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 2025  aprile 19 Sabato calendario

Ottimo scienziato, pessima idea

Charles-Édouard Brown-Séquard e Serge Voronoff furono accomunati dalla passione per la medicina, mestiere di entrambi. Il primo visse tra il 1817 e il 1894, il secondo è di una cinquantina d’anni più giovane. Per la memoria storica, a Voronoff è andata meglio, non fosse altro perché il suo ricordo è spesso associato a una famosa pietanza a base di filetto di manzo e a un cocktail – il monkey gland – che l’International Bartenders Association ha catalogato fra i 34 unforgettables, gli indimenticabili. Brown-Séquard, invece, è stato dimenticato dalla storia nonostante sia stato un medico stimato, neuroscienziato ante litteram nell’800 e tra i primi investigatori dei sistemi ormonali. A rovinargli la reputazione e a condannarlo prima al ridicolo e poi al dimenticatoio fu il suo annuncio, nel 1889, della scoperta di un «fluido miracoloso», un elisir di lunga vita che aveva sperimentato su sé stesso e che a suo dire aveva restituito, a lui settantaduenne affaticato dall’età, forza e vigore. C’è da dire che la sua caduta in disgrazia fu probabilmente accelerata dall’aver accompagnato l’annuncio, dato nella sede della prestigiosa Societé de Biologie di Parigi, dalla descrizione delle evidenze sperimentali a supporto della sua scoperta (un aumento di circa il 30% della forza del getto della sua urina) e del principio attivo del farmaco miracoloso: estratti acquosi di testicolo di porcellino d’india (poi di cane). Voronoff andò oltre, teorizzando prima e praticando poi il trapianto di pezzi di testicoli di scimmia nello scroto (il monkey nel nome del cocktail non è probabilmente casuale), metodo che sosteneva essere più efficace di quello di Brown-Séquard. Ovviamente l’intervento non funzionava e il paziente era fortunato a rimaner vivo, ciò non impedisce di gustare oggi il filetto alla Voronoff, che la leggenda vuole sia stato da lui inventato come afrodisiaco.
Destino sfortunato quello di Brown-Séquard: medico illustre per gran parte della sua vita, fu condannato da un passo falso grossolano sì, ma per certi versi comprensibile nell’800, quando la medicina stava scoprendo rapidamente grandi cose, ma molti concetti e molte tecniche erano ancora embrionali e ci si muoveva tra visibile e invisibile un po’ a tentoni, tra prove ed errori. A riabilitarlo e a raccontarne la vita avventurosa e le incredibili scoperte si è dedicata Silvia Bencivelli nel suo ultimo libro Tre colpi di genio e una pessima idea. Ascesa e caduta di uno scienziato squinternato. Un volume brillante, nel quale l’autrice ci propone il racconto di una vita fuori dal comune e narra una pagina di storia della medicina del tutto non convenzionale, ma assai importante.
«La vicenda umana e scientifica di Brown-Séquard», mi racconta Bencivelli, «dimostra quanto la ricerca scientifica in campo medico plasmi la nostra immaginazione. Anche se con lo sguardo di oggi l’idea per cui è diventato “famoso” appare oggettivamente pessima», continua l’autrice, «nella cornice della moderna medicina occidentale è stato il primo a parlare di terapia per l’invecchiamento, come se questo fosse una malattia e non come una condizione naturale della vita; in un certo senso fu il primo a promuovere i cosiddetti “farmaci lifestyle”, che sono oggetti ambigui nella scienza. Oggi sono molto popolari, ma non essenziali: propongono di stare “meglio di bene” cioè di offrire super prestazioni a un organismo sano, secondo i parametri dell’età». A lui si devono contributi significativi: «fu tra i primi ad aver intuito l’esistenza di quelle inafferrabili sostanze endogene che oggi chiamiamo ormoni» spiega Bencivelli, e «fu maestro nella neurologia, tant’è che in clinica si usa ancora oggi il suo nome per riferirsi a una precisa sindrome».
Con lo stile godibile di ottima narratrice collegato alla sua professionalità di laureata in medicina Silvia Bencivelli racconta una storia accattivante in un periodo dove la scienza medica «era umana, umanissima, fallibile e imperfetta: pretendeva di vedere cose invisibili e a volte tirava a indovinare» e ci propone un messaggio importante e attuale, quello sulla «costruzione culturale della scienza, dove ogni due passi c’è qualcuno che sbaglia strada, incespica, prende una storta, litiga, magari si incazza e prosegue zoppicando. Ma va, in qualche modo e comunque, va. E costruisce non solo nuova conoscenza, nuovi bisogni, nuove soluzioni, nuove prassi, nuovi lessici, ma anche nuove fantasie».
Brown-Séquard ha squinternato il libro della sua vita, preferendo a un’esistenza ordinaria un’altra fatta di sessantasei attraversamenti dell’oceano, «perdendo», scrive l’autrice, «cattedre, mogli, posti di lavoro perché non sa dove trovare la felicità». Un’esperienza profondamente umana, di «un uomo geniale, spinto da un’energica e folle ingenuità». Un racconto, quello di Bencivelli, dalla parte di chi ha, apparentemente, perso. A lui non sono state dedicate pietanze, una sola pessima idea ne ha fatto uno sconfitto, al quale però l’autrice ci confessa di essersi affezionata. Cosa che probabilmente accadrà anche a chi leggerà questo libro, proprio perché narra una storia umana.