Sette, 18 aprile 2025
Francesca Fagnani: «Sono così e parlo così, so’ romana. Ho tre cani: non li considero figli. La Belva peggiore in casa? Enrico Mentana»
Se per Sanremo ci sono i gruppi di ascolto, per Belve ci sono le serate a tema: con il pubblico che se lo rifa a casa, cena e torta con su la scritta «Che Belva ti senti?» e poi l’intervista alla Belve, con due sgabelli al centro, un’amica o un amico con l’agenda rossa che interroga l’altra/o e tutti gli altri intorno.
Come per ogni programma che si rispetti crescono i fan e i critici, crescono i post sui social e fiorisce la fenomenologia sulla sua conduttrice, Francesca Fagnani. Nato nel 2018 Belve che prima è stato sul Nove poi su Rai 2, torna ora in campo con la 12esima edizione, 5 puntate dal 22 aprile con uno spin off, una puntata extra sull’altra passione di Fagnani, la devianza (su cui ha scritto anche il libro Mala. Roma criminale). Gli ospiti della prima puntata sono Sabrina Impacciatore, Nathalie Guetta e Marcel Jacobs.
La trasmissione intriga forse perché esce dal rito dell’intervista legata al libro o allo spettacolo, ma va a caccia di Belve, (titolo mitologico suggerito a Fagnani dall’autrice tv Irene Ghergo), e che secondo Fagnani sono le donne – e qualche uomo – che hanno il coraggio di essere se stesse, «mai gregarie, e che hanno successo, o sbagliano, per merito loro». Qualcuno ha cercato di capire che gioco è quello di Fagnani rigirandole una delle domande ritornanti del programma con “Che belva si sente”, lei ha risposto un jack russell, il cagnetto che non molla: ma non risolve. E allora andiamo a esplorare.
Ultimamente qualcuno dice la che la belva Fagnani si è evoluta. Lei come si sente, ammansita o imbelvita, per la prossima tornata?
«Sarò sempre la stessa. In realtà quello che cambia rispetto all’inizio è che oggi chi arriva a Belve conosce il programma e quindi si presenta con uno spirito predisposto al programma. Quindi quello che è cambiato è l’atteggiamento dell’intervistato».
Più pronti a mettersi in gioco, quindi.
«È un gioco psicologico perché io studio il personaggio, la sua vita pubblica e privata alla fine dell’intervista molti mi dicono che è sembrata una seduta dallo psicologo, perché comunque è un viaggio dentro alla vita della persona, è un ritratto».
Ma lei non va a caccia del tema a effetto, da lanciare sui social?
«No, non mi interessa sapere quella cosa precisa, anche se magari è un personaggio che gode in quel momento di particolare attualità, per me non è quella la domanda. È un arco narrativo, è un attraversamento della vita, delle contraddizioni, delle ombre e delle luci, del personaggio, per questo dico che è un gioco psicologico».
Aldo Grasso ha detto che lei è intervist-attrice:
«Io partecipo pienamente, sono due sgabelli….»
Magari non recita, ma sta al gioco.
«Ma io sono così, io mi sento più giornalista che attrice, sono quella, quello è il mio modo di essere, di certo è un programma che è totalmente cucito addosso a me. E quindi è un programma dove emerge la mia personalità, non sono neutra: ma attrice no».
Si parla di Fenomenologia Fagnani, molti ci han provato: i silenzi, le pause, gli ehmm, le faccette. Ci si ritrova?
«Oddio esiste questa fenomenologia? Mi dispiacerebbe per gli altri. Penso che la forza di ogni programma è se tu riesci a imprimere la tua personalità. Infatti quando ogni tanto i giornalisti mi dicono ti faccio un’ intervista alla Fagnani, io rispondo: Guarda se tu la fai a tuo modo, con la tua personalità, riesce molto meglio. Io cerco sempre di non fare quello che vedo in giro. Anche se qualcosa mi piace, cerco di non riproporla, perché poi penso che il pubblico ha le antenne sempre ben alzate e quindi in generale se uno fa le cose assecondando la propria personalità, ha più chance di riuscire».
Non copiare dunque, ma i modelli ispiratori ci sono, lei ha spesso parlato di Minoli. Ma forse anche Costanzo, così gattone che si metteva lì, in ascolto…
«Magari, sarebbe un complimento immenso. Riusciva a chiedere qualsiasi cosa con ironia, con lui nessuno si offendeva perché era spontaneo: la spontaneità, quindi mettersi in gioco, passa sempre: il suo era un modello di ironia, perché se tu chiedi con misto ironia e gentilezza, è difficile resistere. E poi quella lucetta rossa della tv è uno specchio: se sei simpatico risulterai simpatico, se provi a fare il simpatico e non lo sei, risulterai uno che prova a fare il simpatico, devi essere un grande attore per sembrare quello che non sei».
Dice le domande prima, si mette d’accordo sui temi?
«Ma sta scherzando? Non avrebbe avuto il successo che ha avuto. Diventerebbe una recita. Può essere capitato che ci siamo sentite al telefono, ma in generale, mai anticipata una domanda a nessuno, non una delle 100 che faccio. Le ho chiesto di che avremmo parlato per questa intervista? Non l’avrei mai fatto. È mancanza di rispetto verso chi hai davanti: anche perché, siccome l’intervista non è un’aula di Tribunale e l’intervistatore non è un magistrato, l’altro è libero di non rispondere. E poi lo sguardo, la risata o l’espressione di disagio o di sorpresa che l’intervistato fa quando arriva la domanda inaspettata, tutto quello non lo puoi prevedere».
E ce lo perderemmo, tutto questo, comprese le sue faccette.
