La Lettura, 20 aprile 2025
Il franchismo non è morto. Spagna senza Liberazione
Il 20 novembre 1975, cinquant’anni fa, il presidente del governo Carlos Arias Navarro annuncia la notizia in televisione: «Spagnoli, Franco è morto». Gli edifici pubblici espongono la bandiera a mezz’asta. Il lutto ufficiale dura 30 giorni: sospesi attività, spettacoli, atti istituzionali, operazioni finanziarie. Nei negozi si esauriscono tutte le cravatte nere. Migliaia di devoti e qualche curioso fanno la coda alla camera ardente, nel Salone delle Colonne a Palazzo Reale, per l’ultimo saluto al caudillo. Nessun altro dittatore europeo del XX secolo ha un funerale e una sepoltura come Francisco Franco Bahamonde. Tre giorni dopo, il Generalissimo viene interrato nella Valle de los Caídos, il complesso monumentale che i prigionieri politici furono costretti a costruire tra il 1940 e il 1958 per commemorare «i crociati franchisti» (nel 2019 i resti di Franco vennero spostati al cimitero pubblico di El Pardo).
Il franchismo dà l’assalto al potere nel 1936, quando i militari si riuniscono per «ristabilire l’ordine» contro il Fronte Popolare repubblicano (la coalizione di partiti di sinistra che ha appena vinto le elezioni). Scoppia la guerra civile. Nel 1939 i golpisti vincono. Si instaura il regime franchista, appoggiato dalla Chiesa. Franco impone una politica autarchica basata sul modello fascista di Benito Mussolini. La Ley de Jefatura del Estado del 1939 gli consegna «il potere supremo per dettare leggi di carattere generale». Tra la fine del 1939 e l’inizio del 1940 si contano oltre 270 mila prigionieri politici, più di cento campi di concentramento, mezzo milione di detenuti. Quando il 20 novembre 1975, dopo quasi quarant’anni di franchismo, il Generalissimo muore, la Spagna si prepara in modo lento a transitare verso una nuova epoca democratica. Juan Carlos de Borbón y Borbón diventa re, come ordinato e voluto da Franco tramite la Ley de Sucesión en la Jefatura del Estado. Le elezioni arriveranno nel 1977, un anno dopo viene approvata la Costituzione.
Oggi, alla vigilia del cinquantesimo anniversario, il Paese prepara una serie di atti e manifestazioni per festeggiare la «Spagna in libertà/50 anni». Eppure, «Franco è morto, ma il franchismo no», dice a «la Lettura» Julián Casanova, storico, docente all’Università di Saragozza e autore della biografia Franco (Crítica). La scrittrice Marta Sanz e il giornalista e presidente dell’Associazione per il recupero della memoria storica Emilio Silva – collegati con «la Lettura» – annuiscono. Silva è anche nipote di Emilio Silva Faba, militante repubblicano, assassinato nel 1936 e sepolto in una fossa comune a Castilla y León, primo desaparecido identificato tramite la prova del Dna. «Il franchismo non è morto», precisa. «La Lettura» li ha radunati intorno a un tavolo virtuale per riflettere su che cosa possa significare il termine Liberazione in un Paese che, sebbene sia stato segnato dai crimini della dittatura, ancora non ha una giornata nazionale che la celebri.
Perché?
JULIÁN CASANOVA – Dal 1939, anno in cui Franco vinse la guerra civile, fino al 1976 la Spagna aveva un giorno festivo che commemorava addirittura il golpe militare del 18 luglio 1936. Era una peculiarità. Il 18 luglio diventò l’unica festa nazionale civile di questo Paese, le altre erano religiose. Il 18 luglio era anche il giorno dello stipendio extra. Non possiamo avere una celebrazione della Liberazione perché qui non c’è stato alcun processo di antifascismo o di antinazismo. Dopo il 1945 Franco ha comandato per altri trent’anni. La Spagna non ha saputo creare un’identità nazionale attraverso una bandiera (in quella spagnola c’è la corona della monarchia, ndr) o un inno perché una parte della popolazione non si sentiva rappresentata da quei simboli.
