La Stampa, 20 aprile 2025
Federica Rosy Boffa Pio: “Io, battezzata con il vino, porto avanti il sogno di papà”
I ritratti de Il bosco del Futuro, che inauguriamo oggi, sono la naturale prosecuzione delle interviste raccolte dal giornalista Paolo Griseri. I suoi 39 protagonisti de Il bosco dei Saggi sono diventati un libro che ricorda l’autore, scomparso lo scorso ottobre
«C’è una foto, eccola. È quella del mio battesimo: papà mi sta bagnando le labbra con del Barolo». Da quello scatto sono passati ventisette anni. Federica Rosy Boffa Pio oggi è una giovane donna che accompagna clienti e turisti nel cuore della cantina più antica di Alba, l’unica rimasta nel centro storico. «È casa mia». Papà, quel Pio Boffa che ha rivoluzionato il mondo del vino, non c’è più. «Se l’è portato via il Covid nel 2021. Eravamo tutti malati, mamma non è riuscita neanche a venire al funerale», racconta seduta nella grande sala al pian terreno di un palazzo che, da generazioni, riunisce la sua famiglia.
Giù per le scale, un tesoro fatto di botti, muri romani, etichette. Nei corridoi, visitatori giapponesi e una traduttrice. L’universo della Langa, racchiuso in un edificio che affaccia sulle scuole e che presto dovrebbe raddoppiare, perché i lutti più dolorosi non fermano la caparbietà né la lucidità di chi, da sempre, è abituato a costruire.
«Siamo qui dal 1881 – dice Federica – e questa impostazione è stata la chiave del nostro successo». Mostra il cantiere: «Una parte sarà dedicata alla logistica, l’altra ai bianchi». Il progetto lo aveva immaginato Pio. Si farà comunque.
«Sono cresciuta in mezzo al vino e nel cuore di Alba. Sempre felice. Non ci accorgevamo nemmeno del privilegio che avevamo. Crescere in un territorio così florido, ricco sotto tutti i punti di vista – sociale, culturale, economico – è qualcosa che ti plasma. Ma da piccola pensavo fosse la normalità. Vivevo un po’ sotto una campana di vetro, anche perché la mia famiglia ha sempre cercato di proteggermi da quello che succedeva fuori. Abbiamo sempre ricevuto le persone in casa: mia madre, grande cuoca, è sempre stata il perno di tutte le trattative. Anche se non avevamo contratti scritti, la stretta di mano per noi valeva più di firme e clausole. Ed è ancora così. Patti tra gentiluomini».
A un certo punto, in pieno lockdown, quella bambina è diventata il capitano d’azienda. «Quando è mancato papà è stato un momento complicato, è successo tutto molto velocemente. Non ho davvero capito cosa volesse dire diventare “capo”. Però ho avuto la fortuna di essere circondata da collaboratori che mi hanno dato fiducia fin da subito».
Restare in equilibrio, dice, «non è facile. Ho dovuto mettermi al lavoro». Con un altro approccio. «Non si può vivere imitando una persona che ha fatto tantissimo. Il nostro è un mestiere che richiede visione. Papà era una persona buonissima, dava l’anima per i suoi collaboratori. Ma era anche molto difficile avere a che fare con lui. Era un duro».
Questo, per la generazione che sta costruendo le nuove Langhe, è il momento del dialogo, delle nuove relazioni. «Prima non era così. C’era più individualismo. Oggi invece c’è voglia di unire le forze, di costruire un fronte comune. Io cerco di essere diversa rispetto alla generazione di mio padre. Non dico che quel suo modello fosse sbagliato, ma il mondo è cambiato. Loro prendevano un volo per un meeting a Tokyo o a New York e poi tornavano indietro… oggi non si lavora più così. Anche se siamo qui grazie a chi c’era prima di noi».
In queste colline dove negli anni si è costruito senza sosta, c’è una sensibilità nuova, il cambiamento climatico si affronta tutti i giorni. «Basta guardare le vendemmie: vent’anni fa e oggi, a volte c’è un mese e mezzo di differenza. In alcuni casi è anche positivo: ci permette di fare vini più freschi. Il Barolo non è più solo il vino da brasato, da grandi occasioni. Può essere più giovane, più accessibile. Ma il clima è davvero un problema serio. Noi stiamo cercando di studiarlo. Per esempio abbiamo acquistato dei terreni più in alto, in un comune che si chiama Cissone. Non vogliamo diventare produttori di Alta Langa, per ora almeno. Vediamo che tante aziende si stanno spostando verso le bollicine, noi invece vendiamo Champagne. A Cissone vogliamo capire se può esserci un futuro per il Nebbiolo».
Intanto, dice Federica, «stiamo anche piantando Chardonnay e Sauvignon Blanc».
Abitare nelle Langhe, oggi, significa anche convivere con un turismo che esplode. «Fino a quindici anni fa, o anche solo dieci, era concentrato su ottobre e novembre. Oggi è continuo, e forse anche troppo. C’è una smania di far conoscere questo territorio a tutti i costi. Penso alla fiera del tartufo. La narrazione va un po’ cambiata. Si parla tanto di numeri, di ingressi, ma poi chi è che davvero si ferma, ordina una bottiglia importante, vive l’esperienza? Nessuno lo dice».
Elementari, medie e liceo classico ad Alba, tre anni di Economia a Torino. Duecento giorni l’anno su e giù per il mondo, con l’America di The Donald come primo mercato estero. «Provo a lavorare, fare bene, ma anche vivere. Non è semplice. Tutti pensano che girare il mondo per il vino sia bellissimo – e lo è, per certi versi – ma è anche molto faticoso. Ti toglie tempo, energie, salute. Anche mio padre, alla fine, ha dato tantissimo all’azienda, più che alla famiglia. Io voglio cercare un altro bilanciamento, ma ci sto ancora provando».
Anche perché alla fine, si torna qui, a casa. La grande statua di Valerio Berruti, il Duomo, il campo da pallavolo proprio sotto la sede dell’azienda. «Alla domenica esco per passeggiare, e mi dico sempre che siamo fortunati. In dieci minuti sei immersa nelle colline, con un’aria pulita. Cammino e dico: domani parto, faccio la valigia. Ma spero di tornare presto. Sempre».