il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2025
Intervista a Faso
L’anomalia c’è: non sta di lato. In disparte. Da spettatore privilegiato. Non è un rimediato, della serie: chi non suona bene la chitarra, “gli viene rifilato il basso”.
“Io il basso l’ho trovato in una casa, nella soffitta di mio zio mentre gli davo una mano per svuotarla; (silenzio). In realtà ho trovato una custodia rigida, piena, e prima di aprirla sognavo ci fosse una chitarra. Quando ho scovato il basso la reazione è stata quella di un interminabile ‘nooooo’”.
Nicola Fasani, alias Faso, quell’interminabile “no” lo ha tramutato in una nota lunga quarant’anni: da tanto è il bassista-protagonista di Elio e le Storie Tese, oramai una delle band più longeve, con più successi e certezze; con brani diventati iconici, outfit da copertina; la certezza, conquistata negli anni, che strappare una risata è una cosa seria, serissima. E loro sono seri, anzi serissimi, musicisti di rara bravura (“in questi anni in molti ci hanno sottovalutato”).
Lui, Faso, il 7 aprile ha compiuto 60 anni “e un po’ mi spaventano”.
Cresciuto negli anni 80, la Milano da bere, quella dei paninari.
(Ride) Io? Ma se da trent’anni porto solo jeans scampanati, anni 70. All’epoca non andavo in piazza San Babila, piuttosto suonavo con il gruppo.
Voi Elii mantenete da sempre uno stile da amici.
In sottomultipli ci frequentiamo anche fuori dalla band; ricordo la sorpresa di Paola Folli (cantante e corista, ndr) quando è entrata a far parte del gruppo…
Su cosa?
Perché con noi, in fase di prove, qualunque idea manifestata poi viene provata. Qualunque. Anche la più folle, in apparenza.
Chi era lei prima degli Elii?
Un ragazzo che andava allo Scientifico, abbastanza bravo, anche se ribelle.
Lei ribelle?
Bocciato in quarta perché avevo attaccato un professore: utilizzava gli studenti come cavie, sperimentava dei sistemi docimologici, nonostante avesse creato degli scompigli; poi assegnava voti altissimi alle ragazze più carine; ai maschi no.
E lei?
A fine anno gli espressi in maniera articolata il mio pensiero. Bocciato. L’anno dopo tornai appositamente nella stessa sezione.
Perché?
Per guardarlo tutto il tempo.
Grinta.
Sono puzzone.
Attività politica?
Vivevo già di contrasti strani.
Traduzione?
Ricordo un giorno a scuola, con professori e alunni di sinistra che indicavano la strada: “Ci sono quelli del Fronte del Gioventù che stanno volantinando: dobbiamo scendere e dargli delle sprangate”. E io: “Non è un atteggiamento un po’ fascista?”.
Torniamo agli Elii…
Sono quarant’anni, sì.
Ci avrebbe scommesso?
Impossibile, di solito le band durano pochissimo, spesso per i soliti progetti solisti; (pausa) noi abbiamo un regolamento: si può pensare da soli anche dentro la band. Quindi non ci si rompe i maroni; comunque sono fortunato.
Nello specifico.
Ero iscritto a Filosofia quando, dopo dieci esami, sono entrato in studio per il primo disco. Lì ho pensato: “Posso fare questo nella vita”. Eppure sono autodidatta.
È un problema?
Non mi sono mai trovato in situazioni di imbarazzo: in Italia è diverso che negli Stati Uniti, lì è necessario saper leggere la musica.
Com’è entrato a far parte degli Elii?
Mentre studiavo, un amico mi chiama: “Ci serve un bassista e secondo me sei quello giusto”. Il mio amico era Rocco Tanica (anche lui nel gruppo, ndr), e per questo lo ringrazierò per sempre: mi ha cambiato la vita.
Da quando?
Da subito; il punto chiave è stato il primo disco nel 1989, quando ho deciso di lasciare gli studi.
È uno dei pochi bassisti riconosciuto.
Mi sono fatto notare.
Il successo?
Forse dopo il Festival di Sanremo del 1996: c’è stato il consolidamento con il pubblico più vario; anche se per me la sensazione di figata c’è stata nel 1992, dopo l’uscita del secondo disco…
Perché?
Nel primo disco ci sono brani che noi già suonavamo nei locali, quindi rodati, conosciuti dal nostro pubblico; con il secondo li avevamo scritti in casa e mai suonati, senza feedback. Al momento dei “conti” ci siamo accorti che eravamo diventati una band vera, con un’identità.
Il successo spesso cambia le persone.
Effetti collaterali tipo tirarsela o avere la security? Non sono per me; (cambia tono) per il concerto al Forum di Milano sono arrivato in Vespa, con lo strumento incastrato davanti. Chi mi ha visto è scoppiato a ridere.
Bene.
Non ho un assistente o un manager.
Ri-bene.
Poi da una vita mi incontrano sui campi da baseball.
È stato squalificato.
All’antidoping.
Malissimo.
Per cannabis.
Non si fa.
La cosa fa abbastanza ridere: uno sport basato sui riflessi, sulle reazioni, figurati se uno fuma per migliorare le prestazioni.
Quindi?
Magari uno se l’accende quando veste i panni dell’artista rock, poi ne resta traccia.
Risultato?
Ho preso sei mesi di squalifica, quando i calciatori sotto nandrolone giocano. Mi sono girate le palle.
Il baseball, come mai?