MARTA SANZ – Non c’è una commemorazione perché Franco è morto nel suo letto. Eppure, c’è stata molta resistenza, le persone combattevano dentro e fuori la Spagna. In realtà l’epoca della transizione non è cominciata nel 1975 ma nel 1939, quando la gente ha scelto la militanza politica clandestina. Però le cose sono cambiate soltanto quando quest’uomo è deceduto. Chi ha festeggiato il 20 novembre, celebrava una liberazione intima e personale.
Che cosa ricordate?
MARTA SANZ – Quel giorno mio cugino si ubriacò. I più anziani ascoltavano la notizia con il sospetto che Franco non fosse veramente morto. Non poteva esserci una commemorazione perché la transizione imponeva una sorta di continuità molto perversa. Io avevo 8 anni, frequentavo la scuola pubblica. All’epoca la maestra ci fece fare un tema a doppia pagina: nella pagina di sinistra dovevamo scrivere una gentile apologia del defunto capo di Stato, nella pagina di destra un testo di speranza su quella giovane Spagna che stava per nascere con Juan Carlos. Non era permesso esprimere pensieri liberali in pubblico, chi lo faceva minacciava la nuova epoca pacifica.
JULIÁN CASANOVA – Ero al secondo anno di università: il mio gruppo festeggiò il 20 novembre, ma quel giorno decine di migliaia di persone erano in lutto. In quel momento, il Paese pensava a come ricostruirsi; non ha pensato subito alle vittime.
EMILIO SILVA – Avevo 10 anni e anch’io frequentavo la scuola pubblica. L’insegnante mi legava la mano sinistra a una sedia perché ero mancino. Quando Franco morì i miei genitori mi obbligarono ad andare a scuola anche se le lezioni erano sospese, dovevo camuffare le mie uscite. Mia madre e mio padre non volevano che i vicini sospettassero che stavamo festeggiando. C’era un clima di terrore. Ma in Spagna non c’è mai stata la volontà politica di creare una data per la Liberazione.
Cosa intende?
EMILIO SILVA – Ogni 27 gennaio, come in tutto il mondo, anche il Senato spagnolo commemora le vittime dell’Olocausto. Il 27 giugno si tiene alla Camera la Giornata delle vittime del terrorismo. Il 31 ottobre sa dove si celebra la Giornata delle vittime della dittatura franchista? In un auditorium della musica. Quindi lo Stato tiene questa questione fuori dalle aule del Parlamento. Qui vige la totale impunità nei confronti dei violatori dei diritti umani. A Madrid c’è ancora un arco che celebra la vittoria delle truppe franchiste durante la guerra civile; noi cittadini continuiamo a pagare con le nostre tasse la tomba di Franco al cimitero pubblico di El Pardo. La parola «transizione» fa sembrare che per la prima volta nel 1977 la società spagnola stia per approdare alle elezioni democratiche, ma mia nonna materna aveva già votato nel 1933, e poi nel 1936.
MARTA SANZ – L’intera transizione è stata segnata da speranza e da paure. C’è una tappa fondamentale della nostra storia recente: il fallito golpe di Stato del 23 febbraio 1981 quando il colonnello Antonio Tejero entrò armato con un gruppo di guardie civili al Congresso dei deputati. Mia nonna materna costrinse i figli a bruciare la tessera del Partito comunista spagnolo (tornato legale nel 1977, ndr). Quell’anno vivevamo ancora con il terrore che la storia potesse ripetersi.
Quale potrebbe essere la data della Liberazione?
