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 2025  aprile 22 Martedì calendario

I ritratti dei buoni e dei cattivi del "cattivo" Oreste del Buono

Fa strano dirlo, ma ci sono stati tempi in cui gli intellettuali erano colti. Neanche tantissimo tempo fa, diciamo fino agli anni Novanta. Di qualcuno ci ricordiamo ancora, per la verità sempre meno, di altri si sono perse le tracce. E non era nemmeno gente che si recludesse in qualche eremo per sfuggire alla noia e al fastidio di stare col prossimo. Perlomeno, non quelli rappresentati con ampio risalto cromatico nella galleria di ritratti di Oreste Del Buono consegnati a un volume intitolato opportunamente Amici, amici degli amici, maestri e ora riproposto da Luni editrice (pagg. 304, euro 24).
Del Buono è stato un talento eclettico, divorato dalla curiosità, interdisciplinare, uno che sapeva leggere i classici come fossero fumetti e che nei fumetti riconosceva la presenza di temi universali. Giornalista, scrittore, traduttore, editor, consulente editoriale, talent scout, organizzatore di cultura, critico letterario, cinematografico, televisivo e teatrale, sceneggiatore televisivo e radiofonico, si muoveva come un autore in cerca di personaggi da interpretare, e li incarnava tutti con la consistenza solida di chi conosce ogni settore del suo mestiere.

I testi qui raccolti furono selezionati da una rubrica che Odb (così amava firmarsi) teneva sull’inserto «Tuttolibri» de La Stampa, rivisti e pubblicati una prima volta nel 1994. Tutto scorre; i vecchi giornalisti dicevano di scrivere sull’acqua e in parte avevano ragione, se di colleghi come Giuseppe Trevisani o Tommaso Giglio è rimasta così poca memoria. Eppure costoro i giornali non solo li sapevano scrivere, ma li sapevano anche progettare e vestire con la grafica, sia che si trattasse di riviste letterarie come il Politecnico, sia di grandi quotidiani come Il Giorno dell’Eni di Enrico Mattei. Cercavano di impaginare il mondo per renderlo più elegante. È difficile che una persona con meno di trent’anni oggi si renda conto di che cosa significassero i giornali nel Novecento. Erano il crocevia della cultura, indirizzavano il pensiero, esprimevano la dialettica sociale. Si rivolgevano tanto alle classi dirigenti quanto al popolo. Facevano opinione. In questo senso Odb si è distinto, insieme al più giovane Umberto Eco, per ridefinire i confini tra cultura alta e bassa, fra tradizione e pop, laddove il seme era già stato piantato e aveva cominciato a germinare nel Ventennio, quando le riviste come il Becco Giallo, il Travaso delle Idee e il Marc’Aurelio attraverso la satira azzardavano un’opposizione politica al regime, unendo la risata alla riflessione. E i giornali erano letti, altroché. Quotidiani come il Corriere della sera o Il Popolo tiravano centinaia di migliaia di copie, in qualche caso si arrivava a toccare il milione.
I coetanei di Odb furono una generazione azzoppata dalla guerra. Nati nei primi anni Venti, erano ventenni in pieno conflitto, testimoni sballottati di una tragedia che non poteva non coinvolgerli. Odb, come Giovanni Guareschi, come don Lorenzo Milani, aveva conosciuto la prigionia dei campi di lavoro. Il Dopoguerra aveva loro offerto delle opportunità. Lo sviluppo economico aveva portato la maggioranza degli intellettuali a Milano, intorno alle grandi case editrici, la Mondadori, la Rizzoli. La Feltrinelli. Benissimo è descritta la lotta fra i titani dell’industria libraria e giornalistica, oggi sostituiti dai fantasmi del marketing, appiattiti nella pratica delle vendita di qualunque cosa a tutti i costi.

Oggi che la comunicazione sembra ridotta a una combinazione infinita di sequenze binarie, tutta numeri e consensi, alla metà del secolo scorso gli scrittori erano veri, sia che provenissero dalle classi agiate, come Dino Buzzati o Paolo Volponi, sia che fossero nati nel disagio, come Giuseppe Marotta, Lucio Mastronardi, Luciano Bianciardi. Autodistruttivi, questi ultimi. Lucidissimi. Odb li frequentava, ci lavorava insieme, li osservava, li capiva. Non a caso fra un ritratto e l’altro i nomi si rincorrono come a seguire un filo conduttore. Amici, appunto, amici degli amici. Ma anche nemici. I nemici bisogna saperseli scegliere, e restar loro fedeli, ci insegna Del Buono. Vedi il suo rapporto con Giovanni Arpino, che nei fumi dell’ubriachezza lo chiamava al telefono per insultarlo, offeso da qualche critica troppo acuta. I maestri sono Guido Piovene, Orio Vergani, l’agente degli scrittori – il più potente – Erich Linder. Gli amici ricordati con più affetto, i più disperati. Bianciardi che tira a canestro e non ne azzecca uno. Mastronardi che consegna la propria carta d’identità alla domestica di Elio Vittorini, poi prende un treno, lancia tutti i suoi soldi contro un impiegato delle ferrovie e viene ricoverato in manicomio (dopo esserne uscito, si uccise). Tommaso Giglio, magro, patito, giallo in viso, che si ammala, non si cura, muore. Vittorio Sereni che si chiude cupamente in sé stesso e non vuol più avere a che fare con i letterati. Giuseppe Marotta che, licenziato da Angelo Rizzoli, si butta in un montacarichi dello stabilimento per nascondere il pianto. Vladimir Scerbanenko, poi Giorgio Scerbanenco sfinito dalla denutrizione, rabbioso con chi lo fa passare per russo, che quando finalmente guadagna per il suo lavoro di incessante macchina di narrazioni, paga i camerieri del Biffi perché liberino la sala dalle persone che non gli piacciono. Giovanni Mosca che scrive: «Ho passato la mia vita a esercitare questo mestiere: i più che vent’anni di regime fascista e i trent’anni abbondanti di regime antifascista. Cosa tutt’altro che allegra. Si finisce col diventare dei solitari...».

Una larga parte del libro è dedicato a giornaliste e scrittrici che, pur spesso invise ai maschi, si erano fatte largo rivolgendosi soprattutto a un pubblico di donne, magari non scolarizzate, ma desiderose di leggere qualcosa che facesse loro sognare una vita migliore. Liala, col suo fare aristocratico e la sua bellezza, ma anche Maria Volpi Nannipieri, in arte Mura, crocefissa dal giudizio dei critici come banale novelliera di tattiche sentimentali, vittima sfortunata di uno schianto aereo. Oppure Brunella Gasperini, che con lo pseudonimo di Candida confortava e consigliava migliaia di lettrici nella sua rubrica di lettere sul diffusissimo rotocalco Novella.
A parte rivalutare personaggi che la critica militante aveva relegato nel dimenticatoio, per esempio Giancarlo Fusco, Del Buono rivela di essere stato un uomo libero di testa, poco incline ai diktat dei «grandi vecchi semianalfabeti» Mondadori e Rizzoli, e di quei pensatori organici, come Vittorini e Italo Calvino, che cercavano di forzare la letteratura nella gabbia del fervore ideologico.