corriere.it, 18 aprile 2025
Intervista a Ghemon
Gianluca o Ghemon?
«Negli ultimi anni nella mia vita c’è stato più Gianluca che Ghemon».
Un paio di anni fa – dopo due Sanremo, tante buone critiche musicali, due dischi d’oro – hai deciso di lasciare la musica e ti sei messo a fare lo stand-up comedian.
«Sono un po’ pazzo, lo so».
Perché?
«Tra una canzone e l’altra, nei miei concerti, dicevo così tante cavolate che qualche volta non riuscivo a capire se ero un cantante o un comico. Così a un certo punto ho deciso di fare il comico».
Il problema è che tu nelle canzoni eri tutt’altro che comico. «Vissero feriti e contenti» sembra una favola triste.
Dai.
«Ma sì, sono cresciuto in una famiglia di Avellino, a casa mia il melodramma era la normalità. Mia mamma, per esempio, passa le giornate a mandarmi foto su Whatsapp: modelli di pettinature che secondo lei dovrei imitare».
Nel tuo libro, uscito per Rizzoli, parli anche di tuo nonno.
«Lui sì che faceva ridere. Una volta tornò a casa e trovò la donna delle pulizie in lacrime: era successo che mia nonna, per non sfigurare, aveva già pulito tutto così la povera signora non aveva trovato niente da fare».
Perché hai intitolato il libro «Nessuno è una cosa sola»?
«Perché è una riflessione un po’ seria e un po’ no, su quello che sto diventando. A 43 anni, dopo una scelta così radicale di cambiare mestiere, passando dal cantante – rap, hip hop, r&b – al comico, qualche cosa l’ho imparata».
Per esempio, che il difficile è cominciare.
«Mi ricordo la prima volta che sono salito su un palco per far ridere. È una delle cose più complicate, però mi ha insegnato ad abbracciare l’errore. Una battuta si lascia dietro il gelo? Pazienza, ci lavoro. Ad ascoltarmi ci sono solo dieci persone? Pazienza, ci lavoro. Un giorno ho meno energie? Pazienza, ci lavoro».
La depressione. Ti va di parlarne?
«Certo, è il mio terzo disco d’oro».
Perché?
«Perché parlarne porta ascolti, traffico. Ci convivo, ci sono stati periodi in cui prendevo anche quattro farmaci diversi al giorno. Quando Fedez confessò di prenderne sette, non mi sono meravigliato. Per fortuna ho avuto un medico bravo che poco per volta mi ha portato a non prendere più farmaci, ma applico un metodo preciso di comportamento».
Quale?
«Mai trascurarsi, mai mangiare in modo disordinato, svegliarsi relativamente presto, rispettare ritmi e orari, fare attività fisica. Sai che ho cominciato a correre?»
Maratona?
«Sì, e ho cominciato a quarant’anni. Una volta mi trovavo di fronte alla prospettiva di tre ore di corsa davanti, davvero estenuante. Il mio cervello ha cominciato a mandare messaggi sconfortanti, “non ce la farai”, diceva. Gli ho urlato letteralmente di andare fuori dalle balle».
Raccontami di una volta in cui hai rischiato la vita.
«Anni fa, in piena carriera musicale. Non mi accorgevo dei livelli di stress che salivano in modo vertiginoso. Prendo un aereo, mi sento male, svengo. Atterraggio di emergenza a Capodichino, ospedale. Terapia intensiva, intubato per due giorni. Una pericardite non diagnosticata, ma anche in quella circostanza ho trovato il modo di riderci su».
Come?
«In volo le hostess notarono che parlavo con la bocca storta. Con un filo di voce dissi: “Ma no, noi del rap parliamo così”».
Nel libro scrivi che preferisci Massimo Ranieri a Vasco Rossi.
«Contestualizziamo: Vasco è unico, però Ranieri sa cantare, presentare, recitare. Il mio mito è un artista completo, però devo diventare più vecchio per essere riconosciuto tale. Personaggi come Ranieri, per la gente e per la critica, devono passare attraverso tre fasi: confuso, versatile, completo».
Tu a che punto sei?
«Versatile. Spero».
Sei nato nella stessa città di Gigi Marzullo.
«Lo so».
È la risata che ha scoperto te o sei tu che hai scoperto la risata?
«Marzulleria perfetta. Non lo so. Però so che da ragazzo imitavo i personaggi di Corrado Guzzanti».
Ti ispira?
«Molto. I miei punti di riferimento italiani sono lui, Frassica e Capatonda».
Se ti dico «Elodie» che cosa ti viene in mente?
«Una dea egizia».
Argomentiamo.
«Ci ho lavorato, non è solo bella è anche molto brava. Elodie ha introdotto in Italia una figura di spettacolo più completa: bellezza, bravura, immagine, scioltezza, coraggio».
Se ti dico «Manuel Agnelli»?
«Amicizia».
E Saviano?
«Vorrei tanto incontrarlo».
Fedez e Tony Effe.
«Non penso che loro si pongano come modelli educativi, si può sempre scegliere di non ascoltarli. Penso però che il problema non siano i rapper quanto i valori che rispecchiano. Quello che davvero non sopporto in alcuni testi, in generale, è la misoginia. Di quello si potrebbe benissimo fare a meno».
L’amore.
«Sto da anni con la stessa persona. Si chiama Giulia e il fatto che sia una cosa seria è provato da questo: se dopo tanto tempo non penso a come nasconderle qualcosa ma, al contrario, penso sempre a come farla felice, be’ qualcosa vorrà dire».