Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  aprile 19 Sabato calendario

Sigrid Kraus: "Il problema era come tradurlo alla fine è rimasto il siciliano"

Sigrid Kraus, insieme al marito Pedro del Carrillo, è stata una delle più influenti editrici del pianeta in questo primo quarto di secolo. Nata nel 1964 in Germania da famiglia baltica, ha conosciuto Pedro nei primi anni Novanta e insieme hanno deciso di dar vita a Ediciones Salamandra, basati a Barcellona ma con stretti contatti con Emecé, una casa editrice argentina proprietà della famiglia del Carrillo. Era il 2000, era appena stato introdotto l’euro e Barcellona era sicuramente la capitale del mondo ispanico, grazie al successo olimpico del 1992 e alla straordinaria produzione culturale che ne era conseguita. Il primo titolo della nuova casa editrice fu Il ladro di merendine di un autore di successo italiano, Andrea Camilleri, ancora poco conosciuto, nonostante altre case editrici spagnole l’avessero già tradotto. (Destino si dedica al cosiddetto “filone storico”, Edicion 62 alle versioni in catalano, ma ce ne sono anche in basco e galiziano) e nel grande mercato internazionale. Fu il primo passo di un nuovo successo per Camilleri, fuori dall’Italia: è stato tradotto in 26 lingue, amatissimo in particolare nei Paesi anglosassoni, in Grecia e, appunto, in Spagna.
Sigrid, perché ha deciso di pubblicare Camilleri, e soprattutto perché in una collana di narrativa e non di gialli?
«Il primo libro che ho letto – nonostante poi sia diventata grande amica di Antonio Sellerio e di tutta la sua famiglia! – fu un Camilleri pubblicato da Mondadori, Un mese con Montalbano. Me lo ricordo con nitidezza: raccontava molto di più di un noir o di una crime story. Raccontava soprattutto del protagonista, di essere un uomo onesto, integerrimo, con tutti i suoi dubbi e lo stare attento e curioso della società che lo circonda. Il Commissario Montalbano spazzava via l’idea di Sicilia che avevamo, e che si condensava in un’unica, terribile parola: “mafia”. Quello che ho subito amato è stato il clima: un clima potentemente mediterraneo».
In effetti già nel 1994, quando esce il primo Montalbano, “La forma dell’acqua”, è come se tutti noi lettori venissimo invitati a ripensare l’isola, le sue tradizioni. Montalbano è un agente di cambiamento, e tra l’altro fa scuola. Voi, dopo Camilleri, avere pubblicato molti italiani...
«Prima di Salamandra, in Spagna si pensava che gli italiani non potessero vendere, un po’ come era successo con gli scandinavi. Invece Camilleri fa cambiare prospettiva: noi abbiamo pubblicato con grande successo non solo Andrea, ma Elena Ferrante, Paolo Giordano, Antonio Manzini, ma certo Camilleri è stata una scelta importante, decisiva. Non era facilissimo tradurlo, ma grazie al talento di María Antonia Menini prima e di Carlos Mayor poi ci siamo riusciti».
Una grande questione è quella di come rendere il siciliano. In Francia si è optato per espressioni del dialetto marsigliese, in Giappone e Ungheria ne hanno inventato uno apposta, il traduttore americano ha spiegato di avere utilizzato lo slang dei poliziotti siculo-italiani di Brooklyn, per rendere la parlata dell’appuntato Catarella, in Germania e Bulgaria la scelta è stata quella di variare i registri espressivi che le lingue offrivano, familiare, colto, burocratico. Voi come avete fatto?
«All’inizio ci sono stati momenti di grande difficoltà, è sempre difficile tradurre in spagnolo, una lingua davvero poco flessibile, e non ha senso usare un dialetto piuttosto che un altro – c’è sempre chi si sente tagliato fuori… Alla fine abbiamo lasciato i testi in siciliano, sfruttandone la musicalità. Abbiamo evitato anche di mettere dei glossari, non volevamo appesantire in nessun modo la lettura, non volevamo fosse assolutamente “accademica"».

Torniamo a Montalbano: il nome è dedicato a Manuel Vazquez Montalban che gli aveva trovato la soluzione narrativa per trasformare “Il birraio di Preston” da romanzo storico a commedia amata dai lettori in tutto il mondo. Questo nome così catalano, ha favorito la diffusione dei libri di Camilleri?
«Assolutamente sì! Ricordo perfettamente dell’incontro tra i due, di Camilleri che viene a Barcellona e incontra gli studenti e spiega come sia nato il personaggio: tutto questo ha consentito di mettere radici lunghe, di creare fiducia. Camilleri da subito si è trasformato da best seller a long seller».

Spesso sulle copertine dei vostri libri di Camilleri c’è il suo profilo. La sua personalità è così forte, quasi più forte dei personaggi?
«Camilleri era una persona libera, di cui ci si poteva fidare. Il lettore si fida di lui, come si fida del suo editore. Questo sistema di fiducia collettiva è al centro della relazione tra il pubblicare e il leggere. Ci manca molto Andrea, gli abbiamo voluto davvero un gran bene».
Il 23 aprile è un giorno importante a Barcellona. È la festa di San Giorgio, e ormai da molti anni i librai hanno deciso che è il giorno del libro e che insieme ai libri regalano a tutte le lettrici una rosa. Serve ancora inventare manifestazioni pubbliche per promuovere libri? O basta il digitale?
«Credo che sia importante invitare più gente possibile a partecipare ad eventi culturali; non sottraggono assolutamente tempo alla lettura, anzi! In Spagna come in Italia si passa tanto tempo fuori, all’aria aperta, e fare esperienza di una vita sana, collettiva, partecipata, è un elemento fondante la nostra cultura. Avere occasione per incontrare dal vivo l’autore che ami, il traduttore che ti ha aiutato a capire una frase in una lingua che non è la tua, è un elemento forte per chi ama leggere! Ed è un modo per togliere un po’ di potere e di spazio alla vita tutta digitale, che è fatta di esperienza brevissime, tutte a corto raggio. Qualche mese fa una nostra grande autrice, Zadie Smith, ha incontrato un gruppo di studenti sedicenni, che le hanno fatto un sacco di domande sulle più importanti questioni contemporanee. Da quel dialogo, ne sono certa, sono nati molti nuovi lettori, molti che prima non la conoscevano e che hanno subito deciso di leggere i suoi libri per sentirla ancora più vicina».
La Spagna in questi ultimi tre anni è l’unica nazione europea che cresce economicamente ma in cui aumenta in maniera significativamente anche il numero dei lettori di libri. Ritiene che – in quella che non è più una società industriale ma piuttosto della conoscenza – ci sia una correlazioni, o è un caso?
«Qualche anno fa ho tenuto una serie di corsi in una università di New York e chi li coordinava mi assicurava che la cosa più importante da insegnare assolutamente era la matematica; poi la stessa università ha fatto degli studi approfonditi e ha scoperto che la cosa assolutamente basilare da insegnare ai giovani è leggere. Leggere è fondamentale per saper interpretare la società e il contemporaneo, per fare delle scelte, per sentirsi parte della società. Forse la cultura umanistica per troppo tempo ha sottratto spazio alla cultura scientifica e tecnologica ma dobbiamo fare attenzione a che non avvenga il contrario. In questo momento – è vero! – in Spagna i giovani leggono molto, e questo fa bene alla società, che viene prima dell’economia. Leggere ti apre la testa e ti fa indirizzare bene il tuo tempo. Anche se mi piace dire che oltre al bene collettivo, la lettura ci aiuta proprio come singoli, a stare meglio, a trovare consolazione. Non è un fattore da poco, non crede?». —