EMILIO SILVA – Per me dovrebbe essere il 18 luglio. Ricordiamo ogni anno a questo Paese che un gruppo di militari nel 1936 ha fatto un golpe che ha dato inizio alla guerra civile. Capovolgiamo la data come hanno fatto in Argentina, dove ogni 24 marzo scendono in strada a denunciare il golpe del 1976. Facciamo 18 luglio, nunca más, mai più. Oppure potrebbe essere il 19 novembre: nel 1933 per la prima volta le donne votarono in Spagna e arrivò il suffragio universale.
JULIÁN CASANOVA – La questione dei simboli e delle date è importante, ma servono accordi parlamentari. Non c’è stato neanche un riconoscimento ai presidenti della Repubblica perché la Repubblica (1931-1939) è stata denigrata, per molto tempo neppure studiata.
MARTA SANZ – In realtà, la paura non è ancora passata. L’ombra di Franco e del franchismo è lunga e ce la portiamo dietro, l’abbiamo assimilata dentro di noi. Adesso c’è anche la demonizzazione delle vittime. Si sente dire che i desaparecidos «avranno pure fatto qualcosa per essere uccisi». A tutto questo dobbiamo contrapporre la cultura. La nostra società è un luogo in cui le persone fanno fatica a credere a cose non semplici.
JULIÁN CASANOVA – Sì, in qualsiasi momento potremmo ritrovarci anche noi come voi in Italia: essere comandati da un governo di destra con i conservatori del Partido Popular e l’estrema destra di Vox. Dobbiamo lottare per ridare dignità alla storia. Ma io sono molto pessimista, è difficile immaginare una data per celebrare la Liberazione. Non siamo stati nemmeno in grado di identificare le vittime delle fosse comuni.
Eppure il governo socialista di Pedro Sánchez prevede che non ci saranno più resti nelle fosse comuni entro tre anni e mezzo. Credete sia possibile?
EMILIO SILVA – Possiamo incontrarci di nuovo qui nel 2028 e parleremo ancora di fosse comuni: non saranno sparite. Non stiamo cercando tombe, ma uomini e donne scomparse. Non le troveremo tutte perché questo governo non ha identificato nemmeno il 5 per cento dei 5.600 cadaveri riesumati. La Spagna è l’unico Paese al mondo che vuole risolvere il problema delle sparizioni forzate distribuendo sussidi, cioè mettendo una somma di denaro su un piatto, davanti al dolore delle famiglie. I diritti umani non possono essere sussidiati, devono essere garantiti. Questo governo non ha ancora un ufficio a cui possano rivolgersi i familiari dei desaparecidos. Parte del lavoro della mia associazione è ascoltare le persone e prenderci cura di loro. In 25 anni abbiamo raccolto molta documentazione, ma non l’abbiamo mai consegnata al governo spagnolo.
Come mai?
EMILIO SILVA – Per il governo, destra o sinistra che sia, questa non è mai stata una questione importante.
JULIÁN CASANOVA – Il lavoro dei riconoscimenti dei corpi è iniziato grazie a noi storici. Siamo andati noi, municipio per municipio, ad analizzare i registri delle persone assassinate per scoprire il numero delle vittime. Sono emerse due cose. Prima: tante morti non sono state registrate. Seconda: non esisteva una gestione pubblica delle indagini sui desaparecidos e mancavano quindi informazioni sulle vittime. La legge sulla memoria storica voluta da José Luis Rodríguez Zapatero nel 2007 non è bastata. I tentativi dell’ex primo ministro socialista per creare una Commissione per la verità sono falliti. Non c’è mai stata una responsabilità chiara legata alla questione. La sinistra aveva paura di andare a fondo, la destra non era disposta a fare nulla al riguardo.
Che cosa comporta questo?
JULIÁN CASANOVA – Se le vittime non sono registrate, bisogna entrare in contatto con le famiglie che vogliono riesumare dalle fosse comuni i desaparecidos. Ma c’è un altro aspetto: non si tratta di un dibattito politico del passato, questa è una questione attuale che si intreccia alla nostra identità. Nel 2025 la Spagna ha ancora un grande problema che riguarda l’umiliazione delle vittime e l’assenza di politiche di restituzione.
