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 2025  aprile 18 Venerdì calendario

Yoko Ono era meglio dei Beatles?

Yoko Ono fece sciogliere i Beatles? No. Fu piuttosto un gioco a perdere tra agenti, risentimenti personali e forse stanchezza. Un piccolo sintomo dell’aria che tirava tra i Beatles si trova nel documentario di Peter Jackson uscito nel 2021. Get Back segue gli scarafaggi di Liverpool nei 21 giorni in cui inizia la lavorazione di Let It Be. Lennon è in costante ritardo e in effetti Yoko è sempre nei paraggi. Però a George Harrison scappa una frase indicativa, qualcosa del genere: se avessi una bella canzone la terrei per il mio disco solista...
Yoko Ono era migliore dei Beatles? Naturalmente, il nostro titolo è una innocua provocazione. Sono due asteroidi, Yoko e i Beatles, che si sono sfiorati prima di proseguire la propria corsa nello spazio dell’arte. Di sicuro, però, Yoko Ono era già Yoko Ono, cioè un’artista affermata, prima di conoscere John Lennon. Altrettanto di sicuro, ebbe un impatto enorme sul marito. Infine, abbiamo un’altra sicurezza: la carriera musicale di Yoko non ha nulla da invidiare a quella del marito, salvo l’incapacità di creare gioielli pop. Yoko Ono aveva e ha il carisma della sperimentatrice, in tutti i campi.

Alla signora Lennon, e alla sua opera multiforme, è dedicato Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto (Shake edizioni, pagg. 396, euro 25) di Francesca Alfano Miglietti e Daniele Miglietti. Dopo un breve ma denso saggio biografico, gli autori ricostruiscono punto per punto la carriera di Yoko, lunga sette (!) decenni e non ancora finita.
Opportunamente, il volume si apre ricordando che Yoko Ono ha vinto il Leone d’oro alla carriera insieme con John Baldessari. Era il 2009, la Biennale di Venezia, alla LIII edizione, era diretta da Daniel Birnbaum. Le motivazioni: «Il suo lavoro d’avanguardia ha aperto nuove possibilità di espressione poetica, concettuale e sociale per gli artisti di tutto il mondo». Ono, durante la cerimonia di consegna, ha definito il suo lavoro artistico «a form of giving», un modo di dare, cioè di condividere.
La mostra collegata, nel Padiglione Internazionale, dava un assaggio parco ma significativo della parte «leggiadra» dell’artista Yoko Ono. Era uno sviluppo di Grapefruit. Istruzioni per l’arte e per la vita, una raccolta d’artista, iniziata negli anni Cinquanta, di enigmatiche e poetiche esortazioni da cui emerge anche uno spiccato senso dell’ironia. Il riferimento immediato è la poesia haiku complicata dall’arte concettuale d’Occidente. Allo spettatore tocca il compito di portare a termine la performance. Ecco qualche esempio delle istruzioni appese al muro, a volte semi-nascoste, a volte in caratteri minuscoli: «Ascolta il suono della terra che gira. Ridi per una settimana. Tossisci per un anno. Un sogno che sogni da solo è solo un sogno; un sogno che sognate insieme è realtà. Lo specchio diventa un rasoio quando è rotto; un bastone diventa flauto quando è amato». Banalità, intuizioni e riflessioni ma soprattutto istruzioni. È un mondo leggero e disponibile quello di Grapefruit (la prima edizione a stampa risale al 1964).

Ma Yoko ha anche un lato quietamente provocatorio. Nata a Tokyo nel 1933, Yoko è figlia di un banchiere e di una pianista. Le fu impartita una educazione severa. Dopo la guerra, la famiglia si trasferì a New York. Yoko inizia a frequentare il mondo degli artisti d’avanguardia, con grande dispiacere dei genitori, che considerano i bohémien sbandati di classe sociale inferiore alla figlia. Tra le molte conoscenze ci sono John Cage, da cui Yoko prende lezioni di composizione, e La Monte Young. Presto si avvicina al gruppo Fluxus, famoso per le performance anticonformiste. In Rete si trova facilmente il video di Cut Piece, una performance di Yoko rimasta nella storia dell’arte. Yoko sale sul palco con vestiti scelti con cura e un paio di forbici. Poi invita il pubblico a tagliare a pezzi i suoi vestiti fino a restare nuda davanti a tutti. L’effetto è straniante. Cut Piece è insieme un’opera femminista, una riflessione sul corpo, un’esplorazione del sadomasochismo, un’indagine di sentimenti delicati come la vergogna e la violenza.
Non tutti i giudizi sulla Yoko artista sono positivi. C’è chi la taccia di dilettantismo. Ma quel Leone d’oro racconta una storia diversa. E non abbiamo toccato la parte musicale dell’attività di Yoko: quasi trenta album, alcuni in compagnia di pesi massimi del rock alternativo come i Sonic Youth. Si va dalla sperimentazione più ostica alle collaborazioni con Ornette Coleman passando per dischi più convenzionali. Provate ad ascoltare Fly, Approximately Infinite Universe e Feeling the Space.
Chi volesse approfondire la biografia da oggi ha a disposizione Yoko di David Sheff (Solferino, pagg. 384, euro 22).

Così Sheff racconta l’inizio del rapporto con Lennon nel 1966, in una galleria d’arte: «Se è vero che quando Yoko incontrò John lui era già all’apice della sua fama, lei fu l’artista di cui lui andò a vedere le opere. Mi avevano parlato di questo evento, un’artista giapponese d’avanguardia che veniva dall’America raccontò Lennon. Era a dir poco entusiasmante. Doveva succedere qualcosa con delle borse nere e io pensai sarebbe stata una cosa tutta sesso: orge pseudoartistiche. Fantastico! Be’, ardito fu ardito, ma non come immaginavo». Poi Lennon vide una mela: «Mi guardo in giro e vedo una mela su un piedistallo, una mela fresca su un piedistallo con una didascalia che dice: Mela. Ho pensato: È uno scherzo, ma è abbastanza divertente. Stavo iniziando a vedere il lato umoristico della faccenda». La mela costava 200 sterline. Rappresentava il ciclo della vita e doveva marcire su quel piedistallo. Ma John, parlando con Yoko e il gallerista, entrò nello spirito dell’esposizione. Prese la mela e ne mangiò un boccone. La mela del peccato e della passione.