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 2025  aprile 20 Domenica calendario

Vasco Rossi: “Oggi al potere c’è l’ignoranza, le mie canzoni sono atti di amore in un’era di conflitti”

L’attesa è quasi assurda, ci sono fans che già da settimane danno la caccia alla scaletta e ancora mancano 40 giorni al debutto di Torino. In fondo, è tutto un rituale per un protagonista che mette insieme come nessun altro varie generazioni, scolarità, sensibilità, senza dire mai due parole dal palco: «Chi vuol sapere da che parte sto, lo capisce ascoltando le mie canzoni». La macchina rock di Vasco Rossi si mette intanto in moto. A Pasquetta sbarca in Puglia per preparare il tour imminente: i quaranta giorni di prove si perfezioneranno nelle due anteprime di fine maggio a Bibbione in provincia di Venezia; poi una carovana di camion attraverserà la Pianura Padana per ricostruire l’immenso palco, che sia pronto al debutto ufficiale nello Stadio Grande Torino, 31 maggio e primo giugno.
Dal 2013 Vasco non apriva un tour nel capoluogo piemontese: da allora non si è più fermato se non nei due anni della pandemia, poi sempre avanti, e ogni giugno ormai è targato Vasco. «Andrò avanti così finché ci riuscirò. Ci sarà Natale, Capodanno, il 25 aprile, il Primo Maggio e a giugno i miei concerti», profetizza il Vate di Zocca che è tonico e di buon umore, e mai è stato così tanto Vate, avvoltolato come appare dentro letture, meditazioni, ricerche che non ti aspetteresti, compresi approfondimenti sul concetto di vita spericolata: un tempo era solo un’idea vincente ma oggi, come vedremo, ha preso direzioni imprevedibili.
Prima di lanciarci nella musica, caro Vasco, si vorrebbe capire come sta vivendo questo tempo che ha cambiato le nostre vite senza avvertirci.
«Appunto. Un’epoca di cambiamenti e di turbamenti, di guerre e valori rovesciati, di capi di stato impazziti e di dittatori sanguinari confermati. Mi sento come tutti, stranito. Viviamo davvero un periodo molto buio».
Fra qualche giorno sarà il 25 aprile, 80 anni dalla Resistenza.
«Un concetto chiave. Pensi questo: arrendersi a oltranza è una forma di resistenza al sopruso e all’ignoranza. Ma la resistenza ai soprusi è sacrosanta. L’avevo detto che stava arrivando una valanga di ignoranza e adesso al potere c’è quella, ma io sono felice di portare gioia e anche amore con i miei concerti, perché poi le mie canzoni sono degli atti di amore, e c’è amore dentro la provocazione perché deve risvegliare le coscienze».
Si capisce che la costruzione di un tour per lei non è solo un fatto musicale. C’è una preparazione mentale, ci sono ricerche anche esistenziali, ed episodi sorprendenti.
«Faccio pratica di consapevolezza. Ho cominciato a concentrarmi sul respiro fino a che c’è un attimo nel quale resto senza pensieri. A quel punto provo un senso di pace e gioia! A Napoli c’è un detto, “Sta senza pensieri”, che mi piace molto ed è molto buddista. Quindi sono i pensieri che ci fanno soffrire. Nella mente noi anticipiamo il futuro e diventiamo ansiosi, ricordiamo il passato e soffriamo per faccende passate, ma il futuro e il passato sono sempre solo dei pensieri. Esiste solo il presente, l’adesso! È sempre solo qui e ora. Inoltre noi NON siamo i nostri pensieri, quelli vanno e vengono, cambiano continuamente come le nuvole nel cielo. Noi siamo la consapevolezza di averli e quella non cambia mai, è sempre quella e ce l’abbiamo tutti, è in tutte le cose che sono. La consapevolezza è la sostanza di cui siamo fatti e partecipiamo dell’essere di tutte le cose. Essere, non fare o avere, ma essere. Essere presenti nel qui e ora, questo insegna la filosofia orientale. Ho fatto due anni di full immersion leggendo molti libri, da Osho al leader e attivista Nhat Hanh, dal filosofo Rupert Spira al tedesco Eckhart Tolle che scopre il proprio Essere. È come se frequentassi un maestro spirituale, dato che non mi sento di andare da qualcuno. È così che, riflettendoci, non direi più “Voglio una vita spericolata”, ma “Sono una vita spericolata”».
Un modo diverso di resistere.
«Secondo la filosofia orientale, la resistenza è quello che fa soffrire e l’accettazione porta la pace. Ma l’accettazione non significa resa, significa comprensione; un po’ quello che ho scritto con “conviene arrendersi all’evidenza” (dal testo di XI comandamento, ndr). Conviene arrendersi a oltranza! Ma questo è un altro discorso».
Con il 25 aprile, c’è anche il ricordo del suo papà Carlino, medaglia d’Onore alla memoria per essersi rifiutato di combattere con i nazisti, che fu mandato in campo di concentramento a Dortmund come altri 600.000 soldati fatti prigionieri.
«Ha preferito il lager piuttosto che arrendersi al nazifascismo e combattere con i tedeschi contro gli italiani. Era in un campo di lavori forzati e senza mangiare molto, per cui ne morivano la metà, di fatica o di botte. Aveva fatto amicizia con un compagno di sventura che gli aveva salvato la vita quando cadde in una buca durante un attacco: si chiamava Vasco. Aveva scritto un diario, con alcuni episodi, e mia madre l’aveva poi ricopiato».
Avremo in questo tour la scoperta di un inedito?
«Ce l’ho, ma lo tengo nel cassetto almeno fino al concerto, poi vedrò. Non so se lo farò conoscere, da adesso a fine maggio c’è ancora tanto tempo. Di canzoni nuove adesso non sento la necessità, una volta sentivo proprio l’esigenza: ma forse perché ne ho già tante».
Come potremmo fare il riassunto di questa tornata di concerti, che partono da Torino per attraversare lo Stivale e arrivano fino a Messina?
«Quest’anno il filo rosso che unisce tutti i pezzi della scaletta è: vita, essere, la vita è, vita celebrata, vita ostinata, vita complicata, vita presa alla leggera, vita fiera. Voglio una vita spericolata, anzi sono una vita spericolata. Insomma la vita in tutte le sue forme e accezioni. Mai come quest’anno è il caso di celebrarla. Di fronte a questo mondo pieno di odio, di guerre, di bombardamenti, di massacri di innocenti dove sembra di essere tornati alla legge della giungla, alla legge del più forte del più arrogante del più prepotente...noi celebriamo la vita, l’amore e la pace. Il mio è un concerto di luce».
Ma, lei a parte, il rock sembra il retaggio di un’epoca e della sua visione irrimediabilmente datata.
«Il rock è un linguaggio che non muore, malgrado il rap e la trap. Magari muta la forma, ma lo spirito rimane».

