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 2025  aprile 18 Venerdì calendario

Matteo Paolillo: "Vedo una generazione di ragazzi soli Dimentichiamo di aver bisogno degli altri"

Nel mondo della musica i suoi modelli sono Ed Sheeran e Marracash. Il primo perché «ho avuto modo di conoscerlo, è famoso in tutto il mondo ma è rimasto curioso del prossimo, canta in strada con i fan», il secondo perché «nel rap sta portando il modello machista verso un maschile più vulnerabile e rispettoso». Matteo Paolillo, 29 anni, smessi i panni di Edoardo Conte di Mare Fuori è tornato a fare musica. Dopo l’EP Edo – Ultimo Atto, è uscito in digitale il singolo Sotto la pelle, che fonde elementi rap e melodici e segna l’inizio di un nuovo capitolo musicale. Non che abbia intenzione di abbandonare il cinema: l’8 maggio incontrerà il pubblico del Riviera International Film Festival e più avanti sarà nel film Io+Te di Valentina De Amicis.
I temi che le stanno più a cuore sono?
«Come la nostra generazione stia vivendo la ricerca di un proprio posto nel mondo, la crisi dei trent’anni, la mancanza di sicurezze e la difficoltà di costruirsi un percorso, ma anche l’individualismo, la ricerca di una carriera che sacrifica altri lati della vita, la tecnologia che influenza i comportamenti, il narcisismo e l’esaltazione dell’ego dilaganti».
Come sta messo lei a narcisismo?
«Stare sul palco mi è sempre piaciuto, in scena non soffro lo stare al centro dell’attenzione, fuori dai riflettori lo soffro eccome. La popolarità mette nella condizione di trovare un equilibrio tra il rischio di narcisismo smisurato e il soffrire la sindrome dell’impostore. Quando arriva il successo è complicato realizzare quello che accade, ti chiedi perché stia succedendo a te, anche se conosci bene il percorso che hai fatto. Oggi realizzo che essere popolare mi ha dato più possibilità di crescita artistica, ma non ho mai fatto né farò mai del successo l’obiettivo della mia vita».
Sotto la pelle parla di individualismo, ma anche d’amore.
«Oggi l’amore spesso è esaltazione dell’ego. L’altro mi fa accettare di più me stesso, invece nell’amore dovrebbe essere importante mostrare le proprie vulnerabilità e crescere con l’altro. Solo attraverso l’altro posso comprendermi, l’ho imparato facendo l’attore».

Ha detto addio per sempre a Mare Fuori o tornerà, magari nel film su Rosa Ricci?
«L’addio è definitivo. Ho dato al personaggio tutto quello che potevo, ma auguro il meglio a Maria Esposito, a cui voglio profondamente bene, la considero mia sorella».
Il suo Conte era un ragazzo di malavita che aderiva a codici comportamentali del tutto diversi da quelli del suo personaggio in Io+Te. C’è bisogno di modelli maschili lontani dallo stereotipo machista?
«C’è bisogno eccome, è la mia missione da artista. I ragazzi devono potersi ritrovare in modelli di maschile diversi, e sentirsi liberi di essere se stessi nel modo più autentico. Nel mio Sotto la pelle parlo del contrasto tra girasoli, lampi e tuoni, perché ci alterniamo tra mostrare la nostra fragilità e nasconderci dietro maschere di indifferenza, come se non sentissimo di avere il diritto di mostrarci come siamo. Cioè vulnerabili, insicuri».
Porterà al cinema il poco esplorato tema dell’infertilità maschile.
«Se ne parla ancora poco, noi uomini ci controlliamo meno da quel punto di vista. Mentre giravo il film mi sono chiesto come cambierebbe la mia vita se non fossi fertile, prima non mi ero mai posto questa domanda».
Qualcuno le direbbe che è troppo giovane per porsela.
«Sono alla soglia dei 30 anni. Vivo un periodo di crescita, di scoperta di nuove cose, ma anche di maturità. I primi 29 anni non sono andati male, ma se mi guardo intorno vedo una generazione di ragazzi soli, influenzati nella ricerca del proprio successo personale a tutti i costi per poi finire per scordarsi qualsiasi altra cosa».
Ad esempio?
«La collaborazione, l’ispirarsi a vicenda, l’empatia. Ci dimentichiamo che abbiamo bisogno degli altri per crescere».