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 2025  aprile 19 Sabato calendario

Eros e decadenza nei drammi borghesi del Camilleri italiano

Nel 2014 Andrea Camilleri pubblica La relazione, terzo di un gruppo di cinque romanzi, dopo Un sabato, con gli amici (2009) e L’intermittenza (2010), e prima di Il tuttomio (2013) e Noli me tangere (2016). Tutte uscite per la prima volta da Mondadori, sempre nel mese di gennaio dei rispettivi anni di edizione, queste opere costituiscono, all’interno del corpus camilleriano e nelle intenzioni dello stesso scrittore, una sorta di blocco narrativo a sé stante definito, con un’oggettività poco brillante ma difficile da aggirare: «la serie dei romanzi in italiano».
Al di là della lingua usata, un italiano assolutamente, dichiaratamente standard, nel senso che sembra quasi voler sottolineare l’obbedienza alla norma almeno tanto quanto tutte le altre opere se ne allontanano, questi cinque romanzi sono accomunati da molto altro: sono piuttosto brevi, hanno temi rigorosamente contemporanei, sono veloci, caratterizzati da una rapidità che li avvicina non solo al passo di una sceneggiatura ma a un ritmo, un respiro quasi teatrale. E poi sono romanzi borghesi: borghesi i protagonisti (direttori di banca, manager, magistrati, professionisti), borghesi le loro donne dalla sensualità accesa, spesso capricciosa e distruttiva, ma atteggiata in maniera infantile, bamboleggiante, come per compiacere il modello di erotismo prediletto dai loro uomini che le vorrebbero sempre disponibili e sottomesse. Infine, sono tutti romanzi aspri, mai sfiorati da quell’ironia che in Camilleri attenua anche i passaggi in cui indignazione civile e condanna morale si fanno evidenti.
In tutte queste pagine è lo stesso italiano standard che inaugura una tonalità fredda, ostile, una dimensione di distaccata ufficialità rara da incontrare nelle altre opere di Camilleri, dove la burocrazia, il decoro statale, la pompa cerimoniale, pur manifestandosi spessissimo, si caricano sempre di risonanze grottesche, risibili, a volte addirittura affettuose, mai di una condanna così inappellabile, così gelidamente espressa.
In realtà è molto interessante notare come il primo di questi romanzi compatti e tanto strettamente legati l’uno all’altro che alcuni personaggi, soprattutto femminili, quasi potrebbero migrare senza grandi sconvolgimenti da una storia all’altra, abbia avuto un’origine curiosa, addirittura casuale. Un sabato, con gli amici nasce perché Camilleri è rimasto molto impressionato dalla lettura de La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, appena pubblicato con grande successo e vincitore del Premio Strega. Il dettaglio che, soprattutto, intriga Andrea e lo sollecita a lavorare su una storia che vada nella stessa direzione è come un evento traumatico, capitato a uno o a più personaggi nell’infanzia o nell’adolescenza, ne possa condizionare senza scampo tutta la vita successiva. Che un autore anziano e ormai da tempo investito da un successo senza precedenti possa essere curioso dell’opera di un autore giovanissimo al punto da farsene apertamente ispirare testimonia nel modo migliore l’apertura dell’uomo e la sua generosa disponibilità; ma ritornando al tema e isolando La relazione da questo blocco di romanzi non possiamo non notare come anche la storia di Mauro Assante, «funzionario integerrimo, sposo e padre ineccepibile, nessun vizio», incaricato di condurre un’ispezione sulla chiacchierata Banca Santamaria, richiami la vicenda reale raccontata da una delle narrative di inchiesta più importanti della letteratura italiana recente: Un eroe borghese di Corrado Stajano (1991). Come l’avvocato Giorgio Ambrosoli è incaricato dalla Banca d’Italia di liquidare l’impero bancario di Michele Sindona, così Mauro Assante si immerge nel suo lavoro da solo e con dedizione assoluta. L’indagine comincia, come è buona tradizione cinematografica, mentre la moglie è in vacanza, nella semideserta città estiva, quando qualunque evento straordinario è più facile a prodursi per la momentanea latitanza della struttura difensiva costituita dalla famiglia e, in qualche modo, anche dalla stessa città che, una volta svuotata, è come se lasciasse affiorare pericoli e trappole, laddove i radi passanti non potendo più confondersi nella folla si trasformano subito in presenze ammonitorie, apparizioni, minacce.
Così Mauro Assante si sente preso di mira, ma in maniera indiretta e tortuosa, al punto che i segnali che gli vengono inviati sembrano piuttosto eventi strani, manifestazioni incongrue, piccoli, inspiegabili strappi nel tessuto della sua fino a quel momento tranquilla, prevedibile quotidianità. Come la visita della bellissima ragazza che una mattina gli suona alla porta di casa convinta di avere un appuntamento con lui. Carla è una femme fatale della stessa famiglia della Renata di Un sabato, con gli amici, della Licia de L’intermittenza, della ingenuamente perversa Arianna ne Il tuttomio e della inafferrabile Laura, protagonista di Noli me tangere. Nei romanzi italiani di Camilleri la donna non ha l’erotismo solare, anche se talvolta pericoloso, che caratterizza le numerose figure femminili della serie di Montalbano o dei romanzi storici, ed è invece, sempre, una presenza tanto seducente quanto distruttiva. Creatura, all’apparenza, pronta a offrirsi, è in realtà strumento di morte.