Una mattina vado con Elio e un gruppo di amici al Parco Lambro a giocare, giusto per provare. Ci piace tantissimo. Poco tempo dopo, tornavo da una partita, mi investono mentre ero in moto. Sei mesi di gesso, uno di ospedale. Da fermo sono stato assalito da una voglia mai provata di usare il mio corpo: una volta uscito ho fondato una squadra. Credo di essere stato il presidente più giovane della storia: avevo 23 anni.
Quanti iscritti?
Oggi la società ha cinque squadre.
Ha smesso con le canne?
Ho sessant’anni.
Sul palco sotto effetto canna, non è peggio?
(Ride) Dipende.
Il professionismo non lo consente.
Ho un po’ di amici musicisti che vivono il palco come uno sbattimento.
Il suo amico Rocco Tanica lo vive malissimo.
Infatti ha voluto smettere. Ma lui è sempre stato così.
Insomma…
I musicisti sotto sbattimento magari bevono vino, o cercano di alleggerire con un cocktail. Io se fumo prima di suonare posso commettere qualche errore in più, però m’invento qualcosa di diverso.
Ha rimorchiato dal palco?
Qualcosa, in generale ho rifuggito le fan scatenate: non amo il sorriso e poi deve succedere qualcosa; preferisco il sorriso, poi ci sentiamo e ci rivediamo.
Saggio.
Non ti possono amare solo perché stai su un palco.
Le dispiace non essere un frontman?
Chi suona il basso fa una scelta precisa.
Quale?
Di accompagnare tutti e per tutta la vita; il bassista non è neanche un chitarrista che a un certo punto piazza l’assolo e dimostra il suo ego.
Il suo, di ego?
Non è così sopito, ma se ti fai prendere da lui è un problema.
Capitolo Sanremo: spesso si racconta della sofferenza prima del palco.
E spesso mi sono domandato perché in così tanti mantengono quell’espressione grave, come se tutto fosse fondamentale. Come cantava Bennato: sono solo canzonette.
Si giocano la vita.
Esagerazioni anche durante le prove.
Esempio.
Un anno abbiamo presentato il dopofestival. Raggiungiamo uno dei giovani in concorso per invitarlo. E lui: “No ragazzi, mi dispiace, ma il mio brano è molto serio e non mi sembra il caso di ridere e scherzare con voi. Mi sto creando un’immagine di un certo spessore”.
Siete stati sottovalutati?
Certo: se il tuo testo non è impegnato, significa che è una sciocchezza.
Avete ricevuto dei “no” per delle collaborazioni?
Tanti anni fa abbiamo provato a coinvolgere Stewart Copeland in un pezzo. Ci fece rispondere dal manager: “Se mi volete perché avete un brano nel mio stile, volentieri e poi parliamo di soldi. Se mi volete anche se non è nel mio stile, ma solo per il mio nome, allora no”.
Serio.
No, bellissimo.
Ci sarà un “invece”…
Dovevamo salire sul palco per le prove e dopo di noi toccava a Santana. Chiediamo al manager italiano se potevamo coinvolgerlo: “No, non se ne parla, è stanchissimo”. Arriviamo lo stesso a lui. Che risponde: “Li ascolto, poi vediamo”. Iniziamo a suonare, poco dopo sale lui, attacca la chitarra ed è stato magnifico.
Semplice.
C’è una regola molto semplice che molti fingono di non conoscere o ricordare: ai musicisti piace la musica; Cesario (altro membro degli Elii, ndr) ci ha duettato sul finale di Tapparelle e prima avevo suonato in Oye como va.
Elio e le Storie Tese sono celebri anche per le citazioni.
In un brano del primo disco abbiamo campionato il “tooooo” iniziale della sigla della Warner Bros, realizzato con la chitarra hawaiana. Preso da solo è irriconoscibile. Eppure è arrivata la loro lettera…
Bel guaio.
Noi atterriti, ma il concetto scritto era: “Per questa volta passa, non provateci più”.
Torniamo agli “invece” della sua vita.
Conoscere Mina, donna simpatica e leggera.
Leggera?
Al tempo frequentavo sua figlia Benedetta. La vado a prendere. Citofono. E scende Mina con in mano una torta: “So che questa sera vi trovate con degli amici: ho preparato questa”. Bello, no?
Torniamo alla musica: Elio ha polemizzato sul troppo uso dell’autotune.
Se viene utilizzato come strumento canoro, mi piace. Se però trasforma una persona che non sa cantare in uno che canta, non mi sta bene.
In questi 40 anni quando ha visto cose che…
Chiudo il cerchio: anni dopo il suo “no” ho suonato con Stewart Copeland, mentre un’altra volta ho avuto il piacere di avere in studio James Taylor; ( poi aggiunge) Tony Hadley e Gianni Morandi.
Nella sua professione ci vuole il fisico?
Credo di aver ereditato da mio padre, ristoratore, un eccellente coefficiente di adattabilità: posso dormire sugli scogli così come su un letto comodo.
Ha dormito sugli scogli?
No, ma su un tetto con le tegole con in testa il casco.
Troppe canne?
Macché, aspettavo l’amico Alex Baroni: erano le due del mattino e avrebbe terminato di cantare alle 4. Ero disperato. Distrutto. Tutti i posti a sedere del locale erano pieni, così esco, vedo la tettoia e mi sdraio. Mi hanno scoperto due ore dopo.
Lei chi è?
(Sospira) Un giovanotto abbastanza spiritoso con passioni accese e infuocate che cerco di coltivare da sempre.