corriere.it, 21 aprile 2025
Yemen: «trappola» per i droni Usa. Gli Houthi tengono nonostante i raid
Uno degli ultimi video dal Mar Rosso mostra l’intercettamento di un drone Houthi da parte di una fregata francese. L’unità della classe FREMM lo ha ingaggiato a corta distanza usando un cannone italiano Oto Melara. L’episodio “racconta” solo uno degli episodi del conflitto, sempre più intenso: l’asse anglo-americano conduce ondate di incursioni, i militanti filoiraniani dimostrano la ben nota “resistenza” abbattendo un gran numero di costosi droni Reaper.
Gli attacchi alleati hanno intaccato l’arsenale nemico, hanno distrutto depositi e infrastrutture (come il sito petrolifero di Ras Isa), hanno eliminato degli ufficiali e causato vittime anche tra i civili. Dozzine di raid che però, al momento, non sono riusciti ad ammorbidire la posizione dei combattenti decisi a mantenere la minaccia lungo la via d’acqua.
Nell’arco di un mese i miliziani alleati dell’Iran hanno sparato 85 “proiettili” di vario tipo, dai droni a vettori balistici. L’unico “segmento” dove vi sarebbe stata una flessione riguarda i missili anti-nave, forse perché i lanciatori sono stati neutralizzati dai caccia Usa e americani. Significativo il contrasto dei droni d’attacco e ricognizione statunitensi Reaper. Gli Houthi ne hanno abbattuto 21 a partire dall’ottobre 2023. Perdita pesante visto che ogni esemplare costa sui 30 milioni di dollari.
Per fermarli i guerriglieri avrebbero impiegato, secondo gli esperti, una combinazione di armi. I radar di produzione svizzera e cinese si sono rivelati sufficienti a tracciare velivoli comunque lenti. Mentre per tirarli giù la difesa si è affidata a Sam 6 di concezione russa e ai Saqr realizzati dagli iraniani. Si tratta di equipaggiamenti flessibili, piazzati su sistemi mobili e dunque con un margine di sopravvivenza maggiore rispetto ad altre “batterie”.
Gli artiglieri attendono i target, aprono il fuoco e si spostano nel tentativo di sottrarsi agli strikes della coalizione.
In parallelo gli Houthi, sempre grazie al supporto dei pasdaran, hanno migliorato tecniche per “confondere” le trasmissioni di guida dei Reaper riuscendo, in qualche caso, a farli precipitare. Da tempo la milizia ha nascosto alcuni dei suoi armamenti in tunnel e bunker ricavati in zone montuose, al tempo stesso i suoi ufficiali hanno adottato precauzioni ulteriori per il timore di azioni mirate destinate a “decapitare” la fazione.
Le contromisure avrebbero permesso di contenere i danni, anche se non è sempre chiaro valutare gli esiti di una campagna aerea comunque profonda. Che, nei piani del Pentagono, potrebbe crescere ancora visto l’aumento delle forze messe a disposizione del Comando centrale statunitense. Nella regione operano due portaerei, la Truman e la Vinson, accompagnate da una formazione aeronavale robusta, dotata anche di missili da crociera.
Inoltre, nell’isola di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, sono di base almeno sei bombardieri strategici B 2, con il supporto di velivoli-cisterna: nei giorni scorsi si era diffusa la voce – poi smentita – dell’uso da parte di questi aerei delle GBU 57, le più potenti bombe anti bunker a disposizione degli Usa, armi in grado di perforare i nascondigli sotterranei degli Houthi.
Sono sempre gli osservatori a ripetere che la sola aviazione, per quanto martelli le posizioni, non può piegare i militanti yemeniti. In quanto, evidentemente, hanno scorte, mezzi che comunque permettono di minare la stabilità della regione. Come altre realtà a loro basta “tenere”. Per contro c’è una corrente di pensiero tra alcuni analisti che presenta un quadro più critico degli Houthi: i capi, è la tesi, starebbero sentendo la pressione degli attacchi Usa. Tra questi due “poli” riemerge l’ipotesi di un’offensiva terrestre da parte delle forze yemenite ostili alla milizia: infatti ci sono indicazioni in questo senso, anche se in apparenza non vi sarebbe compattezza nello schieramento. I sauditi avrebbero fatto sapere a Teheran di volere restare fuori in caso di un allargamento del conflitto.