EMILIO SILVA – Credo che né Alberto Núñez Feijóo (presidente del Partido Popular) né Santiago Abascal (presidente di Vox) abbiano letto le leggi della memoria.
MARTA SANZ – Viviamo nell’epoca delle fake news, della post-verità e del discredito permanente della memoria. Il clima politico e ideologico è terribile. Sapete qual è la domanda più cercata online inerente a Vox? «Vox è un partito politico di destra o di sinistra?». Mi sembra un chiaro indicatore di come dobbiamo rafforzare la cultura della memoria democratica perché ora il partito di Santiago Abascal sta riuscendo ad appropriarsi di voti nostalgici e anti-sistema: è un ossimoro.
Perché aumentano i giovani orientati verso questi modelli? È una conseguenza delle crisi o ci sono altre ragioni?
EMILIO SILVA – Vado in molte scuole superiori. Ci sarebbe da scappare ad ascoltare alcune conversazioni tra i ragazzi. Molto ha a che vedere con la cultura dell’impunità, con l’idea che i politici siano tutti uguali. Ma le fake news non nascono adesso, sono nei libri da decenni. Ho collezioni di testi scolastici che dicono che Federico García Lorca morì vicino al suo paese (è stato fucilato nel 1936 durante la guerra civile, ndr). Oggi raccogliamo quello che è stato seminato. Come disse il poeta e scrittore argentino Juan Gelman, quando le dittature finiscono, gli organizzatori dell’oblio cominciano a lavorare. E qui hanno lavorato abbastanza bene. Manca la conoscenza del passato e del presente.
JULIÁN CASANOVA – Gli insegnanti sono disperati, la conoscenza della storia è un problema universale. Agli esami di ammissione per l’università è sempre stato chiesto della guerra civile e del franchismo. Lo studente che oggi appoggia Vox può aver ricevuto una formazione ottima. Il fatto è che una parte importante della gente disprezza la conoscenza e crede che sia propaganda della sinistra. Oggi non è come negli anni Ottanta o Novanta quando circolavano libri pieni d’errori; da molti anni i professori delle scuole secondarie si sforzano d’insegnare la storia della Repubblica (1931-1939), della guerra civile (1936-1939), della dittatura di Franco (1939-1975) e si ritrovano davanti un terreno di disprezzo e ignoranza. I giovani si ostinano a credere di ricevere opinioni e non fatti. Questo è un problema, qui, oggi.
MARTA SANZ – In Spagna la sinistra è stata reinterpretata a partire da un periodo di potere che le è costato l’epiteto di «corrotta» o da un passato che è stato etichettato come «stalinista», sebbene all’interno della sinistra spagnola ci siano persone eccellenti e comunisti che sono democratici fino al midollo. Questa rilettura è servita a demonizzare e demotivare le persone che hanno sostenuto quelle idee. Siamo nell’era del neoliberalismo e del discorso dell’odio, ormai l’unica autorità conosciuta ha a che fare con le regole del mercato, con la monetizzazione dell’influenza e con i like. Dobbiamo essere consapevoli di essere stati in parte responsabili dell’evoluzione di questo clima, ma allo stesso tempo dobbiamo avviare meccanismi per combatterlo.
EMILIO SILVA – Credo che l’Unione Europea si sia preoccupata molto di più del suo anticomunismo che del suo antifascismo.
Il franchismo è morto o no?
MARTA SANZ – No, no e no.
JULIÁN CASANOVA – Il franchismo politico era morto e ora è tornato. Il nostalgico franchista del 20 novembre si è rivitalizzato con l’estrema destra moderna che ha connessioni internazionali.
EMILIO SILVA – Muore quando si estingue nelle istituzioni. Ancora non si è estinto.