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 2025  aprile 19 Sabato calendario

Il 25 aprile di Massimo Salvadori: “Quel soldato americano con il sacco pieno di dolci”

«Ero all’orfanotrofio valdese insieme a mio fratello e ad altri due bambini. Eravamo gli unici rimasti. Ricordo frammenti di discorsi tra gli adulti, gli insegnanti che facevano crocchio fra loro. Così, ascoltando mezze frasi, capii che c’era stata un’insurrezione e che i fascisti se n’erano andati». La Liberazione vista da Pomaretto, frazione di Perosa Argentina, sono refoli di fiato. Parole riferite, in bilico tra il detto e il non detto, ancor più criptiche se quel 25 aprile del 1945 hai appena otto anni. Da allora di anni ne sono trascorsi altri ottanta e il bambino di ieri è oggi uno degli storici più importanti del nostro Paese. Massimo L. Salvadori è tornato su quell’epoca buia nel suo ultimo libro “L’antifascista. Giacomo Matteotti, l’uomo del coraggio, cent’anni dopo (1924-2024)”, edito da Donzelli. Il docente ricorda quegli attimi affacciati sul futuro, in cui tutto pareva possibile. «Mai nome fu più calzante: Liberazione. Davvero in quei giorni si provava un magnifico senso di risveglio».
Fin lì come si era vissuto?
«Con i nazisti in casa e nella miseria più nera. Nel convitto di Torre Pellice mangiavamo quello che passava il convento. Al posto del sale c’era una fiasca d’acqua salmastra, mancava il pane e si usava quello di riso. Era duro come pietra, se non lo si consumava appena sfornato».
E la carne?
«C’era solo quella dei porcellini d’India. Lei non può avere idea di quanto viscida e disgustosa fosse. Ne ho un ricordo orribile, a pensarci ancora mi si accappona la pelle».

Da quanto erano iniziate le occupazioni tedesche?
«Da dopo l’8 settembre. Fu il periodo più cupo e buio di tutto il conflitto».
Com’erano i nazisti con voi bambini?
«Gentilissimi. Ci avevano persino costruito con il cemento una stupenda pista per le birille».
E i repubblichini?
«Quella è un’altra storia. I brigatisti neri erano di uno squallore indicibile. Un giorno uno di loro ci si avvicinò, ci mostrò il cadavere di un partigiano crivellato di corpi e ci disse: “Vedete, bambini? Così finiscono tutti i nemici di Mussolini”. La banalità, l’idiozia del male».
E quando arrivò la Liberazione?
«Ci sembrò di sognare. Avevamo la sensazione che stesse cambiando il mondo come l’avevamo fin lì conosciuto. Era un sentimento di gioia diffusa, la fine di un incubo, di una tragedia epocale costellata di vittime».
Che ricordi ha degli americani?
«Quando arrivarono ci parvero alieni. Molti avevano la pelle nera, che nessuno di noi aveva mai visto prima. Uno di loro ci si avvicina con una cesta piena di dolci e inizia a distribuirli. Per la prima volta nella mia vita mangiai un pezzo di cioccolata. L’universo era cambiato di colpo».
Il sangue era finito.
«Non tutto. Quello fu anche il momento delle vendette. Una volta vedemmo arrivare una camionetta da cui scesero tre partigiani. Entrarono in una casa e poco dopo uscirono trascinando a terra i due vecchi genitori di un tale, accusato di essere una spia fascista. I due poveretti invocavano pietà, il capo partigiano rispose: “Pietà l’è morta” e li falciò con una raffica di mitra. Purtroppo era inevitabile, dopo tempi come quelli che erano appena finiti».
Un recente sondaggio Swg ha raccolto dati shock: il 52% degli under 34 italiani sarebbe favorevole a una svolta autoritaria. Tutto quel dolore è stato inutile?
«La verità è che le democrazie liberali sono in una crisi profonda, è venuta meno persino la loro grammatica. Nei momenti d’incertezza, di indebolimento delle istituzioni emerge sempre il desiderio di autorità. Alle elezioni l’unico obiettivo delle élite politiche è di uscirne legittimate dal popolo, poi l’elemento democratico si attenua, a volte sparisce».
Intanto l’Europa si sta armando, come allora.
«Nella Storia è sempre difficile fare previsioni, quasi sempre smentite dai fatti. Ma questa mi sento di azzardarla: l’unico risultato del riarmo europeo sarà il riarmo di un solo Paese, la Germania. Come allora, appunto. Ce n’è abbastanza per essere preoccupati».