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 2025  aprile 18 Venerdì calendario

Un “baby catholic” in Vaticano: JD Vance e le divergenze con papa Francesco

Il primo confronto, a distanza, non è stato dei più felici. Per giustificare la stretta sui migranti impressa dalla Casa Bianca JD Vance ha fatto ricorso niente meno che a Sant’Agostino e al suo ordo amoris, concetto che secondo il vice di Donald Trump indicherebbe una gerarchia di amore da rivolgere prima ai propri concittadini e solo poi agli stranieri. Gli ha risposto papa Francesco in persona, quando, in una irrituale lettera di sostegno ai vescovi statunitensi, schierati contro il giro di vite trumpiano, ha spiegato che il “vero ordo amoris” è “quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del buon Samaritano, meditando cioè sull’amore che costruisce una fraternità aperta a tutti, nessuno escluso”. Divergenza teologica che ricalca una abissale distanza politica e che il vicepresidente degli Stati Uniti potrà misurare da vicino ora che varcherà il portone di Bronzo.
Parolin e, forse, il Papa
Giunto oggi a Roma, Vance dovrebbe essere ricevuto domani in Vaticano dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato. È possibile che durante il suo soggiorno romano il numero due della Casa Bianca venga anche ricevuto brevemente da papa Francesco che, ancora convalescente, ha ripreso però le sue attività. Potrebbe essere domenica, a margine della messa di Pasqua in piazza San Pietro, o in un altro momento, dipenderà dal Papa, come per tutti i suoi appuntamenti di questo frangente, e, se avesse luogo, l’incontro verrebbe comunicato all’ultimo, se non dopo.
Di certo JD Vance viene senza intenti polemici. Già dopo l’incidente di Sant’Agostino il vicepresidente Usa ha adottato un tono conciliatorio, senza per questo retrocedere dalle proprie idee. Intervenendo al National Catholic Prayer Breakfast Vance ha fatto riferimento al fatto di essersi convertito al cattolicesimo di recente, nel 2019, per ammettere: “Riconosco pienamente di essere un baby Catholic (un cattolico alle prime armi, ndr.) se mai mi sentiste pontificare sulla fede cattolica, vi prego di riconoscere che proviene da una profonda convinzione, ma deriva anche da una situazione in cui non so sempre tutto”. Quanto alle politiche migratorie e alle critiche del Papa, “il mio obiettivo qui non è litigare con lui o con qualsiasi altro membro del clero su chi ha ragione e chi ha torto. Ovviamente conoscete le mie opinioni e parlerò loro in modo coerente, perché credo che sia quello che devo fare, perché è ciò che serve al meglio gli interessi del popolo americano”.
Il “Papa woke”
Paradossalmente l’amministrazione Trump ha riavvicinato Jorge Mario Bergoglio e una Chiesa statunitense profondamente divisa al proprio interno tra un cattolicesimo sociale vicino alla sensibilità di Francesco e una tendenza più conservatrice, quando non tradizionalista, che nel Pontefice argentino, e nelle sue aperture sulla morale sessuale, come nella sua mano tesa alla Cina o all’islam mondiale, vede una pericolosa cedevolezza al secolarismo e al relativismo. Nella base trumpiana, ha scritto il Washington Post, c’è chi considera Francesco un “Papa woke”. Lo si è visto quando Trump ha deciso di tagliare gli aiuti per la cooperazione allo sviluppo internazionale, UsAid, e la conferenza episcopale Usa ha criticato apertamente la Casa Bianca: ha risposto Vance, accusando i vescovi di essere mossi non da motivi umanitari ma da interessi economici. Parole “scurrili” e “non vere”, ha replicato, spiazzato, il cardinale di New York Timothy Dolan, che pure non aveva nascosto le sue simpatie per Trump durante la campagna elettorale.
I motivi della divergenza
Quanto a Francesco, i motivi di divergenza con la Casa Bianca di Trump sono svariati, e non sono un mistero per nessuno. Oltre alle politiche migratorie, i tagli agli aiuti per la cooperazione allo sviluppo internazionale UsAid, il disimpegno statunitense dalle politiche di contrasto al cambiamento climatico e più in generale un certo nazionalismo rivendicato da Trump e i continui scossoni della sua amministrazione al sistema multilaterali sono altrettanti motivi di preoccupazione in Vaticano.
Il nodo del multilateralismo
Come ha dichiarato a Repubblica il cardinale Pietro Parolin, “è chiaro che l’approccio dell’attuale Amministrazione USA è molto diverso da quello a cui siamo abituati e, soprattutto in Occidente, da quello su cui abbiamo fatto affidamento per molti anni. La Santa Sede si sforza sempre di mettere la persona umana al centro e sono tante le persone vulnerabili che soffrono enormemente, ad esempio, a causa dei tagli agli aiuti umanitari. Anche quando si avverte la necessità di un cambiamento o di una riforma, agire troppo rapidamente non è sempre nel migliore interesse di coloro che la riforma dovrebbe in ultima analisi aiutare. Nel bene o nel male, il nostro mondo è stato globalizzato e i problemi globali richiedono soluzioni globali, con la partecipazione di tutti gli interessati”.
I nodi Ucraina e Gaza
Sullo scacchiere internazionale, tra la Casa Bianca e il Palazzo Apostolico le convergenze e le divergenze si mescolano. Il Vaticano guarda con favore alla prospettiva che, con il sostegno degli Stati Uniti, si possa giungere alla pace in Ucraina, una pace che, però, deve essere “giusta e duratura”, come sottolinea Parolin, e non può essere “imposta”. C’è molta distanza, invece, sulla partita del Medio Oriente, e in particolare sulla situazione nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, che tiene da mesi in allarme il Papa e i suoi collaboratori. Di certo, però, JD Vance verrà accolto cordialmente in Vaticano: senza nascondere le divergenze, senza che queste precludano la possibilità di dialogare e anche di trovare pragmaticamente motivi di collaborazione. Se servirà, anche chiarendo cosa intendeva Sant’Agostino.