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 2025  aprile 20 Domenica calendario

Intervista a Delio Scala

Sono passati più di vent’anni dall’ultima volta in panchina di Nevio Scala. «Ma il calcio non mi manca, la vita tra i campi mi impegna moltissimo e mi dà grandi soddisfazioni», racconta l’ex tecnico del Parma dei miracoli. I campi in questione sono quelli di Lozzo Atestino, nei Colli Euganei «dove in realtà è cominciato tutto, è come se gli oltre quarant’anni legati al pallone fossero solo una parentesi».
Come nasce questa passione per l’agricoltura?
«Questo è in realtà il mio ambiente, sono sempre stato legato alla mia terra ed è stato naturale decidere di intraprendere questa attività con la mia famiglia. Sapevo che prima o poi sarei tornato a fare le cose che mi erano sempre piaciute. Su terreni per me speciali».
Perché?
«Perché la nostra azienda è nata sugli stessi campi che coltivava mio papà fin dal 1929, ma lui era in affitto. Con i soldi guadagnati nel calcio siamo riusciti ad acquistarli, è stata una grande gioia. Anche se non erano chissà quanti, fossi nato una decina d’anni dopo avrei guadagnato molto di più sia da calciatore che da allenatore. E devo dire che il nostro vino mi rende orgoglioso».
Cos’ha di speciale?
«Intanto è nostro. Poi abbiamo fatto una scelta importante, puntando solo sul biologico, senza veleni o diserbanti, da noi sono tornati i lombrichi per intenderci. E ora siamo passati pure al vino naturale, da noi la chimica è vietata, solo per le bottiglie che esportiamo nel mondo utilizziamo un po’ di solforosa ma in quantità davvero minima per consentire al prodotto di arrivare anche in Cina o negli Usa. Dazi di Trump permettendo...».
E il pallone non le manca proprio?
«Sinceramente no.
Lo seguo ancora, qualche partita la vedo, soprattutto a Parma torno quando vengo coinvolto in qualche manifestazione e sono in contatto con quasi tutti i calciatori che allenavo. Non ho nostalgia, davvero. Però ci penso spesso e mi godo il ricordo, quello nessuno ce lo può portare via».

C’è qualche giocatore che le è rimasto nel cuore più di altri?
«Non riesco proprio a fare classifiche, sono rimasto in contatto praticamente con tutti, abbiamo una chat su WhatsApp sempre attiva. Anzi, a volte rompono anche. Asprilla più di altri? Lo ha detto lei... (ride)».

Sette anni, una Coppa Italia e tre trofei internazionali. A Parma ha allenato la piccola più grande di sempre?
«Credo di sì, è vero che abbiamo fatto cose molto belle che rimarranno per sempre. Ancora oggi quando passo da Parma sono in tanti a fermarmi per dire: “Mister che bello che era quando c’era lei”. E sa perché? Non lo dicono per le vittorie, tante e importanti. Ma per il rapporto che avevamo creato con i tifosi, queste emozioni non si dimenticano».
Quel Parma come il suo vino. Cos’aveva di speciale?
«Non è semplice rispondere a questa domanda. La nostra era una squadra speciale ma quello era anche un periodo storico speciale, tante situazioni si sono concretizzate e incastrate assieme. Io avevo un rapporto con i miei giocatori di stima incondizionata, loro mi volevano bene. Abbiamo creato una simbiosi che andava al di là della vittoria e della sconfitta, ci allenavamo e giocavamo con grande intensità e il massimo dell’impegno. Ma regnava una costante allegria che ci spingeva solo a cercare grande divertimento. Condividevamo una felicità pura, che ci ha permesso di superare spesso anche avversari molto più forti. Sapevamo di essere più piccoli, non ci interessava».
Domani sera ci sarà Parma-Juve. Con lei era diventata una classica degli anni Novanta...
«Ricordo con piacere ed entusiasmo quel periodo di grandi battaglie sportive. Però erano sempre leali e serene, pure con Marcello Lippi che si è sempre dimostrato anche un amico. Ora ci sono strascichi di polemiche che non riesco più ad accettare, anche prima si poteva finire sui giornali con qualche dichiarazione ma tutto veniva vissuto in maniera diversa. Il Parma era forte, la Juve era più forte di noi, ce la giocavamo sempre a testa alta».
Tante finali, il primo e l’ultimo trofeo vinti con il Parma furono proprio contro la Juve. I più belli?
«La prima Coppa Italia al Tardini ci permise di vincere Supercoppa e Coppa delle Coppe. La Coppa Uefa a San Siro fu la ciliegina sulla torta di quel ciclo meraviglioso, contro una squadra gigante come quella Juve che vinse lo scudetto e proprio la Coppa Italia sempre contro di noi. Che bel duello».
Trent’anni dopo, anche Parma-Juve sarà diversa. Che partita si aspetta?
«Non me ne vogliano i tifosi bianconeri ma ovviamente spero che il Parma possa fare risultato, al gruppo di Chivu servono punti per la salvezza e credo sia sulla strada giusta, un bel pareggio potrebbe aiutare molto. Anche per la Juve però sarà importante, ha ritrovato un ritmo buono per andare in Champions e penso che alla fine ce la farà. Mi sembra che l’impatto di Tudor sia stato decisivo, ha sistemato le cose che andavano messe a posto e la Juve ha ripreso a marciare».
Parma-Juve sarà la partita del cuore anche di Gigi Buffon. Senza di lei che lo ha lanciato a 17 anni, sarebbe diventato uno dei più grandi portieri della storia?
«Sì, non ho dubbi.
Ma ricordo bene quando lo lanciammo contro il Milan, fu una settimana di grande difficoltà per me, ero di fronte a una scelta delicata, quel ragazzino mi aveva messo in difficoltà. In allenamento nessuno riusciva a fargli gol, io e l’allenatore dei portieri sapevamo di avere trovato un fenomeno ma come facevamo a farlo giocare al posto di Nista? Non dormii qualche notte, poi andai da Nista con cui sono ancora molto legato che mi disse: “Mister, ho visto pure io quello che ha visto lei”, rese la scelta più semplice».
Dopo il Parma e la parentesi di Perugia, lei fu uno dei precursori scegliendo l’estero. Come mai?
«Quella di andare via dall’Italia fu una mia scelta, culturale più che calcistica. Sono stato in Turchia un anno, poi in Germania al Dortmund, in Ucraina allo Shakhtar Donetsk dove i giocatori se la ridevano quando mi vedevano arrivare in jeep Lada Niva mentre loro arrivavano in Bmw o Mercedes. Infine a Mosca nello Spartak».
Ha chiuso la carriera tra Donetsk e Mosca. Quanto le fa male assistere a questa guerra?
«Ormai son tre anni che siamo bersagliati dalle immagini di questa guerra, nel momento in cui la Russia ha invaso l’Ucraina mi è preso un colpo al cuore. Sono molto legato a Donetsk, abbiamo vinto il primo scudetto nella storia dello Shakhtar, il presidente mi manda ogni anno gli auguri. Vedere questa città bombardata mi rattrista molto. In Russia ho vissuto un’esperienza calcisticamente negativa, ma positiva sotto tanti altri punti di vista. Ho conosciuto una città meravigliosa con tanta gente di buon cuore. E credo che siano in molti a rifiutare la politica espansionistica di Putin».