Quando nel 1983 uscì Vita spericolata, l’aggettivo non era in grande uso, ci si stava un po’ attenti come se contenesse qualcosa di audace. Improvvisamente, dopo quel Festival di Sanremo, tutto divenne spericolato. Si ricorda il giorno il minuto e l’ora che generarono questo testo?
«Mi ricordo quando ho avuto il flash del testo; ero in macchina, perché ho vissuto per 20 anni in macchina, praticamente. Ascoltavo sempre musica, giravo da solo, avevo con me una chitarra e la suonavo perché ero libero, non mi conosceva nessuno. Vivevo in un appartamento di via Saragozza che era un accampamento, ma scrivevo le canzoni in macchina e avevo imparato da un anno o due a scrivere i testi sulla musica di Tullio Ferro. Avevo già scritto Splendida giornata ma fu un gran traguardo per me, riuscire a scrivere sulla musica, perché io facevo tutto insieme, musica e parole. Tullio mi diede questa cassettina con due pezzi bellissimi, con l’atteggiamento di uno che era stato in Inghilterra e faceva il rockettaro a Bologna: dove c’erano cinquanta gruppi rock, ma io dicevo che non ne sarebbe sopravvissuto nessuno, e infatti alla fine rimanemmo gli Skiantos e io. Ero considerato uno che faceva canzoncine per bambini, pensi che non mi volevano a un Festival rock perché avevo scritto Albachiara. Prima mi venne La noia, poi Vita spericolata, e fu una grande emozione anche per Ferro, tutte e due gli piacquero moltissimo».
Forse qualcuno aveva detto a quei rockettari che lei da piccolo era stato una star a Zocca, aveva vinto il festival dell’Usignolo d’oro…
«È cominciata che cantavo in casa, mi avevano iscritto alla tappa di Zocca e ho vinto. Avevo 11 anni. E lì ho conosciuto i giornalisti: il Carlino scrisse “Bambino autodidatta che ha imparato a cantare portando le pecore al pascolo”. Non avevo mai visto una pecora
, ma ero di paese. In casa tutti contentissimi, cominciai a imparare la chitarra: però poi venne fuori che dovevo fare le superiori. E io: ma scusa, non dovevo fare il cantante? Mi mandarono in collegio dai salesiani e tutto finì. Rimasi deluso da tutta quella storia e da me, e decisi che era finita la parentesi artistica».
Poi, come sappiamo, il tarlo ha ricominciato a scavare. E, bisogna dire, con convinzione.