«Ma io sono così e parlo così, so’ romana».
Ecco veniamo al romanesco: le piace Pilar Fogliati?
«Follemente, sono una grande fan, è bravissima».
Ma lei che accento ha?
«Ma non esiste, è un’invenzione artistica di Pilar… comunque io non nasco nella parte nobile di Roma perché sono di Roma Sud, infatti quando vengono in trasmissione i romani, chiedo sempre Ma lei è di Roma Nord o di Roma Sud?, per capire se hanno avuto un’adolescenza nel circoletto più fighetto dei pariolini oppure in quello più wild di Roma Sud. Che è una linea di confine che i romani non superano».
Come si prepara?
«Studio tutto quello che posso studiare del personaggio e studio molto di più di quello che chiedo, perchè poi mi consente di andare a destra e a sinistra durante l’intervista. Se tu studi più di quello che chiedi, puoi cambiare traccia, altrimenti è complicato improvvisare».
Deve essere una gran secchiona. Si informa anche in giro?
«Ma secchiona lo sono sempre stata. Per il resto, mi capita di chiedere, ma chiedo solo aspetti più bonari, perché non mi va di mettere le persone in difficoltà».
Ma non era una Belva?
«Non mi piace rendere delatore di una cosa negativa un altro; però se conosco i suoi amici, chiedo: Mi racconti un aneddoto simpatico, inedito».
Usa l’intelligenza artificiale?
«No, ho provato una volta e mi sono trovata con date sbagliate, non mi attira: la guardo con curiosità per le evoluzioni in campo scientifico e medico, ma in campo artistico no».
Poi trascrive tutto sulla famosa agenda rossa.
«Per me è un feticcio, sono una scaramantica, l’agenda è sempre la stessa: le graffette nascono perché io mi scrivo l’intervista al computer, poi la stampo, ritaglio i fogli e li metto dentro con le domande, se no dovrei cambiare sempre agenda, perché mi finirebbe minimo in una stagione».
E allora?
«Allora l’agenda è sempre la stessa da anni ed è ancora tutta bianca, salvo che l’ho dovuta cambiare perché me l’hanno rubata una volta in studio, cambiano solo i corpi dei caratteri che con gli anni diventano sempre più larghi… mi scrivo tante domande, possono essere 85 o 106, siccome come si diceva non ho capacità attoriali e non mi piace imparare a memoria: anche quando ho fatto un monologo a Sanremo, non ho voluto il gobbo che non non so usare, io scrivo, sono una giornalista e ho bisogno di leggere i miei fogli».
A Natale si è allargata la famiglia canina, con l’arrivo di Blu, terzo Cavalier King dopo Nina e Bice. I cani sostituti dei figli?
«I cani li ho avuti da sempre, fin da bambina, amo gli animali e la natura. Non sono sostituti dei figli, ma è un tipo di affettività piena. Non mi piace pensare a nessuno come sostituto di un altro né di un animale né uomo, però ripeto, è un tipo di affettività completa. E hanno un vantaggio, i cani non diventano adolescenti ingrati».
Cinque belve in casa, ora. Qual è la peggiore?
«La metterei così: siccome per me dare a qualcuno della Belva è un complimento, e i complimenti uno non se li fa da solo, le direi Enrico (Mentana, ndr). Sto cercando di instillare nell’ultimo arrivato Blu, che è un maschio, un amore esagerato nei miei confronti e utilizzo tutti i mezzucci perché si innamori di me».
Facciamo lo zoo ideale: le interviste migliori fra quelle già fatte e quelle da fare.
«Carla Bruni e sua sorella Valeria Bruni Tedeschi, stupenda; poi Valeria Golino ma anche Flavia Vento, Emma Bonino e Jovanotti, per la generosità. E nel mondo mi piacerebbe una che non intervisterò mai, come Angela Merkel, un viaggio nel suo privato di donna di potere che ha pagato un prezzo, e che ha comandato l’Europa mi attrae molto. In Italia, proprio perché sono sua grande fan, mi piacerebbe Maria De Filippi, una donna che da vent’anni, forse di più, sa intercettare il gusto delle persone: perchè chi fa il 30 per cento ancora oggi, con un pubblico disperso su mille reti e mille piattaforme, vuol dire che sa capire qualcosa in più delle persone. E nella conduzione fa quello che non fa nessun conduttore, sa giocare in sottrazione su sé stessa».
Adesso c’è lo spin off. Teresa Ciabatti ha scritto proprio su 7 che lei affronta questo mondo con lo stesso sguardo, «né giudicante né indulgente». Una nuova Leosini?
«Non ho questa ambizione, lo farò con i miei mezzi e con la mia personalità, quello che mi interessa è anche lì fare un attraversamento, un viaggio nel prima nel durante e anche nel dopo di chi si è trovato nella vita a compiere un reato, di chi sbaglia; potrebbero esserci cold case, come casi più attuali. Cerco di avere un approccio mai giudicante perché ho fiducia nei lettori come negli spettatori: metto sul tavolo tutte le carte a disposizione per consentire una lettura alle persone».
Ma lei da piccola era delinquentina?
«Ma no, come si fa a pensare alla cattiveria di un bambino? Ero normale, anche se mia madre mi chiamava Faccia d’angelo. Poi la mia vita da inviata mi ha fatto appassionare anche a un’umanità più dolente, un mondo dove alcuni nascono per male, ma dove la maggior parte delle persone non nascono per male, dipende dal contesto: per questo voglio indagare quelle ragioni senza avere un approccio giudicante, perché sei già in posizione privilegiata e il tuo giudizio te lo devi tenere».