Specchio, 20 aprile 2025
Intervista a Valeria Bruni Tedeschi
La donna della porta accanto. Sebbene la sua carriera sia costellata di personaggi eccentrici, Valeria Bruni Tedeschi convince appieno nel ruolo della sobria vicina di casa che tutti vorrebbero in L’attachement di Carine Tardieu, presentato a Roma in apertura del Festival Rendez-Vous. Interpreta la protagonista, la libraia femminista Sandra, una donna indipendente senza figli che finisce per legarsi ai bambini del vicino. «Ci sono tanti modi per essere madri», commenta l’attrice e regista.
La sua Sandra sceglie la presenza costante, nel suo stare accanto ai figli del vicino in modo accudente.
«La presenza per i bambini è fondamentale, dà loro sicurezza. Forse con i miei figli sarò pure troppo presente, ma penso che gli assenti abbiano sempre torto. Pur viaggiando per lavoro, ritengo che la quantità di ore dedicate a qualcuno o qualcosa dia i loro frutti. Me lo insegnò Patrice Chéreau a teatro, più uno lavora meglio è, e così anche più ore dedichiamo ai figli meglio è».
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Fulvia Caprara
Nel film si butta a terra a giocare con i bambini, nella realtà è una madre giocosa?
«Forse non abbastanza. Ma sono molto fisica con i miei figli, ci abbracciamo, ci facciamo il solletico».
In questo Paese si fa un gran parlare di “madri”, ma la maternità non è una questione biologica, in certi casi quella non biologica è più scelta e voluta.
«Per me lo è stato, ho adottato entrambi i miei figli da più “vecchia”, diversamente da una giovane che magari diventa madre nell’incoscienza io li ho voluti tanto, ci ho sperato, tra carte burocratiche, viaggi e quant’altro. Ma tra una madre biologica e una adottiva non vedo differenze, se non in “come” arriviamo ad essere madri. A me sembra che la società si stia trasformando in modo positivo».
Ovvero?
«Nessuno giudica più le donne che scelgono di non avere figli, ognuno può vivere la sua sessualità in modo libero e anche l’adozione mi sembra guardata con meno diffidenza. Le famiglie allargate oggi sono normali e anche le famiglie “scelte”: ci adottiamo gli uni con gli altri, una mia amica mi ha detto: “Per favore adottami”».
Ha mai provato l’“attaccamento” che racconta il film verso qualcuno?
«Io sono attaccata in modo morboso alle persone che amo, mi ci aggrappo, sono anche molto fedele nel tempo, anche se i rapporti si modificano e gli amori diventano amicizie, ho bisogno dei miei legami».
Anche di quello con sua sorella Carla?
«Certo, ci vediamo e ci sentiamo sempre, mi ha anche prestato il suo golf per partecipare a un programma (Belve, ndr). Abbiamo un bel rapporto, i media che dicono altro mirano solo a vendere qualche copia in più».
Tornando a Sandra, è un ruolo molto diverso da quelli in cui siamo abituati a vederla.
«Infatti la regista mi ha molto frustrato, ero anche abbastanza arrabbiata, rifiutava tutte le mie proposte. I personaggi misurati sono quelli più difficili, mi portano fuori dalla mia comfort zone. In fase di riprese non era gradevole sentirsi dire tanti “no”, oggi che ho visto il film sono grata di essere stata diretta così. È stata un’esperienza benefica, mi ha ripulito dai miei tic da attrice. Forse anche nella vita dovrei misurarmi di più».
Fare yoga non l’aiuta?
«Meno male che c’è lo yoga nella mia vita, però non è che abbia questi grandi risultati. Leggo anche libri di meditazione, li studio, sottolineo, prendo appunti, dormo persino con il libro sotto al cuscino, ma non riesco a metterne in atto gli insegnamenti».
Quale libro, in particolare?
«Il potere di adesso di Eckhart Tolle. Ma cerco anche Come mettere in pratica Il potere di adesso, quello sì, mi servirebbe».
