ilsole24ore.com, 21 aprile 2025
Regno Unito, università in crisi: crollano gli studenti stranieri (anche cinesi)
Le Università britanniche stanno attraversando una profonda crisi che rischia di danneggiare la reputazione e le prospettive di un settore storicamente prestigioso. I numeri parlano chiaro: secondo i dati ufficiali un ateneo su tre sarà in deficit nell’anno accademico che inizia in settembre. Un anno fa solo uno su cinque era in rosso. Un’università su quattro sta attivamente licenziando personale, docenti compresi. Sono stati annunciati tagli per 238 milioni di sterline (quasi 280 milioni di euro) e i posti a rischio nel settore sono 10mila.
Anche atenei d’élite che fanno parte del Russell Group, come Durham, sono costretti a tagliare i costi. Alcune, come l’università di Hull, stanno chiudendo facoltà come chimica perché troppo costose da mantenere. Altre, come Strathclyde, stanno vendendo edifici e asset per restare a galla. Il sindacato di settore, la University & College Union, ha chiesto invano al Governo fondi di emergenza e sta organizzando nuovi scioperi, anche se le astensioni dal lavoro degli ultimi anni non hanno portato risultati.
Il rosso dei bilanci frena le iscrizioni
Oltre all’impatto sull’occupazione e sul morale di chi studia e lavora nelle università, c’e’ il rischio di entrare in un circolo vizioso: con la crisi finanziaria e i tagli al budget ci sono meno docenti e si fa meno ricerca, vengono eliminati corsi di laurea, le classi sono più numerose, quindi l’offerta è meno attraente per gli studenti stranieri, soprattutto dato i costi elevati delle tasse universitarie, quindi ci saranno meno iscrizioni e questo non farà che aggravare la crisi finanziaria.
Come si è arrivati a questa situazione di emergenza? Brexit sicuramente ha avuto un impatto negativo, portando al crollo delle iscrizioni degli studenti europei, che sono stati equiparati agli studenti internazionali e quindi all’improvviso si sono trovati a dover pagare il triplo in tasse universitarie. Gli arrivi dall’Italia, per esempio, sono calati del 50%, quelli dalla Polonia del 78%, quelli dalla Germania del 38%.
La crisi però era partita prima, nel 2012, con la riforma voluta dal Governo guidato dal conservatore David Cameron: a fronte di costi in aumento, è stato deciso di trasferire l’onere sugli studenti e sulle loro famiglie. Sono state triplicate le tasse universitarie, da 3mila a oltre 9mila sterline all’anno, ma al tempo stesso sono stati drasticamente ridotti i finanziamenti pubblici alle università.
Le rette sono state poi congelate per otto anni, in un periodo di inflazione elevata, quindi gli atenei si sono trovati con sempre meno fondi a disposizione per coprire i costi dell’insegnamento e della ricerca. Quest’anno il Governo laburista ha annunciato che a partire dal nuovo anno accademico, nel prossimo settembre, le rette aumenteranno in linea con l’inflazione, da 9.250 a 9.535 sterline (circa 11.100 euro), ma potrebbe essere troppo poco e troppo tardi. Questo aprile inoltre sono scattati gli aumenti dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, che si calcola costeranno alle università inglesi 430 miliardi di sterline, azzerando quindi l’aumento di 371 miliardi dovuto all’incremento delle rette. La crisi finanziaria quindi non potrà che aggravarsi.
Il crollo degli studenti internazionali
Intanto per gli studenti stranieri, che pagano 12 miliardi di sterline in tasse universitarie ogni anno e portano un contributo di 40 miliardi di sterline all’economia britannica, è sempre più difficile e oneroso ottenere un visto. Il peccato originale, per così dire, è che la Gran Bretagna annovera gli studenti stranieri tra gli immigrati, dove rappresentano il 40% del totale: nonostante gli studenti vengano con uno scopo preciso e un periodo limitato, la regola resta. Negli ultimi anni di Governo conservatore ci sono state forti pressioni politiche a ridurre l’immigrazione, ma anche il nuovo Governo laburista dopo Pasqua annuncerà una nuova strategia per limitare gli arrivi.
Restano inoltre in vigore le barriere all’ingresso stabilite dai Tories. Un recente sondaggio accademico rivela che i maggiori deterrenti per gli studenti stranieri sono il costo dei visti e le difficoltà nell’ottenerli. Per dare un’idea, il costo di un visto per studenti non laureati è di 490 sterline, più un contributo obbligatorio di 776 sterline all’anno per accesso all’Nhs, il servizio sanitario pubblico. Per un visto post laurea i costi sono ancora più elevati: 2.950 sterline per due anni e 3.950 per corsi di tre anni. Questo prima ancora di pagare le tasse universitarie, che sono almeno tre volte quelle richieste agli studenti britannici, a seconda delle facoltà.
Inoltre dal primo gennaio del 2024 è entrata in vigore una nuova regola che impedisce agli studenti anche di dottorato di portare moglie, marito o qualsiasi familiare al seguito. Il visto è diventato individuale.
In forte calo anche gli studenti da Cina e India
Non sorprende quindi che il numero di studenti stranieri sia in calo. Negli ultimi anni si è creata una pericolosa dipendenza da un numero ristretto di Paesi. Per dare un’idea, nelle università di Birmingham e Manchester il 50% degli studenti è cinese. La Cina ha mantenuto il primo posto a livello nazionale, dando un contributo di 2,3 miliardi di sterline in tasse universitarie, ma i numeri sono in calo. Gli studenti cinesi erano oltre 150mila nell’anno accademico 2022-23 e sono ora 103mila. Cosa ancora più preoccupante, c’è stato un crollo del 37% nelle iscrizioni per l’anno accademico in corso, da 31.400 a 19.680, secondo i dati di Universities Uk.
Bisogna tener presente che Pechino ha investito tantissimo nel settore e le università cinesi da anni stanno scalando le classifiche dei migliori atenei al mondo, quindi sia per ragioni economiche che per pressioni politiche sempre più studenti verranno incoraggiati dal regime a studiare in patria. La situazione simile per l’India, secondo Paese per numero di studenti: erano 139mila e sono ora 88mila. La Nigeria è stata a lungo terza in classifica, con 45mila studenti nel 2022-23, ma il numero è crollato ora a 19mila, e il suo posto è stato preso dal Pakistan, che ha mandato 35mila studenti. Data la situazione di crisi, le università britanniche rischiano quindi di non poter sfruttare l’occasione di “importare” docenti e ricercatori in fuga dal clima sempre più repressivo del mondo accademico negli Stati Uniti. C’è concorrenza per conquistarli: negli ultimi giorni Francia, Belgio e Italia hanno lanciato appelli diretti agli accademici americani perché si trasferiscano in Europa scegliendo la libertà, contro le ingerenze di Donald Trump.
Gli atenei britannici in crisi finanziaria e con il morale a terra non sono in grado di offrire gli stipendi elevati e il contesto favorevole di qualche anno fa. Quindi per poter cogliere questa opportunità, e più in generale per far uscire il settore dalla crisi, serve un intervento deciso da parte del Governo per rifinanziare e rilanciare gli atenei, tutelando il prestigio delle università prima che sia troppo tardi.