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 2025  aprile 18 Venerdì calendario

Thomas Kaplan: “La mia storia con Rembrandt”

«Alla fine, l’ho baciata». No, la donna di cui Thomas Kaplan sta parlando non è in carne e ossa, ma dipinta a olio su tela. Si tratta di uno dei Rembrandt che fanno di questo signore americano sessantenne il più grande collezionista al mondo del maestro olandese: ne ha 17. I musei di Amsterdam – tanto per capire le proporzioni – ne contano appena qualcuno in più: 23.
Presenza da attore – un mix tra Tom Hanks e il Danny Kaye della Hollywood che fu – e battuta pronta, Kaplan cammina tra i suoi tesori. Per ognuno ha un aneddoto; guarda le figure incorniciate come fossero persone di famiglia. «Quello è un pezzo unico» e indica un minuscolo uomo con la barba. «L’opera più piccola di Rembrandt. Apparteneva a Andrew Mellon, segretario al Tesoro degli Stati Uniti, che donò poi i suoi capolavori alla National Gallery di Washington». «Lo vede il Ritratto di Petronella Buys? Il marito è alla National Gallery di Londra. Quell’altra invece è la mia Monna Lisa».
Ed ecco la Minerva, forse il quadro di storia più importante di Rembrandt in mani private: la modella è la moglie Saskia. Fino al 24 agosto i dipinti sono in prestito qui, per i 750 anni della capitale dei Paesi Bassi, all’H’Art Museum, sulle rive del fiume Amstel. Ospizio pubblico dal XVII secolo al 2007, a pochi passi dalla statua di Baruch Spinoza, lo spazio è stato riaperto nel 2009 come satellite dell’Ermitage di San Pietroburgo, per poi rompere ogni legame con la Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina. Sono nate così collaborazioni con le altre istituzioni cittadine, ma anche con il British Museum e il Centre Pompidou e, adesso, con la Leiden Collection, la più vasta raccolta di pittura olandese del Seicento, fondata nel 2003 dal businessman di New York, che ha concesso non solo i suoi 17 Rembrandt, ma anche un’altra sessantina di contemporanei del pittore, tra i 250 che possiede. C’è pure un Vermeer: su 35 che sono rimasti sulla Terra uno è di Kaplan, che ha moltiplicato il patrimonio investendo in una miniera d’argento boliviana. «La fortuna è stata gentile con me. Gli affari mi sono andati bene quando il mondo era instabile».
Mr Kaplan, ma perché un americano fa incetta di Rembrandt e non di artisti contemporanei come tutti i collezionisti, anche in Europa?
«A sei anni, vidi Rembrandt per la prima volta al Metropolitan di New York. Ero troppo piccolo per capirlo, ma qualcosa mi toccò lo stesso. Chiedevo ai miei genitori di tornare al museo ancora e ancora. Poi, quando siamo andati insieme in Europa, ho voluto che mi portassero ad Amsterdam. Ho studiato in Svizzera, quindi ho fatto l’università a Oxford, ma avevo sempre in testa l’Olanda. Sono diventato adulto: Amsterdam diventava attraente anche per altre ragioni (ride), eppure il mio obiettivo restava lo stesso: rivedere Rembrandt».
Perché Rembrandt?
«Perché si tratta del primo pittore universale. Con una sensibilità contemporanea, ha ampliato l’idea di bellezza. Ha rappresentato l’umano con le sue imperfezioni, nei quadri di storia, nei soggetti mitologici e nella vita comune. In quegli episodi della Bibbia ci siamo anche noi. Guardi qui, questa è la sua serva: una donna semplice, avanti con l’età. Rembrandt le restituisce la dignità di una regina. Senza di lui, non avremmo avuto Delacroix, Goya, Turner. Anticipa l’impressionismo e l’espressionismo. Van Gogh ha sicuramente guardato questa signora vestita di nero. E poi Picasso, Freud, Bacon. Nessun pittore ha avuto un’influenza così, attraverso i secoli. La mia missione è quella di far riscoprire Rembrandt al mondo. Devo restituire quello che questo artista mi ha dato sin da quando avevo sei anni».
Lei è un collezionista, però. Gli affari sono affari.
«Ma non sono attaccato agli oggetti. Il solo disegno di Rembrandt che ho acquistato – un leone – andrà all’asta l’anno prossimo per raccogliere fondi a favore dei grandi felini a rischio di estinzione. Apprezzo la bellezza e voglio condividerla. Dalla mia collezione non nascerà mai un museo. Voglio che le opere viaggino. Ho portato Rembrandt anche ad Abu Dhabi e a Pechino. Considero la Leiden Collection come una biblioteca da cui attingere libri in prestito».
Caterina II di Russia è stata la più grande collezionista privata di Rembrandt. E, infatti, quelle opere sono all’Ermitage di San Pietroburgo con cui Amsterdam ha rotto ogni rapporto, in seguito alla guerra in Ucraina. Insomma, dopo la zarina, è arrivato lei…
«Eh, sì. Qualcuno scherza: un mercante d’arte mi ha chiamato Kaplan il Grande (ride ancora). Ma mi considero uno stoico, rileggo Marco Aurelio e penso che anche un imperatore romano non è nulla, rispetto all’universo. Caterina di Russia era insaziabile: acquistava intere collezioni. Spaventava la sua corte con la sua sete di possesso. Io, invece, mi accontento di procedere quadro per quadro. Preferisco le trattative private alle aste».
Come ha cominciato?
«Per caso. Mi sono imbattuto in un piccolo dipinto di Gerrit Dou, allievo di Rembrandt, su rame argentato. L’attribuzione era dubbia a causa del supporto: le opere di Dou che conosciamo sono tutte su legno. Ma io ho fatto fortuna con l’argento e per me quello era un segno. Alla fine ho avuto ragione».
Non le viene mai in mente di comprare un Andy Warhol?
«Un solo Warhol vale almeno due Rembrandt. E non ha senso. Non ne faccio solo una questione di gusto. Esistono migliaia e migliaia di Warhol in giro. Di Rembrandt ce ne sono al massimo 450. In ogni caso, a me interessa la pittura olandese del Seicento e basta. Non ho bisogno di consigli. Vado, guardo e decido».
Che cosa sta inseguendo ancora?
«Un altro dipinto di Carel Fabritius, l’allievo di Rembrandt autore del Cardellino, morto a 32 anni, il più raro dei rari. Una sua opera è il Sacro Graal della storia dell’arte».
Si può accontentare con Vermeer, intanto: lei è anche il solo privato ad averne uno, la “Giovane donna seduta al virginale”.
«Nel 2008, nel pieno della crisi finanziaria dei mutui, Steve Wynn, il re dei casinò e degli alberghi di Las Vegas, stava vendendo alcune delle sue opere, tra cui un autoritratto di Rembrandt. Mi disse: te lo cedo, ma ti devi prendere anche il Vermeer».
Ha accettato il sacrificio.
«Due anni fa abbiamo prestato il Vermeer alla grande mostra del Rijksmuseum di Amsterdam. Eccolo qui. La giovane raffigurata sta suonando, non si sa per chi. Ma sembra di sentire la musica. Vermeer ferma un momento magico per sempre. Lo guardo e ancora mi sorprende che ce l’abbia io».
E Kaplan si ferma per un po’ a contemplare la ragazza dipinta. No, non la bacia come dice di aver fatto con la Donna con la cuffia bianca di Rembrandt. Ma quasi.