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 2025  aprile 21 Lunedì calendario

Carlo Lucarelli: «’C’è stato un incidente... vostra figlia è morta’: per la prima volta ho parlato anche di me, genitore ansioso»

Carlo Lucarelli stavolta ha scritto una storia che fa male per davvero. «È quello che volevo». Stare male? «Scrivere una storia che fosse come un pugno nello stomaco».
Enzo Biagi diceva sempre che la più grande tragedia che possa capitare a chiunque è «quando ti muore un figlio» e forse a distanza di anni le cose non sono granché cambiate. Guardiamoci intorno: la serie tv Adolescence, la cronaca (purtroppo) reale con i femminicidi di giovani figlie come Giulia Cecchettin o Sara Campanella, l’impatto che ha avuto l’uccisione di Giulio Regeni e la determinazione dei suoi familiari nel cercare la verità a tutti i costi. I «pugni nello stomaco» degli ultimi anni sono stati quelli che hanno coinvolto padri, madri e figli e figlie. E Carlo Lucarelli, uno dei più grandi scrittori di noir, questa volta ha messo da parte la Storia con la maiuscola – spesso cardine delle sue narrazioni – per addentrarsi in una vicenda che fa stringere lo stomaco sin dalle prime pagine. Almeno tu (Einaudi Stile Libero) comincia infatti con uno di quegli annunci che ci tormentano negli incubi: la visita di un maresciallo a una coppia come tante, la notte, lo stupore, lo sgomento, la rivelazione («c’è stato un incidente... vostra figlia è morta») e poi l’abisso.
Lucarelli, perché?
«Perché qualche volta scrivere deve fare male, è necessario. Perché il noir è indagine sociale, come amo ripetere, se scava davvero. E perché oggi sono padre di due ragazzine di tredici anni: molto probabilmente qualche anno fa non avrei potuto scrivere questo libro. O forse lo avrei scritto, ma in modo completamente diverso».
La storia di Elisa, una adolescente che muore in un incidente misterioso dove sono coinvolti altri giovani, una coppia (i genitori) che non regge al dolore e un padre che si mette in testa di scoprire la verità. Da solo.
«Ci sono tutti gli ingredienti per fare un classico revenge crime».
Ma questo non lo è. O, almeno, non del tutto. È così?
«Non lo è, esatto. Almeno tu vorrebbe essere un romanzo sulla figura di un padre, un padre come tanti».
Vittorio. Un uomo normale, con una figlia adolescente e un matrimonio che sembrava funzionare, cambia pelle.
«All’inizio è riluttante, il dolore immobilizza le persone. Poi sente che se non si lancia nell’unico viaggio che ha davanti, quello verso la verità, non riesce a continuare a vivere. E così comincia a dipanare la vicenda. Deve fare i conti con l’universo dei ragazzi, con la malavita organizzata, con famiglie alto borghesi che non dicono tutto, con una città nemica».
Vittorio è un uomo che degli adolescenti sa poco. Come tutte e tutti noi. La serie Adolescence ce lo ricorda.
«Quella serie, come tutti i crime ben fatti, colpisce nel segno perché mentre sembra raccontarci una verità, in realtà ci sta raccontando una storia diversa. Il male fa anche questo: ci fa cambiare punto di vista. Succede anche nel mio romanzo: un padre che ha perso la figlia in un incidente segue una pista. Prova a parlare l’alfabeto del crimine, territorio a lui sconosciuto. Si imbatte in altri giovani, impara un linguaggio che nemmeno immaginava che esistesse. E solo alla fine capisce che la soluzione che lui aveva in testa non è quella giusta».
Nel romanzo lei indaga su alcuni mondi adolescenziali, per esempio quello dei cosplayer, cioè quei ragazzi e quelle ragazze che indossano costumi di personaggi dei manga.
«Una delle mie figlie è una cosplayer. Ecco un’altra novità: in questo romanzo per la prima volta ho chiesto aiuto a loro».
Lei e sua moglie Yodith avete due gemelle, Angelica e Giuliana.
«Sarei bugiardo se dicessi che questo libro non è nato anche dall’ansia di un padre. Fino a poco tempo fa le vedevo come due bambine piccole, facili da proteggere. Oggi in loro vedo due giovani donne intelligenti e di carattere. In parte questo mi riempie di soddisfazione, ma com’è comprensibile per me comincia anche una leggera inquietudine».
Le sue figlie leggono i suoi libri?
«Questo è il primo che leggeranno, almeno una di loro ha manifestato il desiderio di farlo. Questo non perché loro non leggano storie crime o noir, anzi. Una addirittura divora gli horror, cose che nemmeno io riesco ad aprire! Guardano serie coreane di una violenza che spaventa anche me».
La coppia del romanzo, Vittorio e Paola, non regge all’urto e crolla subito, sin dalle prime pagine. Vittorio resta solo.
«Nelle storie noir la verosimiglianza non è una legge, però ci vuole un certo equilibrio tra quello che accade nella fiction e una giusta plausibilità che aiuta a reggere la tensione. È la famosa questione del “vero” nel giallo. Mi sono chiesto che cosa potrebbe accadere a una coppia che perde l’unica figlia: alcune resistono e trovano un senso nel continuare a vivere. Altre, come per esempio i genitori di Giulio Regeni, si solidificano nella ricerca di una verità. Ma purtroppo molte coppie soccombono al trauma e, come Vittorio e Paola, si sgretolano».
Oggi la figura paterna oscilla tra incertezza e nuova fisionomia. Penso a un padre come Gino Cecchettin, che trasfigura il dolore nell’impegno civile.
«Nutro molta ammirazione per queste figure, non deve essere facile per loro. L’aver scelto un personaggio maschile per Almeno tu mi ha permesso di fare una cosa mai da me fatta prima, cioè metterci qualcosa di mio».
Racconti.
«Non che ci sia qualcosa di autobiografico, certo, però in nessun mio personaggio ho instillato gocce di Carlo. Non ci sono in Coliandro, naturalmente, ma nemmeno nell’ispettore De Luca. Qui ci ho messo qualcosa che mi appartiene: l’istinto di un padre che cerca giustizia, l’ingenuità di fronte al male che poi si trasforma in dolore e quindi in rabbia. Confesso che ci sono stati due o tre passaggi della storia che mi hanno turbato molto, mentre la scrivevo».
Ce ne dica uno.
«Per esempio l’arrivo del maresciallo a casa di Paola e Vittorio. Per raccontare questo sono andato dal maresciallo, in carne e ossa, di Mordano, il paese del Bolognese dove io e la mia famiglia abbiamo scelto di vivere. Mi sono fatto spiegare da lui come funziona questa tragica dinamica dell’annuncio alle famiglie. Forse mi sono immedesimato troppo, fatto sta che mentre scrivevo quel passaggio, che si trova proprio all’inizio del libro, ho quasi perso il sonno».
Lei da anni sostiene che il giallo è il vero strumento di indagine sociale, perché è studiando le nostre paure che capiamo chi siamo. Verso dove sta andando questo genere, anche nelle sue sfumature noir e crime?
«Il compito del noir è mettere in scena i meccanismi che stanno dietro a quello che di inquietante accade in un mondo che credevamo diverso. Ma la chiave è in questo ultimo passaggio: il male getta una luce accecante sulle cose e ci fa scoprire che spesso ci sbagliamo. Crediamo che una strada sia giusta, quando ci accorgiamo che non è così».
«Il delitto non conta… Conta quello che accade, o è accaduto, nella testa di chi l’ha commesso», diceva Georges Simenon.
«Una considerazione sempre attuale».