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 2025  aprile 18 Venerdì calendario

A Roma, l’orgia del potere

Non serve aver amato la prima scena di Basic Instinct per percepire la funzione eccitante di superfici riflettenti nell’alcova: un precedente lo offrono gli specchi deformanti con cui un romano di nome Ostio Quadra foderava le sue pareti, così da poter meglio ammirare le doti e le gesta amorose dei suoi partner durante le orge, pervertendo la funzione del vetro dal “conosci te stesso” all’oscena contemplazione del vizio. Ostio è uno degli eroi del libretto che Francesca Romana Berno, latinista sobria e rigorosa, dedica a un termine familiare a chi ricordi la trasgressiva ex-deputata Vladimir, o la serie migliore della maison Dorcel: Luxuria, apprendiamo, si è specializzato in ambito erotico solo in età cristiana, quando Gregorio Magno lo consacra come vizio capitale (emblematica già nel IV secolo la lotta tra Sobrietas e Luxuria nella Psicomachia di Prudenzio, dove la seconda ha al suo servizio Amore, Grazia, Voluttà, Ostentazione). Il senso originario del termine non attiene solo alla camera da letto, ma a ogni tipo di eccesso che viola le leggi di natura, induce desiderio incontenibile e ossessivo, e dopo una breve soddisfazione sfianca nella ricerca di un parossismo sempre più acuto, quando non nella nausea accidiosa della sazietà, il temibile koros dei Greci. Questo desiderio può riguardare il sesso, il cibo, il denaro, ed è spesso legato a una dimensione sociale: da Lucullo a Cleopatra a Trimalcione, i banchetti smisurati con carne di gru o cibi esotici, farciti o colorati fino a renderli irriconoscibili, esulano completamente dalla necessità fisiologica del nutrirsi e servono invece a esibire favolose ricchezze inalberando una vera e propria cultura dello spreco, proprio come le opime mense dei magnati indiani o statunitensi che vengono a sposarsi a Venezia (il povero Elio Tuberone, che accomodava gli ospiti su sobri sgabelli in pelle di capra, ebbe in politica scarsa fortuna).
In una sarcastica satira di Persio Luxuria e Avaritia (Avidità) si contendono un giovane nobile: ma i due vizi andavano spesso a braccetto. Caligola amava rotolarsi nelle monete d’oro come zio Paperone, e come Cleopatra sorbiva con voluttà preziosissime perle sciolte nell’aceto; faceva anche costruire navi tempestate di gemme e dotate di vele cangianti e terme e portici all’interno (le nostre navi da crociera?), mentre dal canto suo Nerone organizzava naumachie in anfiteatro e inaugurava con la Domus Aurea un microcosmo capace di contenere ogni cosa, dalle statue colossali al cielo sul soffitto girevole. Per non parlare della hybris architettonica e geologica (tagliare l’Istmo di Corinto, gettare un ponte di barche tra Baia e Pozzuoli), che non cessa di trovare epigoni, dalle piste da sci in riva al mare ai grattacieli condizionati nel deserto. Sono proprio Nerone e Caligola a incarnare quella perfetta sovrapposizione tra luxuria e superbia che caratterizza il potere autocratico fuori controllo, e che non arretra dinanzi a nulla: gli incesti con le sorelle, l’uccisione della madre, le condanne a morte per futili motivi eseguite con efferatezza… Come già per i Greci, che amavano il metron, la misura, e guardavano con sospetto le ricchezze della Lidia o la megalomania del re di Persia, anche per i Romani è l’Oriente il luogo d’origine di mollezze e stravizi – ma paradossalmente proprio l’Oriente greco, i cui valori vigono nella Magna Grecia di Sibari e Capua: è l’ellenofobia della classe dirigente alla Catone il Censore (il “buon tempo antico” in cui i senatori “pascolavano il gregge”) a generare i ripetuti tentativi di porre un freno agli eccessi, per esempio tramite le leggi suntuarie contro il lusso delle donne. E in questo, la capitale delle tentazioni irresistibili è la città di Baia nei Campi Flegrei con le sue ville sfarzose, le orge di Clodia (la Lesbia di Catullo), le feste che tengono Cinzia lontana da Properzio, i piaceri senza posa di Servilio Vazia, e gli ardimenti che sconvolgono l’ordine delle cose: banchetti sull’acqua, laghi che si fanno terra, piscine riscaldate d’inverno, adulterî senza freno, notti artificialmente illuminate a giorno, nottambuli che dormono all’alba fuggendo la luce della ragione e della virtù…
Il libro di Berno discute con competenza esempi spassosi senza indugiare nei dibattiti storiografici sull’attendibilità di certe fonti (per esempio la “riabilitazione” di Tiberio o Nerone): la prospettiva è quella della filosofia morale, degli scrittori romani che ragionano per exempla, da Sallustio a Tacito. L’autore cruciale è dunque Seneca, il più importante moralista dell’antichità, pronto a discutere e confutare Mecenate per il suo stile effeminato come Ostio Quadra per la sua lascivia ferina: accusato lui stesso di incoerenza per le ricchezze, le intemperanze, il potere di cui godette sotto Nerone, Seneca controbatté in un famoso passo del De vita beata. Ma i suoi richiami contro la luxuria “male inguaribile” non riescono a scacciare dalla nostra mente Lollia Paolina che arriva a un pranzo vestita di sole perle e smeraldi (un Calvin Klein ante litteram?), né i festini di suo marito immortalati nel Caligola di Tinto Brass.