Robinson, 20 aprile 2025
Zerocalcare: “L’importante è restare bambini”
Non sono giorni semplici. Zerocalcare, come tutti, probabilmente è alla ricerca di qualcosa che lo aiuti a stare bene.
«Quello che mi dà più piacere è correre, lo faccio da prima della pandemia con il mio cane. Si chiama Ziggy, un nome che aveva dai precedenti padroni. Per il resto cerco di concentrarmi sugli aspetti più importanti o che io ritengo tali: non ce la facevo più a fare mille cose insieme. Voglio riuscire a farne poche, magari meglio». Come la nuova collana di graphic novel di Bao che Michele ha deciso di seguire.
Come mai hai scelto “Bea Wolf” di Weinersmith e Boulet come secondo volume della tua collana per Bao Publishing? Non è un libro per bambini?
«Ho da sempre un debole per Boulet e il suo tipo di narrazione. Da lui ho copiato praticamente tutto, anche l’uso delle voci interiori, i personaggi usati per rappresentare la coscienza (vedi il famoso Armadillo, ndr) e così via. E quindi ho sempre seguito il suo lavoro da vicino. Su questo volume, del quale però non era anche lo sceneggiatore, ero un po’ scettico. Ma quando ho iniziato a leggerlo sono rimasto colpitissimo. Intanto dal punto di vista grafico, nel senso che Boulet è sempre stato un bravo disegnatore ma qui mi sembra che abbia un grado di dettaglio altissimo anche con il chiaroscuro. E poi è una cosa che non vuole solo far ridere. Era un sacco che non leggevo una storia che mescolava la parte grottesca e quella divertente».
Il libro sembra individuare molto bene il passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza.
«Anche questa è una delle cose su cui sto in fissa. Il discorso sull’infanzia, e su quello che ci perdiamo quando cresciamo, è sempre stato presente in tutti i miei libri, perché è una delle mie ossessioni. E vederlo raccontato come se fosse una guerra tra i bambini e gli adulti mi ha riacceso una luce. Mi ha mostrato come mi sono allontanato dai ricordi e dalle emozioni dell’infanzia. Questo libro è riuscito a farmi ritrovare alcuni aspetti molto importanti: comportamenti, meccanismi mentali che ormai non facevano più parte del mio quotidiano».
Ti ha fatto riscoprire aspetti della tua infanzia che avevi dimenticato?
«Eh sì, tutte cose con cui mi sto riconnettendo adesso proprio grazie a questo libro».
C’è un aspetto stilistico particolare che ti ha colpito?
«La cosa che in generale a me fa più ridere in assoluto è quando si switcha dal registro aulico al registro basso.
Per me è la massima forma di intelligenza delle persone questa capacità di far ridere alternando i registri. Anche nella vita vera. Infatti cerco sempre di imitarla: non è un caso se nelle didascalie dei miei fumetti uso un linguaggio un po’ più alto e poi, a un certo punto, c’è invece qualcosa che precipita su dettagli più bassi per creare un effetto comico. E questo libro è costruito sostanzialmente tutto così. E poi, essendo destinato soprattutto ai bambini, non c’è mai una caduta linguistica volgare: però ha quel tipo di linguaggio associato alle cose ridicole infantili che adoro».
Se dovessi raccontare in breve la storia, di che cosa parla?
«Allora, direi che è la storia di... Come posso riassumerla? Di generazioni di bambini che lottano contro la crescita e che si trovano di fronte un nemico terribile, il peggiore di tutti.
C’è un adulto che odia l’infanzia e che ha il potere, soltanto toccando unbambino, di fargli perdere la sua infanzia, rendendolo adulto».
E chi sono i “re” dei bambini?
«Sono bambini speciali, quelli che più di tutti fanno impazzire gli adulti e a cui viene passata la corona di volta in volta quando devono abdicare perché diventano grandi. Loro sono anche i custodi del tesoro».
Tutto questo è connesso alla storia originale di Beowulf? Ho letto nella postfazione che anche Tolkien era un fan di questa saga e avrebbe ripreso da lì la storia del drago.
«Esatto, quindi questa, tra l’altro, non è nemmeno una parodia ma proprio una reinterpretazione. È un lavoro che ha una complessità; anche nel rapporto col poema originale che è super interessante».
A chi è destinato questo libro? Qual è il target secondo te?
«Non so esattamente qual è il target, nel senso che non credo che siano necessariamente i bambini, anzi.
Forse sono gli adulti che possono leggerlo ai bambini, perché il libro usa un linguaggio anche difficile, ma proprio bello. L’unica speranza oggi credo sia “beccarli” finché sono piccoli, leggendogli delle cose, per insegnare loro ad apprezzarle, perché poi, da quando mettono mano al cellulare, diventa quasi impossibile».
Un altro aspetto interessante è il fatto che la protagonista è un’eroina, non un eroe maschio.
«Essendo bambini, i ruoli non sono quelli che poi vengono in qualche modo indirizzati dalla società con il passar del tempo. E c’è un’innocenza che trovo quasi poetica nel trattare questa cosa. L’eroina è una bambina, però questo avviene senza nessuntipo di forzatura o di ricostruzione ideologica intorno. Ho trovato questa spontaneità molto fresca, non parte di un teorema insomma...».
È interessante come viene rappresentata l’innocenza infantile, ancora lontana dalla scoperta della sessualità adolescenziale.
«Sì, veramente è bello anche quando dice “si trovava non lontano dagli adolescenti sbaciucchianti”, perché, appunto, qui non c’è neanche la dinamica della sessualità. Ed è proprio super innocente, tranquillo e tutto sommato forse anche un po’ noioso per questi tempi. Ma afferma delle cose in maniera comunque forte, perché i bambini lottano per avere il diritto a divertirsi come piace a loro. È tutto sostanzialmente lontano dai doveri – sport, studio – con cui oggi anche i più piccoli vengono così massacrati».
Cosa ti ha colpito della condizione dei bambini descritta nel libro?
«Mi piace l’idea di una condizione transitoria. Tutti loro comunque contribuiscono a lottare per questa società di bimbi anche se prima o poi ne saranno inevitabilmente fuori, perderanno la grazia e non avranno mai il tesoro. Altri continueranno sempre ad arrivare per prendere il loro posto».
In conclusione, qual è secondo te il valore di questa storia?
«La poesia con cui racconta la perdita della magia. Anche l’adolescente ha un desiderio di trasgressione, che però è diverso da quello dei bambini. Per loro ciò che conta è il cibo che amano, i giochi che fanno, le storie che si raccontano. E qui si cattura tutto ciò in modo fresco e autentico».