Sullo schermo interpreta una libraia femminista. Si sente femminista?
«Certo che sono femminista, ci mancherebbe. Il femminismo è lottare per l’uguaglianza degli uomini e delle donne, nella sfera privata e in quella pubblica. Però non aderisco alla lotta spinta dall’odio di un certo movimento femminista attuale, non mi piace quando una parte della società si scaglia contro un’altra. Non mi sono mai sentita “contro” gli uomini, anzi riconosco in me una parte maschile, perché dovrei odiare?».
Si è divertita a interpretare la Principessa Brandiforti nella serie L’arte della gioia? Per la sua performance è stata candidata ai David di Donatello…
«È stato liberatorio poter sfogare tutta la mia cattiveria attraverso questa donna complessa, piena di sfumature. Mi ha regalato la gioia di poter essere perfida».
Per il fatto che la serie non trovasse mercato in Francia ha parlato di eccesso di moralismo.
«Ma certo, il libro di Goliarda Sapienza non fu pubblicato in Italia per via della censura, mentre uscì in Francia grazie alla libertà culturale del Paese. Oggi invece la Francia è diventata moralista in modo pericoloso, mette in pericolo l’arte con l’ideologia. È fondamentale che non esista alcuna censura quando noi artisti scriviamo e facciamo le nostre cose, invece assistiamo a un periodo in cui si preferisce la “cancellazione” delle opere anziché la loro contestualizzazione. Ma non si può cancellare Ultimo Tango a Parigi, o altri capolavori».
Cancella mai i suoi personaggi, dopo averli interpretati?
«Mi tengo dei ricordi, dei vestiti, mi capita di indossare le loro scarpe, i jeans, i golf, è il mio modo di tenerli con me».
Si è affermata come regista in un tempo in cui non c’era il trend delle attrici-registe. Come andò?
«Grazie a Mimmo Calopresti partecipai alla sceneggiatura del suo La parola amore esiste, scrivere i dialoghi mi appassionava, continuavo a farlo e tutti mi consigliavano di trasformarli in un film. Era un periodo in cui avevo poche proposte come attrice ed ero in un bel giro di registe donne, con Noemie Lvovsky e Claire Denis. Certo, allora si diceva “Ah tutte queste registe donne, ma perché?”, come fosse una cosa strana»..
Fu difficile esordire come regista?
«Quando proposi il mio primo film per anni mi dissero di no, perché ero una donna, perché ero un’attrice, ma a me questi no hanno spinto a lavorare di più, approfondendo la mia necessità di fare quel film. I no mi danno forza».
Il successo arriva dopo una serie di fallimenti?
«I fallimenti continuano anche oggi, volevo mettere in piedi un progetto ma non ho avuto i soldi. I fallimenti sono importanti, non mi scoraggiano, mi danno la voglia di reagire. Mi fa più paura il successo».
Perché?
«Per la sindrome dell’impostore, per l’aspettativa, per la paura del non successo di “dopo”. Il successo mi crea panico».
Tornerà a breve dietro la cinepresa?
«Sto scrivendo un film che vorrei girare in Italia, non sulla famiglia stavolta, è l’adattamento di un racconto».
Desideri da attrice ne ha?
«Vorrei rifare un film diretta da Valeria Golino, l’allegria e la gioia di stare insieme sul set non ha pari».
Chi sono state le sue maestre?
«Noemie Lvovsky pur avendo la mia età lo è stata, poi la coach americana Susan Batson e Natalia Ginzburg che leggo molto».
Sente una responsabilità “da maestra” verso le nuove generazioni?
«In tutto quel che faccio, che dico e che sono. La mia età mi dà una responsabilità verso i miei figli, ma anche i giovani attori. È una responsabilità che non mi appesantisce, anzi mi dà forza e mi ispira».
Riesce a dirsi “brava” oggi?
«No. Quando i registi sono contenti di me mi fa piacere, ma c’è un “brava” più profondo che non sono ancora in grado di dirmi».