La devastazione morale di tutti i personaggi di Un sabato, con gli amici, la finanza senza scrupoli de L’intermittenza, il malaffare tra politica e mondo delle banche de La relazione, la depravazione che ne Il tuttomio richiama esplicitamente il famoso delitto Casati Stampa che nel 1970 aveva scandalizzato l’Italia borghese e senz’altro impressionò Camilleri tanto che alcuni aspetti di quella stessa vicenda si possono leggere anche nel rapporto tra l’anziano scrittore e l’inquieta Laura di Noli me tangere, sono altrettanti tasselli di un dramma unico in cinque atti, una specie di Italian decadence senza speranza, forse anche perché qui non c’è un eroe come Salvo Montalbano, per quanto umano e imperfetto possa essere, a interporre un argine di onestà, un baluardo di decoro al dilagare del cinismo.
È probabile che all’umor nero che pervade queste opere abbia contribuito una delusione profonda e l’avversione al nuovo corso della politica italiana che Camilleri non ha mai nascosto e che, anzi, ha fatto irruzione più volte nelle pagine dello stesso Montalbano, personaggio la cui personalità è influenzata, afflitta e modificata dagli eventi esterni, a differenza del Maigret dell’amato Simenon che non viene mai scalfito dalla storia del suo paese.
Allo stesso modo, l’aspetto erotico è importantissimo in tutti e cinque questi romanzi borghesi, che risentono spesso di echi moraviani, un’influenza evidente e mai sufficientemente sottolineata. L’eros rappresenta il catalizzatore della crisi, l’elemento dirompente che ne La relazione investe perfino il titolo, volto a sottolineare l’ambiguità tra la relazione da scrivere e quella extraconiugale, con la seconda destinata a travolgere la prima, schiantando il matrimonio di un uomo tanto legato al dovere e alla famiglia da chiamare «Mutti» (mamma, in tedesco) la moglie che, all’inizio della storia e prima della discesa agli inferi, è, non a caso, quasi più materna confidente che partner amorosa. Ma il lavoro sul personaggio, anche qui come sempre in Camilleri, non è mai frettoloso, mai imbocca scorciatoie convenzionali. E così, l’abitudinario Mauro Assante, sempre bisognoso di assistenza e di conforto nonostante sia dotato di assoluta onestà professionale – un quadro psicologico che farà esclamare a uno dei suoi colleghi: «lasciatelo dire senza offesa, sei anche ’nu poco fesso…» – finirà col riprodurre anche con la bellissima Carla lo stesso rapporto che ha con la moglie Mutti: «A lei non intende rinunziare per nessuna ragione al mondo. Carla è l’unica persona che in questi amari frangenti gli sia stata fedelmente a fianco, consigliandolo, proteggendolo anche, condividendo tutto, offrendogli persino il suo corpo per regalargli qualche ora di pura felicità...».
Si potrebbe credere, confrontando queste opere secche e taglienti con le evoluzioni armoniose dello stile del Camilleri classico fondato su una lingua che conserva la ricchezza del suo dettato anche nei momenti più risentiti, che quello dei «romanzi italiani» sia un Camilleri minore. Confesso di averlo pensato anch’io, in passato, ma non è così. È un equivoco che può nascere perché in queste storie è come se il disegno della trama, non ricoperto dalla rigogliosa carne dello stile cui il lettore si è assuefatto, affiorasse con un’evidenza ruvida, scheletrica. La prevalenza dell’intreccio sulla lingua però è voluta e non si deve a una rinuncia espressiva ma all’esigenza di privilegiare un meccanismo implacabile e in qualche modo scandaloso, affinato in anni di lavoro di sceneggiatore la cui creatività doveva essere stata tenuta a freno non poco dal perbenismo della televisione degli anni Sessanta.
E così, in un singolare rovesciamento, mentre le storie si scatenano in una direzione morbosa e nera, la lingua italiana diventa il vestito ufficiale, l’abito delle cerimonie che i personaggi di questo collettivo De profundis indossano per partecipare al funerale dell’etica e di ogni civile speranza. In questo senso, i «romanzi italiani» hanno un precedente, una specie di prova generale. Si tratta di Il tailleur grigio, uscito nel 2008, un anno prima di Un sabato, con gli amici nella stessa collana.
Il tema – il rapporto tra un uomo, direttore di banca appena andato in pensione, e la sua giovane e bellissima moglie Adele, che lo tradisce senza tuttavia mai venir meno ai suoi doveri coniugali – è già analogo a quello dei futuri romanzi italiani, anche se la lingua è formalmente ancora quella classica di Camilleri. Formalmente, perché già in queste pagine l’italiano tende ad allargarsi e a occupare spazi sempre maggiori, presago della sua cupa, ipocrita funzione regolativa. Avendo rimosso il pensiero della pensione, in quello che dovrebbe essere il suo primo giorno di libertà, il protagonista Febo Germosino si veste esattamente come se dovesse ancora partecipare a un consiglio d’amministrazione: «completo grigio scuro, cammisa bianca, cravatta severa». Mentre il tailleur grigio del titolo è l’abito che Adele indossa quando qualcuno vicino a lei è in procinto di morire: «Perché era chiaro che quel tailleur lei l’usava solo come doppo lutto stritto o come prelutto».
Ecco, si potrebbe concludere così: che l’italiano di cui si veste la lingua usata per scrivere questi romanzi è l’«abito scuro», il «tailleur grigio» che Camilleri fa indossare ai suoi uomini e alle sue donne per presenziare alla fine della solidarietà umana, alla morte dell’anima. —