lerner — ma anche uno strumento didattico per le scuole, e di ricerca per gli storici. Molte tra le storie riportate sono inedite e riguardano episodi pure scabrosi della Resistenza. Non abbiamo incontrato reticenze: si è trattato anche di una guerra civile, con le sue atrocità. Valentino Bortoloso ha ricordato il suo coinvolgimento nell’eccidio di Schio, l’uccisione da parte dei partigiani di 54 fascisti detenuti nel carcere della città, che sarebbero stati liberati. Ma dall’insieme di questi mille racconti capisci che chi cerca di mettere sullo stesso piano partigiani e nazifascisti sostenendo che ci sono state atrocità e ingiustizie da entrambe le parti dice una bestemmia. Certo che ci sono state, ma non si può mettere sullo stesso piano chi praticava la rappresaglia, la deportazione su base razziale, la tortura, con le storie di questi partigiani». Il tratto comune che unisce centinaia di interviste del memoriale, prosegue il giornalista, «è il sesto senso del partigiano, che Livermore e Giorgina Pi hanno scelto come titolo dello spettacolo, la capacità — quasi una vocazione rabdomantica — di cogliere in anticipo i sintomi del fascismo che si ripropone: razzismo, maschilismo, retorica nazionalista, disprezzo per gli intellettuali, turpiloquio, omofobia, misoginia... È il denominatore comune di storie diversissime, sia per origini sociali che per profilo culturale, che abbiamo colto. L’istinto di avvertire nell’aria segnali sinistri ci ha suggerito l’attualità delle testimonianze dei partigiani. E anche l’idea che la loro scelta potesse rappresentare per noi un codice di comportamento, posti come siamo di fronte a nuove minacce di guerra e al tema “da che parte stare”».
Cosa invece sulla scena sarà D’ORO. Il sesto senso partigiano lo spiega Giorgina Pi, regista e autrice della drammaturgia dello spettacolo. «Ho identificato — spiega — storie che potessero avere un valore simbolico dal punto di vista umano, emotivo, ma che soprattutto racchiudessero il concetto di “scelta”, ovvero di ciò che ha spinto giovani poco più che adolescenti a lasciare le proprie case per unirsi alla lotta partigiana». I racconti (di Mirella Alloisio, Mario Ghiglione, Aldo Tortorella, Gianna Radiconcini, Paolo Orlandini, Mario Candotto, Ivonne Trebbi, Gustavo Ottolenghi, Luciana Romoli), prosegue la regista, «sono la rielaborazione delle interviste contenute nel libro di Gnocchi e Lerner, miste allo studio delle videointerviste (visibili sul portale Noi, Partigiani) di quegli stessi partigiani e partigiane e a invenzioni e immaginazioni».
Questo doppio materiale, letterario e video, di cui, afferma la regista, «ho cercato di custodire l’incredibile bellezza», è la base del testo «e lo spunto di lavoro per attori e attrici che a esso mischiano il loro stesso sogno di incarnare un/a ribelle che ha liberato l’Italia dal nazifascismo. A questo si aggiungono le domande ai partigiani degli attori e delle attrici più giovani, che si inseriscono nella drammaturgia dopo un percorso di ricerca comune. La scrittura dello spettacolo fonde queste fonti diverse, questo doppio binario e si esprime attraverso la scena e il lavoro di riprese fatte sulle montagne liguri». Al gruppo di attori adulti, prosegue Giorgina Pi, «sono affiancati due attori e due attrici ragazzini/e (due di loro sono afrodiscendenti): i partigiani arrivano in sogno a questi adolescenti, che si domandano cosa è stata la Resistenza. Riescono a incontrarsi e a parlarsi, un incontro magico. In questo ci aiutano le videoriprese girate con i ragazzi nei nascondigli dei partigiani sui monti. Per me, artista “disobbediente”, attivista militante, con radici in un ambiente in cui il “sesto senso partigiano” è sempre stato un elemento che mi ha guidato e protetto, celebrare in questo modo il 25 aprile, che considero il giorno più importante dell’anno, è, oggi più che mai, il coronamento di un sogno».
«D’ORO è un lavoro fondamentale per la stagione del Teatro nazionale di Genova — conclude Davide Livermore, direttore del teatro e ideatore del progetto —, fondamentale perché sono ottant’anni dalla Liberazione dai nazifascisti e perché il teatro ha il dovere e la responsabilità di raccontare a tutti il senso della comunità che esso stesso rappresenta. Non si tratta di militanza partitica: stiamo raccontando dell’importanza dell’atto che ha generato la nostra Repubblica. Chiamare alle arti la popolazione di Genova vuol dire ricordare il background di questa città medaglia d’oro della Resistenza. Una medaglia guadagnata grazie al fatto di sentirsi comunità, di essere insieme. È pertanto inconcepibile pensare che questa giornata possa essere divisiva».